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«Il racconto fotografico della vita dell’uomo che ha saputo rendere più dolce, oltre che la nostra vita, l’imprenditoria italiana. Creando e condividendo valori.»

La biografia di Michele Ferrero è il racconto, quasi fotografico, di un precursore visionario, con un unico, grande, orientativo leitmotiv: la creazione di valore, da condividere, in un brillante circolo virtuoso. Invero, il sottotitolo sapientemente scelto dall’Autore (“Condividere valori per creare valore”) si presta a essere la più perfetta sintesi della storia umana del Signor Michele. Le basi artigiane e la visione lungimirante del padre Pietro, l’efficienza organizzativa dello zio Giovanni, la gestione familiaristica dell’azienda della mamma Piera sono gli ingredienti base del successo di quella che, oggi, è una tra le più grandi e più amate multinazionali, simbolo, nel mondo, di qualità e di qualità made in Italy. La preparazione della ricetta è affidata al Signor Michele, figlio di quel Pietro Ferrero, per molti lo “scienziato”, per dilettarsi, nel suo laboratorio, con tra sperimentazioni, macchinari e alambicchi, tracciando, malcelatamente, quella strada di sapiente creatività che, per tutti gli anni a venire, sarebbe stata sempre più convintamente percorsa in quella liquoreria della Langhe, divenuta, poi, anche cioccolateria torinese, fino a essere, oggi, una delle aziende più apprezzate a livello globale, impegnata in progettualità ramificate, che spaziano dalla sostenibilità ambientale ed energetica fino alla salute, all’istruzione e alla terza età. Un ecosistema complesso e ramificato, fondato su di un’idea semplice: la condivisione del valore.

Condividere valore significa essenzialmente consentire a tutti di potersene giovare. Un principio tutto sommato semplice; un’idea coraggiosa. La storia di Michele Ferrero nasce sui detriti del doppio dopoguerra italiano; i morsi della miseria rappresentano lo stimolo più pungente alla vena imprenditoriale di Pietro e Giovanni Ferrero, che si separano dalla propria famiglia, non di tanto geograficamente, per alimentare la loro idea: addolcire la quotidianità anche di quelle persone per cui il cioccolato rappresentava un bene inarrivabile. Lo zucchero viene rimpiazzato dalla melassa; il cacao dalla nocciola; il risultato sarà il venerando antenato della Nutella, quella pasta gianduia che, tra lo scetticismo dei concorrenti e l’iniziale ritrosia dei venditori, saprà conquistarsi, a forza di “spalmate”, sempre più ampie fette di mercato. Touché.

Il passaggio di testimone al giovane Michele è nella natura delle cose; d’altronde, la lungimiranza, la creatività, la condivisione, ma anche la riservatezza e il senso di responsabilità sono tutti tratti ereditari. L’improvvisato giovane venditore, che incespicava nella presentazione del nuovo prodotto (ed era costretto ad acquistare le biove), lascerà il posto allo studioso delle praline, dalla selezione dei loro ingredienti, allo studio dell’eleganza degli incartamenti, perché il loro acquisto e il loro regalo potesse rappresentare, per tutti, un momento speciale. La sperimentazione non è unicamente dolciaria, ma si presta a essere un dettame trasversale; lo sarà nel welfare aziendale (dagli autobus specificamente dedicati ai dipendenti alla Fondazione per i lavoratori pensionati); lo sarà nel marketing (dal treno dei bimbi sino alle prime sponsorizzazioni sportive); lo sarà nelle relazionalità con tutti, dipendenti, fornitori, stakeholder e concorrenti. L’intensa partecipazione collettiva nei momenti di maggiore tensione e criticità per la famiglia Ferrero e per l’azienda sarà la cartina di tornasole dell’onestà e del rispetto sempre preordinati in ogni rapporto.

Per quanto inequivocabilmente centrale e attrattiva, la figura del Signor Michele è, comunque, destinata a restare sullo sfondo, volutamente sfocata, con l’obiettivo sempre a favore dell’unico vero protagonista: il prodotto, che è l’unico oggetto di riferimento e di valutazione, da parte di quella estremamente esigente “Signora Valeria”, la quisque de populo che con una sua stroncatura, senza preavviso, poteva segnare il declino di ogni progettualità aziendale. Così, in ogni decisione, il cliente è uber alles, al di sopra di tutto, anche in quella Germania, prima sede di dislocazione estera, nella quale, anche contro il pregiudizio post-bellico dedicato agli italiani, riuscirà a imporsi il gusto ricercato del Mon Chéri, nel suo elegante incartamento rosa, sarà sperimentato il primo “vallo estivo” e, last but not least, nascerà (simbolicamente) la Kinder (che non ha bisogno di presentazioni). Michele Ferrero non venderà mai se stesso, non cederà mai alle lusinghe di un’intervista (l’unica, concessa a Mario Calabresi, sarà pubblicata postuma, come da sue espresse volontà), né a quelle della politica. Si trincererà dietro un silenzio, che lascerà sempre parlare i risultati.

In una narrazione fotografica (che, forse, per il notevole numero di interventori diventa, a tratti, frammentata e difficile da monitorare), Due sono i passaggi che meritano una considerazione conclusiva e si tratta di due condivisioni. ça va sans dire.

Il desiderio di poter condividere con tutti un qualcosa di inarrivabile per qualcuno: la cioccolata, nel dopoguerra.

Il desiderio di poter condividere un momento di gioia, nella quotidianità, anche decontestualizzato e destagionalizzato: l’ovetto Kinder, dall’uovo pasquale. 

Due condivisioni, due piccoli, grandi gesti, per rendere più dolce la nostra vita di tutti i giorni. D’altronde, dal papà di Nutella non ci si poteva aspettare nulla di meno.

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