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Nota a Corte Cost., 3 dicembre 2024, n. 192.

Massima redazionale

Sono costituzionalmente illegittimi:

-l’art. 1, comma 2, della legge 26 giugno 2024, n. 86 (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione), nella parte in cui prevede «[l]’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]», anziché «[l]’attribuzione di specifiche funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]»;

-l’art. 2, comma 1, terzo periodo, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui stabilisce che il negoziato, «con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 3, è svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia», anziché stabilire che il negoziato, «con riguardo a specifiche funzioni riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 3, è svolto con riferimento a ciascuna funzione o gruppo di funzioni»;

-l’art. 2, comma 2, della legge n. 86 del 2024;

-l’art. 3, comma 3, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui prevede che «i LEP sono determinati nelle materie o negli ambiti di materie seguenti», anziché «i LEP sono determinati per le specifiche funzioni concernenti le materie seguenti»;

-l’art. 4, comma 1, primo periodo, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui menziona «materie o ambiti di materie riferibili ai LEP», anziché «specifiche funzioni riferibili ai LEP» l’art. 2, comma 1, primo periodo, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui non prescrive che l’iniziativa regionale sia giustificata alla luce del principio di sussidiarietà;

-l’art. 3, comma 1, della legge n. 86 del 2024l’art. 3, comma 7, della legge n. 86 del 202l’art. 3, comma 9, della legge n. 86 del 2024;

-l’art. 8, comma 2, della legge n. 86 del 2024;l’art. 9, comma 4, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui prevede la facoltatività del concorso delle regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica, anziché la doverosità su un piano di parità rispetto alle altre regioni;

-l’art. 11, comma 2, della legge n. 86 del 2024;

– in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’art. 3, commi 2, 4, 5, 6, 8 e 10 della legge n. 86 del 2024;

-è poi dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale, sopravvenuta a partire dall’entrata in vigore della legge n. 86 del 2024, dell’art. 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025).

Vanno inoltre dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione  :

-le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge n. 86 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 71, 121, secondo comma, e 116, terzo comma, Cost., dalle Regioni Puglia, Toscana e Campania;

-le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 8, della legge n. 86 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 5, 70, 72 e 116, terzo comma, Cost., dalle Regioni Toscana e Campania;

-le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2; 2, comma 1; 3, comma 3; 4, comma 2, della legge n. 86 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 2, 3, 81, 97, 116, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), 119, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 120, secondo comma, Cost., dalle Regioni Puglia, Campania e dalla Regione autonoma Sardegna.

Non  è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intera legge n. 86 del 2024, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Toscana.

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Malgrado la difesa della Presidenza del Consiglio e gli interventi ad opponendum delle Regioni Veneto, Piemonte e Lombardia, può dirsi che le censure proposte dalle ricorrenti Regioni avverso la c.d. autonomia differenziata siano andate “a bersaglio”.

Non è riuscito il tentativo della Regione Veneto di presentare la legge n. 86 del 2024 come inutiliter data poiché, in quanto legge ordinaria, non sarebbe stata in grado di condizionare né una legge successiva, né un atto avente forza di legge, né la legge rinforzata di approvazione delle intese, in quanto si sarebbe limitata ad indicare strada da seguire per giungere alla predisposizione di una o più bozze di intesa e al testo finale, da sottoporre all’approvazione delle Camere. Né ha avuto maggior fortuna la difesa della Regione Lombardia, secondo la quale la legge impugnata sarebbe stata «il punto di partenza e non quello di arrivo», attesa la necessità di ulteriori interventi legislativi  nonché di apposite intese, sì che le censure formulate sarebbero state pretestuose e apodittiche .Nessuna considerazione  ha trovato l’assunto della difesa erariale circa il Difetto di interesse delle ricorrenti.

 In estrema sintesi può dirsi che la Corte ha affermato come il popolo e la nazione siano “unità non frammentabili, senza che siano in alcun modo configurabili popoli regionali  che siano titolari di una porzione di sovranità”:”..la nostra democrazia costituzionale si basa sulla compresenza e sulla dialettica di pluralismo e unità, che può essere mantenuta solamente se le molteplici formazioni politiche e sociali e le singole persone, in cui si articola il “popolo come molteplicità”, convergono su un nucleo di valori condivisi che fanno dell’Italia una comunità politica con una sua identità collettiva. In essa confluiscono la storia e l’appartenenza a una comune civiltà, che si rispecchiano nei principi fondamentali della Costituzione.”

