3 min read
«È una gioia leggerlo, ma anche un privilegio. La gente chiede com'è e non riesco mai a trovare la parola perfetta, ma adesso mi viene. Un privilegio.»

Un “elefante nella stanza” è un’espressione idiomatica della lingua inglese, che sta a indicare, sagacemente, una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene, più o meno colpevolmente, ignorata o minimizzata; una questione molto nota, evidente, ma di cui nessuno vuole discutere.

Ebbene, “Open” di Andre Kirk Agassi è stato il mio elefante nella stanza delle domeniche di mia competenza, di questa Rubrica. Sapevo, da sempre, che, prima o poi, avrei dovuto tributargli uno spazio, ma ho temporeggiato il più a lungo possibile. La grandezza (nell’accezione più ampia, assorbente e onnicomprensiva) di questa biografia mi ha sempre intimorito. Ma tant’è.

La finale delle Nitto ATP Finals 2023, oggi, è un segno troppo grande del destino, per non essere colto. 

(Giusto per fare il paio con l’idioma inglese) Una “frase fatta” è un motivo ricorrente, solito, spesso banale. Per esempio, una potrebbe essere questa: le giornate in cui si termina di leggere un libro sono sempre strane.
Sono un po’ nostalgiche e malinconiche, per dover abbandonare le pagine che ci hanno accompagnato più di recente, per un tratto più o meno della nostra quotidianità.
Ma anche un po’ entusiastiche, per dover scegliere il nuovo compagno d’arte di carta. Ecco, finire “Open” di Agassi lascia un vuoto e la certezza che nessuna altra biografia, sia autodiretta che eterodiretta, potrà mai compiutamente colmarlo. 
Perché Andre Kirk Agassi è stato un fuoriclasse, anche nel raccontare il suo essere fuoriclasse.
“Open” è sicuramente una storia d’amore; anzi, di odio. Di odio, del piccolo Andre per, niente poco di meno, il tennis e, forse, per la figura troppo ingombrante di suo padre Mike, pugile iraniano, naturalizzato statunitense, abituato a tirare ganci e montanti non solo agli avversari, sul ring, ma anche alle difficoltà, nella vita. 
Si conosce bene, tuttavia, l’insostenibile leggerezza del confine tra odio e amore e la loro, eterna, ambivalenza. “Open” diviene, allora, il racconto, appassionato, ma sempre lucido, del riscoperto amore per il tennis, dei record inanellati, con la costanza degli allenamenti, routinari e ossessivi, destinati a restare scritti negli annali dello sport.
E’ l’incontro di Andre con il suo preparatore, con il suo primo allenatore, con la sua prima moglie e con la sua moglie attuale; del suo, enorme, impegno per il sociale, con la sua Fondazione e la sua Scuola, quella stessa scuola che, da ragazzotto un po’ trasgressivo (tratto, che, forse, non lo ha mai definitivamente abbandonato) ha eluso, preferendole quello che, al tempo, per lui non rappresentava altro che il male minore: il tennis.
Per sua stessa ammissione, “Open” voleva essere un regalo per i suoi due figli. Il racconto di una storia, di successi, tanti, eccessi, qualcuno, cadute e ascese, fino all’Olimpo e, forse, anche oltre.
Alla fine, invece, Agassi il regalo lo ha fatto a tutti noi lettori, oltre a chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare. 

Seguici sui social: