Nota a Trib. Parma, 20 settembre 2023, n. 49.
Il contributo esamina la recente decisione con la quale il Tribunale di Parma ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione controllata ex art. 268 ss. CCII in presenza di sola finanza esterna. La pronuncia è l’ultima di molte altre, susseguitesi nel tempo, e che non risolve il lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi intorno alla tematica.
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- Il caso.
Con la Sentenza n. 49/2023, pubblicata il 20 settembre 2023, il Tribunale di Parma ha affrontato il caso di un debitore in stato di sovraindebitamento (per complessivi € 59.410,59 di debiti), privo di beni mobili ed immobili liquidabili, nonché privo di redditi, che aveva presentato domanda di ammissione alla procedura di liquidazione controllata e, in subordine, domanda di ammissione alla procedura di esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII. L’attivo messo a disposizione della procedura era costituito esclusivamente da € 10.000,00 provenienti da un soggetto terzo. Tale somma risultava sufficiente al soddisfacimento nella misura del 100% dei creditori privilegiati e al pagamento dell’11,88% dei creditori chirografari. Il Tribunale di Parma sottolineava che “non sembra possano rilevarsi, nella disciplina dettata dalla L. 3/2012, ostacoli insuperabili rispetto alla possibilità di accedere alla procedura di liquidazione da parte del sovraindebitato, privo di beni mobili ed immobili, ma destinatario di utilità provenienti da terzi. (…) Ad identiche conclusioni deve pervenirsi nel vigore del CCII: non appare in dubbio che la liquidazione controllata sia, al pari della liquidazione del patrimonio, una procedura universale per effetto della quale si determina lo spossessamento del debitore in ordine ai beni attuali e l’attribuzione alla procedura dei beni futuri (esclusi quelli necessari al sostentamento del debitore)”. Pertanto, previo controllo della sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per l’ammissione alla procedura, il Tribunale ammette la domanda e dichiara aperta la liquidazione controllata basata su flussi finanziari esterni.
- Cenni evoluzionistici giurisprudenziali.
Com’è noto, la liquidazione controllata, sotto il profilo soggettivo, è il procedimento finalizzato alla liquidazione del patrimonio del debitore in stato di sovraindebitamento, ossia del consumatore (persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale), del professionista, dell’imprenditore agricolo, dell’imprenditore minore e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza ex art. 2 CCII [1]. Con riferimento a questo istituto giuridico, la decisione del Tribunale di Parma si inserisce all’interno di un ampio, risalente, dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo all’ammissibilità o meno di una procedura liquidatoria in presenza di finanza esterna. Lo stesso Tribunale, nella decisione in esame, ripercorre, con un veloce excursus, l’evoluzione giurisprudenziale sulla tematica. Per maggiore completezza si evidenzia che, ancor prima dell’entrata in vigore del Codice della Crisi e dell’insolvenza (divenuto efficace il 15 luglio 2022), e dunque con riferimento alla previgente normativa [2], il dibattito riguardava due principali posizioni giurisprudenziali. La prima, restrittiva e sottesa a un’interpretazione letterale dell’art. 14-ter L. 3/2012, escludeva che il debitore, in assenza di beni mobili registrati o immobili da liquidare, potesse essere ammesso alla liquidazione del patrimonio in presenza di soli beni di futura derivazione (risultanti, cioè, da un rapporto di lavoro o anche solo dalla finanza fornita da terzi esterni). Tale orientamento, ripercorrendo alla lettera il dettato normativo, riteneva che la procedura liquidatoria fosse attivabile solo se il debitore avesse domandato, appunto, “la liquidazione di tutti i suoi beni”, allegando alla domanda l’inventario di detti beni con le specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili. Si affermava, quindi, che nel concetto di liquidazione non poteva essere ricompreso il reddito o altre finanze esterne, poiché già liquide per definizione e per questo non qualificabili come “beni”. Ammettendo il contrario, non si sarebbe potuta giustificare la nomina di un liquidatore al fine di alienare i beni del debitore, operazione superflua per sostanze già liquide e trasferibili. La c.d. “finanza esterna” avrebbe potuto trovare spazio solo nelle procedure negoziali di sovraindebitamento (accordo di composizione -oggi concordato minore- e piano del consumatore -oggi ristrutturazione dei debiti del consumatore-) e non anche nella procedura liquidatoria [3]. Il secondo orientamento, più estensivo, ammetteva invece l’apertura della procedura di liquidazione dei beni del debitore, privo di beni mobili o immobili da liquidare, privo di redditi o pensioni da mettere a disposizione dei creditori, e che potesse apportare unicamente una “nuova finanza” da parte di un terzo. E ciò in considerazione del fatto che il patrimonio da includere nella liquidazione non era dato unicamente dai beni del debitore “trasformabili” in denaro, ma anche dai beni già liquidi e dei quali il debitore stesso ne avesse la disponibilità [4]. Il dibattito non si è risolto neanche con l’introduzione del nuovo Codice della Crisi e dell’insolvenza che, a parere di chi scrive, si dovrebbe collocare, rispetto alla precedente normativa, in una posizione di maggiore favor debitoris. L’odierna tesi estensiva è abbracciata proprio dalla decisione qui in esame [5]. La tesi contraria prende le mosse dall’assunto che l’apertura di una liquidazione controllata di un debitore impossidente costituirebbe una procedura priva di utilità, tanto per i creditori quanto per il debitore, e implicherebbe un’elusione dei requisiti di meritevolezza richiesti per l’esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII, requisiti non previsti per l’accesso alla liquidazione controllata [6].