 L’unità del popolo e della nazione postula l’unicità della rappresentanza politica nazionale. Sul piano istituzionale, questa stessa rappresentanza e la conseguenziale cura delle esigenze unitarie“, che trascendono la dialettica maggioranza-opposizione” sono affidate esclusivamente al Parlamento e in nessun caso possono essere riferite ai consigli regionali”. Con questa declinazione del regionalismo, corrispondente ad un’esigenza insopprimibile della nostra società, va coniugata la centralità del Parlamento, il solo a cui compete di comporre la complessità del pluralismo istituzionale.

Fulcro argomentativo della sentenza è la considerazione per cui l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori non potrà spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica (articolo 120 della Costituzione), l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.), l’effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e quindi la coesione sociale e l’unità nazionale – che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato, il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia.

Altro punto importante è la specificazione del principio di sussidiarietà, quale canone ermeneutico dell’ art. 116, terzo comma, Cost., paragonato ad “un ascensore, perché può portare ad allocare la funzione, a seconda delle specifiche circostanze, ora verso il basso ora verso l’alto”, esso “opera attraverso un giudizio di adeguatezza … non può che riferirsi a specifiche e ben determinate funzioni e non può riguardare intere materie. La funzione è un insieme circoscritto di compiti omogenei affidati dalla norma giuridica ad un potere pubblico e definiti in relazione all’oggetto e/o alla finalità. A ciascuna materia afferisce, invece, una gran quantità di funzioni eterogenee, per alcune delle quali l’attuazione del principio di sussidiarietà potrà portare all’allocazione verso il livello più alto, mentre per altre sarà giustificabile lo spostamento ad un livello più vicino ai cittadini.” Ne consegue che la devoluzione di cui al citato art 116, terzo comma,” non può riferirsi a materie o ad ambiti di materie, ma a specifiche funzioni e che “ la scelta sulla ripartizione delle funzioni legislative e amministrative tra lo Stato e le regioni o la singola regione, …non può essere ricondotta ad una logica di potere con cui risolvere i conflitti tra diversi soggetti politici, né dipendere da valutazioni meramente politiche. Il principio di sussidiarietà richiede che la ripartizione delle funzioni, e quindi la differenziazione, non sia considerata ex parte principis, bensì ex parte populi.” Pertanto “l’adeguatezza dell’attribuzione della funzione ad un determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo a tre criteri: l’efficacia e l’efficienza nell’allocazione delle funzioni e delle relative risorse, l’equità che la loro distribuzione deve assicurare e la responsabilità dell’autorità pubblica nei confronti delle popolazioni interessate all’esercizio della funzione.” (di qui l’analisi svolta ai punti 4.2.2, 4.2.3, 4.2.4 del Considerato.).

L’art. 116, terzo comma, Cost., richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, definite in relazione all’oggetto e/o alle finalità, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà: la norma in questione rappresenta le “colonne d’Ercole” oltre le quali il legislatore non può spingersi nel trovare le soluzioni che attuino la devoluzione ritenuta più adeguata.

La Corte elenca poi una serie di materie alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà e quindi dichiara non fondata la questione di incostituzionalità dell’intera legge.

Tale censura era stata sollevata in riferimento al principio di leale collaborazione, ma, si noti bene, solo in quanto fondata sull’assunto secondo cui lo Stato non sarebbe legittimato ad approvare una legge quadro attuativa del citato art. 116 Cost. : afferma la Corte che : “ Il fatto che una norma costituzionale non rinvii a una legge non impedisce al legislatore statale di dettare norme attuative, naturalmente nel rispetto dei limiti costituzionali di competenza, posti a tutela sia dell’autonomia regionale sia dell’autonomia delle singole Camere.” Il circoscritto perimetro di tale declaratoria di non fondatezza non potrà certo sfuggire alla valutazione dell’Ufficio centrale del referendum. 

Sulla base delle premesse sopra illustrate sono state ritenute illegittime:1) la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, in quanto la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e deve essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà; 2) il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, elidendo il ruolo costituzionale del Parlamento; 3) la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP; 4)  il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP; 5) la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito: in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni; 6) la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica; 7) l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale (trattavasi della Regione Sardegna) che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

 Altre previsioni della legge sono state  interpretato in modo costituzionalmente orientato nei seguenti termini: 1) l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo; 2) la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata; 3) la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; 4) l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso; 5) la clausola di invarianza finanziaria richiede inoltre che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione.

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