Nota a App. Milano, Sez. I, 24 ottobre 2023, n. 3015.
Con la sentenza 24.10.2023, n. 3015 la Corte d’Appello di Milano ha rigettato l’appello di una nota banca confermando la sentenza del Tribunale di Monza che aveva accertato la responsabilità della banca nella compravendita dei c.d. diamanti da investimento.
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La vicenda.
Nel 1998 un notaio acquistava 8 diamanti da investimento di IDB (società oggi fallita) presso la Banca convenuta pagandoli 98 milioni di lire.
La banca, tramite i suoi funzionari, lo aggiornava periodicamente sul rendimento dei diamanti (che appariva in costante crescita).
Nel 2019 IDB veniva dichiarata fallita. Da tale evento e dalle informazioni tratte da articoli di giornale e servizi televisivi, l’attore si era reso conto che l’investimento in diamanti non era l’operazione sicura e priva di rischi rappresentatagli dalla Banca e che, oltretutto, i valori di quotazione pubblicati sul quotidiano “il Sole 24 Ore”, che gli erano stati mostrati dalla Banca, erano, in realtà, valori fissati dalla medesima IDB, mentre l’effettivo valore delle pietre preziose era notevolmente inferiore.
Il cliente chiedeva il risarcimento del danno alla Banca, che, invece, si dichiarava estranea all’operazione avendo avuto un ruolo di mera segnalatrice.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Monza condannava la banca a risarcire al cliente la differenza tra il prezzo pagato ed il valore effettivo dei diamanti. La banca proponeva appello.
Le questioni giuridiche.
Innanzitutto la Corte d’Appello di Milano conferma che nel caso di specie non sia eccepibile la prescrizione in quanto “in tutti i casi in cui la manifestazione del danno non sia immediata ed evidente e possa apparire dubbia la sua ricollegabilità eziologica all’azione di un terzo, il momento iniziale dell’azione risarcitoria va riferito al momento in cui il danneggiato, adoperando la normale diligenza, ha avuto cognizione del danno, ossia al momento della reale e concreta percezione dell’esistenza e della gravità del medesimo”. Applicando tale principio la Corte milanese ritiene che la prescrizione debba decorrere dalla sentenza di fallimento di IDB.
La Corte conferma anche la legittimazione passiva della banca nonostante non fosse parte del contratto di compravendita di diamanti (concluso tra IDB ed il cliente). Accertato che la Banca non era estranea all’operazione sui diamanti, ma vi aveva preso parte attiva in ogni sua fase, essendo in
sostanza il soggetto che principalmente si relazionava con il cliente al riguardo, per la Corte d’Appello “appare incontrovertibile come, quantomeno, la carenza informativa (se non, anche, come una fedele interpretazione dell’obbligo di buona fede oggettiva nella fase precontrattuale richiederebbe, la violazione dell’obbligo di sconsigliare tale operazione), dapprima, e la scorrettezza e inattendibilità dei rendiconti trasmessi, poi, configurino inadempimento degli obblighi informativi e di protezione”.
In particolare il dovere di correttezza e buona fede risulta sistematicamente disatteso sin dalla fase iniziale del rapporto e, similmente, “sia stato obliterato per l’intera durata del medesimo, dal momento che la Banca ha non solo omesso di fornire informazione alcuna al cliente in ordine alla natura dell’acquisto e ai rischi insiti nell’operazione (operazione che, se la Banca avesse operato secondo la diligenza che si richiede a un operatore professionale, avrebbe persino dovuto sconsigliare), ma ha seguitato a fornire al medesimo, nel corso del rapporto, informazioni falsate, artefatte o, comunque, non veritiere, quanto all’andamento del listino quotazione delle pietre.”
Inoltre la Corte d’Appello conferma che il danno va quantificato nella misura della differenza tra il prezzo pagato dal cliente per l’acquisto delle pietre e il loro effettivo valore.
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