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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 21 luglio 2023, n. 21959.

di Benedetta Tommasi

Tirocinante presso la Sezione Commerciale del Tribunale Civile di Lecce

Nel solco di una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della determinazione del compenso del commissario giudiziale, e dei relativi criteri suscettibili di applicazione, nell’ambito della procedura di concordato preventivo, statuendo il seguente principio di diritto: “Ai fini della determinazione del compenso unico spettante al commissario giudiziale per l’attività̀ svolta nelle due fasi ante e post omologa, così come nella eventuale fase preconcordataria, va disapplicato, per irragionevolezza e disparità di trattamento, l’art. 5, commi 1 e 2, del d.m. n. 30 del 2012, là dove distingue tra attivo realizzato e inventariato a seconda di due gruppi eterogenei di tipologie di concordato, dovendosi invece fare riferimento, in tutti i casi, all’attivo inventariato[1].

Nel caso di specie, le censure a base del ricorso si fondano su due motivi, il primo riguardante la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 165 legge fall. e dell’art. 5 D.M. n. 30/2012, violazioni ascrivibili, nel caso de quo, al Tribunale di Perugia, il quale ha disapplicato l’art. 5, comma 1 predetto, “calcolando il compenso dei Commissari Giudiziali, (…) anche sulla base dell’attivo risultante dall’inventario redatto ai sensi dell’art. 172 legge fall”[2]; il secondo motivo, invece, in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 165 legge fall. e degli artt. 1 e 5 D.M. n. 30/2012, in riferimento alla circostanza che il Tribunale adito ha liquidato il compenso come se la procedura non solo fosse approdata all’omologa, ma avesse visto anche successivamente liquidati tutti i suoi cespiti dell’attivo.

La Cassazione, sulla scorta delle argomentazioni di diritto espletate dal ricorrente, dichiara infondato il primo motivo rilevando un aspetto di irragionevolezza nell’art. 5 del d.m. 30/2012, laddove esso individua, ai commi 1 e 2, due diversi criteri per la liquidazione del compenso del commissario giudiziale.                                                                                                                                           La Suprema Corte nelle proprie argomentazioni, conferma e ribadisce che nell’alveo della complessità dell’attività concordataria, pur sussistendo una corposa base imprescindibile di attività comune a tutte le tipologie di concordato[3], il discrimine tra il primo ed il secondo comma dell’art. 5, d.m. 30/2012 risiede nella presenza o meno di attività di liquidazione, e non nella differente tipologia di concordato, in specie tra concordato in continuità̀ aziendale e le altre forme.

La Corte valuta legittima l’attività svolta dal Tribunale di Perugia nel caso, qualificandola avvedutamente quale attività ermeneutica, posta in essere per attenuare gli aspetti di irragionevolezza, rilevati nell’art. 5 del d.m. 30/2012, in riferimento ai principi di ragionevolezza e uguaglianza, in particolare, nella parte in cui, ai primi due commi, individua due differenti criteri per la liquidazione del compenso del commissario giudiziale in relazione alla tipologia di concordato preventivo, evidenziando, al contrario, la legittimità dell’applicazione del criterio unitario.

In merito al secondo motivo, la Corte ne rileva la fondatezza precisando che, tenuto conto della legittima disapplicazione dell’art. 5, comma 1, d.m. n. 30/2012, il Tribunale è comunque tenuto a combinare tale principio con l’imprescindibile applicazione della regola rinvenuta nell’art. 5, ma al comma 5° del d.m. predetto, secondo cui, qualora il commissario o il liquidatore giudiziale cessino dalle funzioni prima della chiusura delle operazioni, il compenso è liquidato – sulla base dei parametri fissati nei primi tre commi – «conformemente ai criteri previsti dall’art. 2, comma 1», il quale a sua volta impone di provvedere alla determinazione del compenso «tenuto conto dell’opera prestata[4].

In linea conforme con il principio di proporzionalità dei compensi, la pronuncia oggetto della presente nota di commento, rileva che il Tribunale adito abbia equiparato irragionevolmente l’attività svolta dal Commissario Giudiziale fino all’ultimazione della procedura di concordato preventivo con quella svolta dal Commissario, il cui incarico si sia interrotto prima del compimento della procedura.

Diversamente argomentando la Suprema Corte, da un lato conferisce rilevanza al principio di ragionevolezza e uguaglianza nell’ambito dei criteri da applicare nella determinazione dei compensi per le procedure concordatarie, stabilendo che la liquidazione del compenso risulti legittima quando risulti determinata in relazione all’effettiva attività svolta dal commissario, alla luce anche delle caratteristiche del caso concreto; dall’altro constata l’imprescindibilità dell’applicazione del principio di proporzionalità dei compensi, qualificandolo quale principio dirimente ai fini di un legittimo compenso per l’attività espletata[5].

 

 

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[1] Cfr. sent. Cass., 23.07.2023, n. 21959, pag. 16.

[2] Cfr. sent. Cass., 23.07.2023, n. 21959, pag. 3.

[3] Cfr. sent. Cass., 23.07.2023, n. 21959, pag. 9.

[4] Cfr. sent. Cass., 23.07.2023, n. 21959, pag. 14.

[5] Il rif. è a Cass. n. 3871/2020, Cass. n. 26894/2020.

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