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Nota a Cass. Civ., Sez. II, 17 febbraio 2023, n. 5073.

di Alessio Buontempo

Praticante Avvocato

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi a seguito di ricorso presentato avverso sentenza di Corte d’Appello avente ad oggetto l’istituto del trust non di diritto interno e la presunta violazione delle quote di legittima.

Il giudice di prima cure rilevava che nell’atto costitutivo del trust quali beneficiari dei fondi ivi immessi erano indicati, oltre che gli stessi disponenti, anche i loro figli e discendenti, ma che la clausola relativa a questi ultimi dovesse però considerarsi frutto di un errore nell’uso di un modello preconfezionato, in quanto si legge prima che “i figli e discendenti sono beneficiari, siano essi legittimi, legittimati, illegittimi o adottati”, ma subito dopo era aggiunta una esclusione di qualsiasi persona illegittima e dei suoi discendenti. Si rilevava, inoltre, che si fosse in presenza di un trust discrezionale in virtù dei poteri riservati ai trustee, ove si permetteva a questi di pagare il capitale del trust a tutti i beneficiari o ad uno di loro, a vantaggio di tutti o di uno soltanto, nelle proporzioni e nel modo da loro ritenuto opportuno; è proprio su tale base che si giustificava, in termini di interesse ad agire, la proponibilità delle domande dei figli e quindi eredi legittimi, in ragione del rilievo per cui il trust discrezionale non garantisce all’erede legittimario quella quota certa e determinata del patrimonio del de cuius che le attribuisce inderogabilmente il diritto italiano.  Sussisteva quindi il concreto interesse, ex art. 1421 c.c., a fare dichiarare la nullità di atti negoziali che avevano determinato una riduzione del patrimonio relitto dal de cuius, che costituisce uno dei parametri per la determinazione della quota di legittima. Ma le domande erano ritenute infondate quanto alla nullità del trust perché non riconoscibile in Italia, per contrarietà ai limiti posti dall’ordinamento interno al “mandato a donare” (art. 778 c.c.) e per violazione delle norme inderogabili che riguardano “i testamenti e la devoluzione dei beni successorii, in particolare la legittima”.

La sentenza, ribadito che non si era al cospetto di un c.d. trust interno, trattandosi di un atto stipulato all’estero e volto a diventare strumento per la gestione di un ampio gruppo di società, di cui quelle al vertice erano società estere e nel quale i designati trustee erano soggetti esteri e non meramente domiciliati all’estero, reputava che non vi fosse nessun ostacolo alla riconoscibilità e validità in astratto del trustBuncher”, occorrendo al più verificare se la sua “causa concreta” si rivelasse contraria ai principi e alle norme inderogabili dell’ordinamento italiano. Emergeva piuttosto che il trust non era stato utilizzato quale strumento, nel caso concreto, volto ad aggirare l’applicazione di principi o norme dell’ordinamento interno e in una situazione in cui, al contrario, l’applicazione di quei principi o norme era da considerare inderogabile.

Sul merito della pretesa violazione elusiva delle norme in materia di successione necessaria il Tribunale rilevava che non si trattava di verificare se l’istituzione del trust e il conferimento dei beni nello stesso avessero comportato una lesione della legittima spettante all’istante, bensì di accertare se quegli atti fossero stati rivolti allo scopo, o avessero comunque l’effetto di eludere o rendere inattuabile la tutela dell’erede legittimario.  A tale dubbio la Suprema Corte ritene andasse data un risposta negativa, in quanto oggetto dei conferimenti in trust furono esclusivamente partecipazioni ai capitali di società tutte appartenenti al medesimo gruppo creato e coordinato dallo stesso, e doveva così presumersi che il disponente avesse l’obiettivo di garantire continuità ad una gestione unitaria e coordinata dal gruppo di imprese.

