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Nota a Cass. Civ., Sez. II, 7 febbraio 2024, n. 3457.

Massima redazionale

È d’uopo dare continuità ai principi per cui, ai sensi dell’art. 2233 c.c., l’accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta ad substantiam a pena di nullità, con la conseguenza che l’accordo, quando non è trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma scritta, sia seguita dall’accettazione nella medesima forma. La previsione della forma scritta a pena di nullità del contratto, con il quale l’avvocato e il cliente stabiliscono il compenso professionale spettante al professionista, «…comporta: -in primo luogo, che la formazione di tale accordo, se non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la sottoscrizione di entrambe le parti, potendo per contro realizzarsi quando la seconda sottoscrizione sia contenuta in un documento separato, richiede, tuttavia, che la proposta di una delle parti, redatta in forma solenne, sia necessariamente seguita da un’accettazione conforme che sia rivestita della medesima forma richiesta dalla legge (Cass. n. 15563 del 2022, in motiv., la quale, con riguardo al contratto di prestazione professionale tra cliente e avvocato, ha ritenuto che, a fronte di una proposta dotata della forma scritta, la stipulazione dell’accordo richiedeva un’ ‘accettazione nella medesima forma’): la quale, in effetti, non può discendere dal mero comportamento, precedente o successivo alla presunta conclusione del contratto (anche se adesivo o attuativo o preparatorio dell’accordo, con la predisposizione della relativa bozza), assunto dalle parti, utilizzabile non per attestare la formazione di un consenso contrattuale che non sia stato incorporato in un documento scritto ma solo per interpretare la volontà dei contraenti per come espressa nel relativo testo (cfr. Cass. n. 12297 del 2011; Cass. n. 11828 del 2018); -in secondo luogo, che trovano applicazione le norme che in generale disciplinano la prova dei contratti per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam (Cass. n. 24213 del 2021, in motiv.), e cioè, tra l’altro, che: a) la scrittura non può essere sostituita da mezzi probatori diversi (Cass. n. 1452 del 2019), come una dichiarazione di quietanza (Cass. n. 12673 del 1997; Cass. n. 5158 del 2012; Cass. n. 10846 del 2019) ovvero una fattura (Cass. n. 1614 del 2009; Cass. n. 5263 del 2015); b) la prova per presunzioni semplici (art. 2729 c.c.) è ammissibile, al pari della testimonianza (Cass. n. 13459 del 2006; Cass. n. 13857 del 2016), soltanto nell’ipotesi, prevista dagli artt. 2725 e 2724 n. 3 c.c., di perdita incolpevole del documento (Cass. n. 24213 del 2021, in motiv., che ha cassato la pronuncia con la quale il giudice di merito aveva ritenuto ‘raggiunta la prova dell’accordo per la determinazione del compenso sulla base di una presunzione, non tenendo conto che l’esistenza del requisito di forma non può essere sostituito da mezzi probatori diversi’»[1].

Nel caso di specie, il prospetto riepilogativo, se e in quanto privo della sottoscrizione del professionista, non poteva avere valore di proposta al fine della conclusione dell’accordo in forma scritta; non si poteva valorizzare neppure il rilascio della procura, che attiene alla costituzione del rapporto di rappresentanza processuale e non vale come adesione ai termini economici unilateralmente prefissati; ugualmente, non rilevava l’emissione della fattura, attinente alla fase esecutiva del rapporto, che presuppone il già avvenuto perfezionamento del contratto nelle forme previste dalla legge[2].

È, inoltre, chiaro il disposto dell’art. 2233, ultimo comma, c.c., secondo il quale sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali ed è già stato statuito che tale prescrizione non è stata implicitamente abrogata dall’art. 13 co.2 legge 247/2012, secondo il quale il compenso con il professionista è di regola pattuito per iscritto[3].

È acquisito, in linea generale, il principio secondo il quale la forma scritta ad substantiam non richiede che la volontà sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo realizzarsi anche in documenti separati, costituenti proposta e accettazione[4]; ciò, pur tuttavia, non esclude che i documenti separati debbano recare la sottoscrizione rispettivamente del proponente e dell’accettante, perché in mancanza delle sottoscrizioni non è integrato il requisito della forma scritta ad substantiam.

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Del pari, l’ordinanza impugnata ha omesso ogni riferimento alla debenza degli interessi di mora, sull’erroneo presupposto che gli stessi decorressero dalla data della decisione. Infatti, deve essere data continuità al precedente[5] che, sulla base di compiuta ricostruzione dogmatica alla quale si rinvia, è giunto alla conclusione che per i crediti professionali derivanti dallo svolgimento dell’attività di avvocato gli interessi di cui all’art. 1224 c.c. decorrano dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale o con la richiesta stragiudiziale di adempimento, anche nel caso in cui alla liquidazione si pervenga all’esito del procedimento di cui all’art. 14 D.lgs. n. 150/2011. Inoltre, essendo stato il ricorso depositato nell’aprile 2017, è applicabile ratione temporis la previsione dell’art. 1284, comma 4, c.c., secondo la quale dal momento della domanda il saggio degli interessi sia pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali[6].

 

 

 

 

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[1] Nello stesso senso, tra le stesse parti e non massimate, Cass. Civ., Sez. II, 12.01.2023, n. 719; Cass. Civ., Sez. II, 27.07.2023, n. 22885.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 22.01.2009, n. 1614.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, 16.05.2022 n. 15563; Cass. Civ., Sez. VI, 08.09.2021, n. 24213.

[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, 30.06.2023, n. 18579; Cass. Civ., Sez. I, 02.02.2007, n. 2256.

[5] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. II, 19.08.2022, n. 24973.

[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, 19.08.2022, n. 24973.

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