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Nota a App. Bari, Sez. II, 7 febbraio 2024.

Massima redazionale

Nella specie, gli appellanti censuravano la sentenza del Tribunale, assumendo che fosse da dichiarare estinta la loro obbligazione restitutoria, atteso l’intervenuto “pagamento” mediante moneta scritturale del tantundem eiusdem generis ac qualitatis; a comprova dell’asserito pagamento “liberatorio”, versano documento, nel quale era dato leggersi testualmente: «Avvertenza: Non è necessario rispondere alla presente, la ricevuta di PEC vale per quietanza d’effettuato pagamento. Qualora il denaro scritturale non fosse accettato e/o restituito, il debito si considererà comunque estinto, poiché non è consentito al creditore di rifiutare moneta scritturale senza giustificato motivo (Cass. S.U. sentenza n. 26617 del 18 dicembre 2007, ribadita da Tribunale di Cremona con ordinanza 31 marzo 2017, causa RG 2144/2016)».

Rileva la Corte territoriale come la circostanza per cui «la ricevuta di PEC vale per quietanza d’effettuato pagamento» rappresenterebbe una “singolarissima quietanza a firma del debitore”, in palese contrasto con quanto previsto dall’art. 1199 c.c., per cui il creditore, che riceve il pagamento deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare quietanza e farne annotazione sul titolo, se questo non è restituito al debitore. Proprio per agevolare il debitore nell’assolvimento dell’onere di comprovare l’esatto adempimento della propria obbligazione, il primo comma dell’art. 1199 c.c. riconosce espressamente all’obbligato adempiente il diritto di ottenere, dal creditore, il rilascio di una quietanza.

Gli appellanti si autoqualificano, inoltre, alla stregua di “organismi monetari”, con funzioni bancarie o “banche virtuali”, senza essere a ciò autorizzati, giungendo ad affermare la possibilità, per ogni singolo cittadino di creare, in via autonoma, moneta scritturale, attraverso proprie registrazioni contabili, per l’importo corrispondente alla somma dovuta.

In realtà, l’unica forma di moneta dotata del potere di estinguere le obbligazioni in denaro è la moneta legale, emessa da una Banca Centrale, in quanto la sua creazione si basa su rigorose procedure che garantiscono la stabilità del suo valore nel tempo e preservano la fiducia generale nella moneta. A tal proposito, il Collegio richiama la Direttiva 2000/46/CE, riguardante l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, il cui art. 1, comma 4, dispone testualmente «Gli Stati membri vietano alle persone o imprese che non sono enti creditizi secondo la definizione di cui all’articolo 1, punto 1, primo comma, della direttiva 2000/12/CE di svolgere l’attività di emissione di moneta elettronica».

Ebbene, il meccanismo di creazione di moneta scritturale da parte del singolo cittadino (non consentito dalla legge nazionale o internazionale) intenderebbe replicare la c.d. moneta bancaria o scritturale, ovverosia l’insieme degli strumenti gestiti e organizzati dalle banche e dagli altri soggetti abilitati a prestare servizi di pagamento (assegni, bonifici, addebiti diretti, carte, moneta elettronica).

La moneta scritturale bancaria ha, tuttavia, due prerogative che la differenziano in modo sostanziale rispetto a qualsiasi altra forma di moneta creata da soggetti privati e che determinano la sua accettabilità come mezzo di pagamento; segnatamente:

  • il possessore può chiedere all’emittente di convertirla in qualsiasi momento e senza perdita di valore (al valore nominale pieno) in moneta avente corso legale;
  • è emessa da operatori del sistema bancario e finanziario, ossia soggetti qualificati che sono sottoposti al controllo di autorità pubbliche che ne assicurano la sana e prudente gestione e che vigilano anche sulla stabilità complessiva del sistema (per i Paesi dell’Unione europea, queste autorità sono la Banca Centrale Europea e le singole autorità nazionali competenti; per l’Italia l’autorità nazionale di vigilanza è la Banca d’Italia).

Per converso, gli appellanti hanno creato degli euro scritturali e hanno comunicato l’asserito pagamento alla banca creditrice, nonché, per conoscenza, alla Banca d’Italia, fornendo prova dell’estinzione del loro debito tramite un estratto cartaceo dei registri contabili personali. Un siffatto modus procedendi è contra legem. Invero, la prestazione di servizi di pagamento, attraverso moneta scritturale, è attività consentita esclusivamente ai soggetti abilitati (quali banche, istituti di moneta elettronica, istituti di pagamento). Tali intermediari sono sottoposti dalla legge alla vigilanza di Banca d’Italia, finalizzata ad assicurarne la sana e prudente gestione, la stabilità complessiva nonché l’osservanza delle norme[1]. Secondo il TUB, segnatamente artt. 131bis e 131ter, l’abusiva emissione di moneta elettronica e l’abusiva prestazione di servizi di pagamento costituiscono un reato[2].