Avverso la sentenza del Tribunale l’attrice aveva proposto appello poi rigettato dalla stessa Corte d’appello, la quale esaminando prioritariamente il secondo motivo di appello, la Corte rilevava che, anche a voler in astratto ipotizzare che il trasferimento della partecipazione azionaria del de cuius al trust fosse volto a pregiudicare i futuri diritti del legittimario, l’ordinamento italiano non sanziona tale condotta con la nullità, avendo apprestato diversi rimedi, finalizzati a rendere inefficaci gli atti lesivi. E stante l’assimilazione degli atti denunciati a delle liberalità indirette, la parte attrice poteva trovare soddisfacimento nell’esercizio dell’azione di riduzione, che nel caso di spece non era stata proposta.

I motivi di ricorso alla Suprema Corte erano tre: i) la violazione degli artt. 13 e 15, co. 1, lett. c) della legge n. 364/1989, che ha trasposto in Italia la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, nonché dell’art. 1418, co. 2, 1343, 1344, 1345 e degli artt. 549, 631 e 778 c.c.; ii) la violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nel non avere la Corte d’Appello considerato, ai fini della riconoscibilità del trust, anche la difficoltà di una concreta esperibilità dell’azione di riduzione nei confronti del trustee straniero del trust discrezionale; iii) la violazione degli artt. 13 e 15, co. 1, lett. c), della legge n. 364/1985 nonché degli artt. 1418, 1343, 1344, 1345 c.c., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.

I tre motivi vengono esaminati congiuntamente e ritenuti infondati, ove in primo luogo il secondo motivo è stato ritenuto inammissibile in ragione dell’applicazione alla fattispecie della previsione di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., avendo la Corte d’Appello confermato la decisione di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto che sostengono la decisione appellata. Per quanto attiene invece alle violazioni di legge, si sottolinea innanzitutto che l’atto di cui si chiede di accertare la nullità è un trust non di diritto interno, inter vivos, in quanto posto in essere dal de cuius quando era ancora in vita, e di carattere discrezionale, in quanto erano riservate alla valutazione discrezionale del trustee sia l’individuazione dei beneficiari, sia la misura delle attribuzioni. Come sottolineato in dottrina, e come peraltro emerge dalla prassi ormai diffusasi anche in Italia, il trust è un istituto “polimorfo”, in quanto sebbene connotato dal tratto comune di essere un negozio gestorio con funzione attributiva, in concreto, può prestarsi ad attuare le più svariate finalità.

Trattasi peraltro di acquisizione che deve reputarsi consolidata anche nella giurisprudenza della stessa Suprema Corte che ha, nella sua più autorevole composizione, affermato che il “trust inter vivos, con effetti “post mortem, deve essere qualificato come donazione indiretta, rientrante, in quanto tale, nella categoria delle liberalità non donative ai sensi dell’art. 809 c.c., poiché l’attribuzione ai beneficiari del patrimonio che ne costituisce la dotazione avviene per atto del “trustee”, cui il disponente aveva trasferito la proprietà, sicché l’avvenuta fuoriuscita del “trust fund dal patrimonio di quest’ultimo quando era ancora in vita esclude la natura “mortis causa” dell’operazione, nella quale l’evento morte rappresenta mero termine o condizione dell’attribuzione, senza penetrare nella giustificazione causale della stessa. La riconduzione dell’istituto oggetto di causa nel novero delle liberalità non donative di cui all’art. 809 c.c. porta poi a dover reputare, come sostenuto dai giudici di appello, che la tutela dei diritti successori dei legittimari, asseritamente pregiudicati da tali atti sia assicurata con l’esercizio dell’azione di riduzione, rimedio che determina la mera inefficacia dell’atto pregiudizievole, ma non anche la nullità, come peraltro ribadito dalla costante giurisprudenza di questa Corte.

Ritiene, quindi, il Collegio che debba definitivamente affermarsi, conformemente alla soluzione cui sono pervenuti i giudici di merito, che il rimedio assicurato al legittimario che assuma essere stato leso dal trust e dai suoi atti di dotazione, resti quello del ricorso all’azione di riduzione.

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