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Nota a Cass. 19 ottobre 2023, n. 29032.

Massima redazionale

Il Tribunale di Potenza, con ordinanza di rinvio ex art. 363bis c.p.c., ha prospettato la seguente questione preliminare:

«se il d.l. 99/2017, conv. con modd. nella l. n. 121/2017 faccia riferimento, con particolare riguardo ai casi di esclusione dalla cessione di cui all’art. 3, comma 1, lett. b) e c) del predetto d.l. 99/2017, nel suo complesso e anche alla luce dell’”ambito oggettivo del programma obbligatorio”, “regolato dalle parti” nell’ambito del “contratto di cessione” (Corte Cost. n. 225/2022), ai soli casi di debiti e controversie per lamentate condotte di c.d. misselling sussistenti e instaurate da azionisti e obbligazionisti subordinati/convertibili che abbiano acquistato azioni ovvero obbligazioni subordinate/convertibili delle Banche venete in liquidazione direttamente dalle Banche Venete ovvero anche a debiti e controversie per lamentate condotte di c.d. misseling sussistenti e instaurate da azionisti e obbligazionisti subordinati/convertibili che abbiano acquistato azioni ovvero obbligazioni subordinate/convertibili di tali Banche venete dalle società da queste ultime partecipate e facenti parte del medesimo gruppo.».

In particolare, il Tribunale rimettente si è interrogato sull’incidenza del nuovo assetto legislativo e dei contratti di cessione a questo conseguenti nei singoli rapporti sulla titolarità passiva della banca intermediaria in relazione alla domanda proposta, esponendo due opzioni interpretative alternative:

  • l’una che conduce a conservare tale titolarità ed esclude per improcedibilità che l’azione possa essere proposta anche nei confronti di Banca XXXXX;
  • l’altra che riconduce i contratti in oggetto alle situazioni rimaste in carico alla società bancaria in l.c.a., con le conseguenze che ex lege derivano dalla inclusione nella procedura concorsuale delle stesse.

Di tal guisa, l’ordinanza di rimessione della richiamata questione pregiudiziale chiama in causa diverse disposizioni del prefato D.L. n. 99/2017, sì come modificate in sede di conversione con l. n. 121/2017, intitolata “disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca XXXXXXXXXXX. e di XXXXXXX Banca”.

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A tal riguardo, si impone la necessità di una sintetica disamina normativa.

L’ambito di applicazione del summenzionato decreto-legge è stabilito dall’art. 1; segnatamente: «Il presente decreto disciplina l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca XXXXXXXX e di XXXXXXXX Banca s.p.a. ciascuna singolarmente, la “Banca” o, collettivamente, le “Banche” nonché le modalità e le condizioni delle misure di sostegno di queste ultime in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato. Ai fini del presente decreto per “soggetti sottoposti a liquidazione” si intendono le Banche poste in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’art. 2. […]».

Del pari, l’art. 2 regola la procedura di liquidazione coatta amministrativa: «1. A seguito dell’adozione della positiva decisione della Commissione europea di cui all’art. 1 comma 2, il Ministro dell’economia e delle finanze con uno o più decreti, adottati su proposta della Banca d’Italia, dispone: a) la liquidazione coatta amministrativa delle Banche; b) la continuazione, ove necessario, dell’esercizio dell’impresa o di determinati rami di attività per il tempo tecnico necessario ad attuare le cessioni previste ai sensi del presente decreto […]; c) che i commissari liquidatori procedano alla cessione di cui all’art. 3 in conformità all’offerta vincolante formulata dal cessionario individuato ai sensi dell’art. 3, comma 3. Con l’offerta il cessionario assume gli impegni ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato, identificati nell’offerta stessa; d) gli interventi indicati all’art. 4 a sostegno della cessione di cui all’articolo 3, in conformità all’offerta vincolante di cui alla lettera c). 2. Dopo l’adozione dei decreti di cui al comma 1, l’accertamento del passivo dei soggetti in liquidazione ai sensi dell’art. 86 del Testo unico bancario è condotto con riferimento ai soli crediti non ceduti ai sensi dell’art. 3, retrocessi ai sensi dell’articolo 4 o sorti dopo l’avvio della procedura […]».

