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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 8 ottobre 2024, n. 26248.

di Valentino Vecchi

Valentino Vecchi & Partners

Da tempo la giurisprudenza si interroga sulla legittimità della condotta degli istituiti di credito in ipotesi di concessione di finanziamenti a chi non gode del necessario merito creditizio.

La questione, da sempre dibattuta, oggi sta emergendo in tutta la sua dirompente portata in quanto coinvolge i finanziamenti Covid erogati a pioggia nel periodo emergenziale.

Le ricadute, ovviamente, sono di sistema, oltrepassando il confine del rapporto tra banca e soggetto finanziato.

L’erogazione di finanziamenti in assenza di merito creditizio favorisce situazioni di ingiustificato sovraindebitamento che creano disvalore per il mercato in generale. Finanziare un’impresa immeritevole, difatti, non solo può indurre una falsa rappresentazione della situazione aziendale a chi con quell’impresa ha rapporti economici (fornitori e dipendenti, ad esempio), ma può anche alterare le dinamiche concorrenziali e perfino causare danni ai conti pubblici, laddove si tratti di finanziamenti non rimborsati per i quali è stata escussa la garanzia pubblica eventualmente acquisita all’atto dell’erogazione.

Ma il vero problema sociale, quantomeno quello di immediata percezione, si manifesta quando a farne le spese sono i fideiussori, che anziché essere tutelati dall’istituto di credito mediante un’istruttoria approfondita vengono chiamati a rispondere del debito non rimborsato.

Paradossalmente, spesso è proprio la banca a non subire conseguenze negative dal mancato rimborso di finanziamenti concessi con troppa leggerezza. La possibilità di escussione delle garanzie acquisite (da garanti solvibili) all’atto dell’erogazione da un lato mette al riparo la banca dal rischio di insolvenza del debitore, dall’altro lato incentiva istruttorie meno accorte.

Il tema, già di recente trattato dalla Cassazione con ordinanza n.11155 del 24.04.2024 – pronuncia in cui risultano richiamati anche altri precedenti di legittimità – è oggetto anche della recentissima ordinanza n.26248 dell’08.10.2024, mediante la quale il Supremo Collegio ha chiarito che “non v’è ragione per cui i generali principi di sana e prudente gestione nell’erogazione del credito, sottesi all’art. 5 TUB e ricollegabili alla diligenza qualificata richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c., non debbano essere osservati anche nei finanziamenti di “fascia bassa” (fino a trentamila euro) erogati, come quello per cui è causa, nel contesto dell’emergenza sanitaria Covid-19, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. m) del d.l. n. 23 del 2020 (cd. “decreto liquidità”, convertito dalla l. n. 40 del 2020), nei quali la banca finanziatrice dell’impresa è integralmente garantita dal Fondo centrale di garanzia PMI istituito con la l. n. 662 del 1996”.  

La Corte ha difatti chiarito che è l’erogazione della garanzia «non soggetta ad alcuna valutazione del beneficiario» e quindi ad operare «senza alcuna istruttoria», giammai la concessione del finanziamento.

In tal senso gli ermellini hanno inteso puntualizzare che “il decreto liquidità non ha esonerato le banche dalle ordinarie verifiche e prassi consolidate prodromiche all’erogazione del credito”.

In sintesi, l’istituto mutuante è obbligato al risarcimento del danno laddove dalla propria condotta “discenda un aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività di impresa”.

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