- Conclusioni.
La vexata questio in ordine all’ammissibilità, o meno, della liquidazione controllata in assenza di beni e redditi non può dirsi risolta. Ad avviso di chi scrive, agli orientamenti restrittivi (interessanti poiché rispondono ad esigenze deflattive e di economicità dell’attività processuale esecutiva o concorsuale), sono da preferire quelli estensivi. Con la L. 3/2012, la struttura della procedura liquidatoria dei beni era ispirata allo schema del fallimento: entrambe le procedure erano a carattere universale ed entrambe determinavano lo spossessamento del debitore in riferimento ai beni attuali e futuri. Il fallimento ben poteva essere dichiarato aperto anche in assenza di beni in capo al fallito: per analogia la medesima possibilità poteva sussistere anche nella liquidazione dei beni [7]. Ciò risulta in linea anche con l’art. 8, co. 2, della stessa L. 3/2012 che consentiva l’apporto di finanza esterna nell’accordo e nel piano del consumatore suscettibili, entrambi, di essere convertiti in liquidazione dei beni. Alla medesima conclusione si deve giungere ora, con l’avvento del nuovo Codice della Crisi e dell’insolvenza, in vigore da poco più di un anno, le cui procedure da sovraindebitamento, compresa la liquidazione controllata, sembrano tutte incentrate sulla possibilità, per il debitore, di essere ricollocato utilmente nel sistema economico e sociale. Se questa è la finalità, allora non appare plausibile considerare inammissibile la domanda di liquidazione controllata in caso di apporto di finanza esterna quale unica fonte per soddisfare i crediti (fenomeno frequente nei casi di individui sovraindebitati che spesso mettono a disposizione apporti provenienti dai propri familiari). Nella liquidazione controllata dovrebbe essere sufficiente che il giudice verifichi la sussistenza o meno dei requisiti soggettivi e oggettivi di cui al CCII, nonché l’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni [8]. Non dovrebbero essere necessari altri adempimenti. Inoltre, se la liquidazione controllata può concernere i “beni futuri” del debitore, quali [quote] di stipendio o pensione, allora può essere oggetto della liquidazione anche la finanza esterna, almeno in tutti i casi in cui l’apporto sia sufficiente per soddisfare, anche parzialmente, i creditori [9]. D’altronde tale opzione resta pur sempre, proprio per i creditori, più conveniente rispetto all’esdebitazione del sovraindebitato incapiente.
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[1] Si rammenta che l’art. 2 CCII reca le principali definizioni richiamate nel codice. In particolare, è stata mantenuta la previgente nozione di “insolvenza” (intesa come lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori); è stata introdotta la definizione di “crisi” (definita come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate); è stata introdotta la nuova definizione di “impresa minore” (la cui sostanza ricalca la precedente nozione dell’imprenditore “sotto-soglia” per la non assoggettabilità a fallimento -oggi liquidazione giudiziale-) ; si è mantenuta la previgente nozione di “sovraindebitamento” che include tanto lo stato di crisi quanto quello di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative.
[2] L’antecedente normativo dell’attuale liquidazione controllata è costituito dalla liquidazione del patrimonio di cui alla L. 27 gennaio 2012 n. 3, capo II, sezione seconda.
[3] Ex multis: Trib. Milano 8 maggio 2021; Trib. Rimini 8 dicembre 2020; Trib. Bergamo 6 novembre 2019; Trib. Mantova 18 giugno 2018.
[4] Cfr: Trib. Ancona, 08 ottobre 2020; Trib. Bologna 4 agosto 2020; Trib. Pordenone 14 marzo 2019; Trib. Verona 21 dicembre 2018; Trib. Matera 24 luglio 2019, n. 1021, per il quale era “ammissibile l’apertura di una procedura di liquidazione dei beni del debitore sovraindebitato ai sensi degli artt. 14-ter ss., L. n. 3/ 2012 anche allorquando nel patrimonio non sussistevano beni immobili o mobili registrati, sussistendo l’utilità della procedura in relazione ai redditi futuri ed ai crediti, per la cui gestione si giustifica va l’attività del liquidatore”.
[5] Conformemente: Trib. Bolzano, Sent. n. 30 del 19 settembre 2023; Trib. Milano, Sez. II, 12 gennaio 2023; Trib. Brindisi 19 dicembre 2022.
[6] Cfr: Trib. Bergamo 7 giugno 2023; Trib. Genova, Sez. fall., 22 agosto 2022.
[7] In dottrina: L. Benigno – N. Graziano, Casi e questioni di sovraindebitamento. Manuale operativo per gestori della crisi e consulenti del debitore, Rimini, 2019, pp. 103 e 104, in cui si evidenzia come l’art. 14-quinquies, co. 1, L. 3/2012, non faceva cenno ad un’ipotesi di inammissibilità della procedura liquidatoria in assenza di beni.
[8] La verifica in merito all’assenza di atti in frode ai creditori avviene attraverso un onere di allegazione in capo al debitore: egli deve allegare alla domanda l’elenco di tutti i beni e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni. L’assenza di atti in frode ai creditori deve essere parametrata alla data di compimento dell’atto. Per un approfondimento sull’istituto della liquidazione controllata: Stanislao De Matteis e Federico Maida, Liquidazione controllata del sovraindebitato, in Il Fallimento, n. 4, 1 aprile 2023, p. 553.
[9] Non sembra potersi ammettere, invece, la domanda di liquidazione controllata che contempli l’apporto di risorse esterne irrisorie.
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