L’art. 3, senza soluzione di continuità, disciplina le cessioni; al comma 1 è testualmente previsto: «1. I commissari liquidatori, in conformità con quanto previsto dal decreto adottato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, provvedono a cedere ad un soggetto, individuato ai sensi del comma 3, l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi. Alla cessione non si applica quanto previsto ai sensi degli articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, salvo per quanto espressamente richiamato nel presente decreto, e 90, comma 2, del Testo unico bancario. Restano in ogni caso esclusi dalla cessione anche in deroga all’articolo 2741 del codice civile: a) le passività indicate all’articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180; b) i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; c) le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività.».

Il quadro normativo evidenzia la centralità dei contratti di cessione ai fini dell’inclusione od esclusione dei debiti, ove riconducibili alla controllante, nella cessione medesima.

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L’art. 363bis c.p.c. richiede che la “questione” rimessa al preventivo intervento nomofilattico delle Sezioni Unite sia “esclusivamente di diritto”; per converso, nel caso di specie, è la stessa ordinanza a ritenere testualmente che “a fronte della peculiarità della fattispecie – nella quale, come detto e a fronte di una legge-provvedimento, è al “contratto di cessione” che occorra principaliter guardarsi per stabilire la disciplina applicabile e le componenti effettivamente “incluse” o “escluse”.

Risulta evidente che l’operazione preliminare da svolgere è quella della ricostruzione ermeneutica della volontà delle parti, sì come espressa in modo obiettivo nel contratto di cessione posto in essere fra i commissari liquidatori di Banca XXXXXX e l’offerente/cessionaria Banca XXXXX, operazione che attiene a un procedimento bifasico, condotto, da un lato, in punto di diritto (relativo all’individuazione ed applicazione dei criteri di ermeneutica legale), e altrettanto certamente implicante un giudizio in fatto (selezione degli argomenti ed accertamento in concreto della volontà delle parti).

Al riguardo, si richiamano tra gli altri alcuni precedenti significativi:

  • «L’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.»[1];
  • «Ai fini della ricostruzione dell’accordo negoziale, l’attività del giudice del merito si articola in due fasi; la prima diretta ad interpretare la volontà delle parti, ossia ad individuare gli effetti da esse avuti di mira, che consiste in un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo della motivazione, la seconda volta a qualificare il negozio mediante l’attribuzione di un “nomen iuris”, riconducendo quell’accordo negoziale ad un tipo legale o assumendo che sia atipico, fase sindacabile in cassazione per violazione di legge, e segnatamente dei criteri ermeneutici indicati dagli artt. 1362 e ss. c.c.»[2].

Nella specie, l’accertamento che il giudice del merito deve svolgere si articola su tre piani, tutti involgenti questioni di fatto: la qualificazione giuridica appropriata delle azioni svolte (nullità dei contratti-quadro e degli ordini di acquisto, risoluzione per inadempimento; conseguenze risarcitorie negoziali ed extracontrattuali) aventi, comunque, il tratto comune dell’accertamento della condotta precontrattuale, contrattuale e attinente all’esecuzione del contratto, esclusivamente dell’intermediario e non dell’emittente dei titoli azionari od obbligazionari; l’incidenza della sottomissione a l.c.a. del proprietario dei titoli sui diritti derivanti all’investitore quando l’intermediaria sia una controllata, tenuto conto della costante affermazione dell’autonomia patrimoniale delle società componenti un “gruppo” societario; la consequenziale collocazione di questi peculiari debiti, derivanti esclusivamente dal rapporto investitore intermediario, come nella generalità delle azioni che hanno a oggetto censure relative a contratti d’investimento, all’interno dei contratti di cessione o al di fuori, con conseguente necessità di esplorare oltre che la cornice normativa il contenuto negoziale dei contratti.

Ne consegue la non riconducibilità del quesito sottoposto nella questione di puro diritto e la sua conseguente inammissibilità.

 

 

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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 04.04.2022, n. 10745; Cass. n. 14355/2016.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. 6, 11.02.2021, n. 3590; Cass. 10.05.2018, n. 11254.

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