Gli appellanti, da un lato, assumono che, poiché l’art. 1277 c.c., stabilisce che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale, nel momento in cui la banca convenuta ha messo a loro disposizione la somma data a mutuo, mediante accredito di essa, su un conto bancario dedicato, non vi sarebbe stata la traditio pecuniae, costituente requisito necessario per la stipula del mutuo, ex art. 1813 c.c.; dall’altro lato, assumono che – a tutto concedere – così come la banca non ha consegnato una “quantità di denaro” (moneta legale), ai sensi degli artt. 1277 e 1813 c.c., erogando, invece, la somma, non mediante la classica “traditio pecuniae”, in senso fisico, bensì con “moneta elettronica”, così essi deducenti sarebbero abilitati ad estinguere il proprio debito, mediante la “moneta scritturale”.

Orbene, la giurisprudenza di legittimità[3] ha già avuto occasione di statuire che «…1.2. La sentenza impugnata, nel ritenere sussistente la prova dell’erogazione delle somme oggetto dimutuo, ha fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di questa Corte – cui il Collegio intende dare continuità – secondo cui ‹‹la consegna idonea a perfezionare il contratto reale di mutuonon va intesa nei soli termini di materiale e fisica traditio del danaro (o di altre cose fungibili), rivelandosi, invero, sufficiente il conseguimento della sua disponibilità giuridica da parte del mutuatario, ricavabile anche dall’ integrazione di quel contratto con il separato atto di quietanza a saldo›› (Cass., sez. 3, 27/08/2015, n. 17194; Cass., sez. 1, 13/08/1999, n. 8634).Si è spiegato che in un contesto come quello attuale di progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e loro sostituzione con annotazioni contabili, la consegna o traditio della somma è da intendersi, non esclusivamente quale trasferimento materiale e fisico di denaro nelle mani del mutuatario, ma anche quale trasmissione della disponibilità giuridica delle somme mutuate, sussistente oltre che nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in guisa tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio del mutuatario, ma anche quando, nello stesso contratto di mutuo, le parti abbiano inserito specifiche pattuizioni, consistenti nell’ incarico che il mutuatario dà al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse del primo(Cass., sez. 1, 15/07/1994, n. 6686; Cass., sez. 3, 05/07/2001, n. 9074; Cass., sez. 1, 28/08/2004, n. 17211; Cass., sez. 1, 03/01/2011, n. 14). Con specifico riferimento al mutuo fondiario, considerato che la legge prevede che la stipulazione del contratto e l’erogazione del danaro possano formare oggetto di atti separati (art. 39, comma 2, t.u.b.), è stato chiarito che per poter verificare se il contratto di mutuo si sia effettivamente perfezionato, esso non può essere esaminato atomisticamente, ma deve essere considerato ed interpretato congiuntamente agli altri atti accessori, che realizzano concretamente ed operativamente il conferimento ad altri della disponibilità giuridica di una somma di denaro da parte del mutuante. Con la conseguenza che l’accertamento demandato al giudice di merito deve estendersi alla natura ed al contenuto del contratto, integrato con l’atto di quietanza a saldo, e comprendere anche la verifica del requisito formale richiesto affinchè l’atto possa assolvere alla funzione di titolo esecutivo (Cass., sez. 3,27/08/2015, n. 17194; Cass., sez. 3, 05/03/2020, n. 6174)…….Omissis Ciò in continuità all’orientamento interpretativo espresso da Cass., sez. 1, n. 25632 del 27 ottobre 2017, secondo cui “Ai fini del perfezionamento del contratto di mutuo, avente natura reale ed efficacia obbligatoria, l’uscita del denaro dal patrimonio dell’istituto di credito mutuante, e l’acquisizione dello stesso al patrimonio del mutuatario, costituisce effettiva erogazione dei fondi, anche se parte delle somme sia versata dalla banca su un deposito cauzionale infruttifero, destinato ad essere svincolato in conseguenza dell’adempimento degli obblighi e delle condizioni contrattuali»[4].

Senza soluzione di continuità, la giurisprudenza di merito[5] ha stabilito che, nel contratto di mutuo, la datio rei può essere giuridica e non fisica, con la conseguenza che anche l’accredito in conto corrente basta a tal fine. Infatti, il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro o con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario; ne consegue che la tradito rei può essere realizzata attraverso l’accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario, perché in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, irrilevante essendo che le somme stesse siano destinate al ripianamento del saldo negativo del conto stesso.

Quanto ai presunti euro scritturali, non v’è alcun dubbio che essi non possono né essere creati, né essere utilizzati: pagare i debiti con presunti euro scritturali non ha alcun valore legale.

Invero, a fronte di qualche isolata, e nient’affatto condivisibile, pronuncia di merito che sembra sposare la tesi degli appellanti, ve ne sono molte altre, di segno diametralmente opposto, queste si, da condividere in pieno.

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[1] Cfr. art. 5 TUB.

[2] Il Testo unico bancario (nello specifico, l’art. 146) affida alla Banca d’Italia la funzione di sorvegliare il sistema dei pagamenti avendo riguardo al suo regolare funzionamento, alla sua affidabilità ed efficienza, nonché alla tutela degli utenti dei servizi di pagamento.

[3] Cfr. Cass. n. 5654/2023.

[4] In senso conforme, Cass. Civ., Sez. I, 03.12.2021, n. 38331; Cass. Civ., Sez. VI, 07.12.2021, n. 38884.

[5] Cfr. App. Firenze, Sez. II, 25.09.2023, n. 1924.

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