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Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 3 gennaio 2023, n. 87.

di Alessio Buontempo

Praticante Avvocato

La Suprema Corte è stata adita su ricorso proposto da Poste Italiane S.p.A. avverso la sentenza n. 183/2021 della Corte d’Appello di Torino avente ad oggetto il corretto calcolo degli interessi maturati su due buoni fruttiferi postali di durata trentennale della serie Q/P, ove la Corte di Torino ha condannato la parte ricorrente a corrispondere la somma di euro 119.620 con accessori e spese a titolo di interessi maturati sugli stessi.

Il motivo di ricorso è unico e si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 173 D.P.R. n. 156/1973 e dei principi espressi dalla Suprema Corte nella sentenza n. 13979/2007.

I buoni oggetto della controversia furono acquistati nell’ottobre del 1987 ed emessi su supporto cartaceo della precedente serie “P”, di durata trentennale, e con un timbro recante una stampigliatura riferita alla quantificazione degli interessi per un periodo di un ventennio, e il cui timbro seppur sovrapposto al preesistente testo a stampo non oscura la previsione della precedente serie “P” relativa all’ultimo decennio. E’ proprio a questo ultimo periodo temporale che si riferisce la controversia e quindi la quantificazione degli interessi, e soprattutto se la quantificazione debba avvenire secondo quella parte dell’impressione a stampa relativa ai vecchi titoli della serie “P”, o diversamente sulla base di quanto previsto dal D.M. 13 giugno 1986 relativo ai buoni della serie “Q”.

La prima disposizione che a questi fini la Cassazione evidenzia è l’art. 173 D.P.R. n. 156/1973, così come novellato dal D.L. n. 460/1974, ove si prevede che “1. Le variazioni del saggio d’interesse dei buoni postali fruttiferi sono disposte con decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per le poste e le telecomunicazioni, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale; esse hanno effetto per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie. 2. Ai soli fini del calcolo degli interessi, i buoni delle precedenti serie, alle quali sia stata estesa la variazione del saggio, si considerano come rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie e il relativo computo degli interessi è effettuato sul montante maturato [..]”, e in secondo luogo e strettamente collegato è l’art. 4, D.M. 13 giugno 1986 con cui venne istituita una nuova serie di buoni postali fruttiferi distinta con la lettera “Q” i cui saggi di interesse venivano stabiliti nella misura indicata nelle tabelle allegate al decreto, e l’art. 5 ove espressamente si sancisce che “sono a tutti gli effetti, titoli della nuova serie ordinaria, oltre i buoni postali fruttiferi contraddistinti con la lettera “Q” [..], i buoni della precedente serie “P” emessi dal 1 luglio 1986. 2. Per questi ultimi verranno apposti, a cura degli uffici postali, due timbri: uno sulla parte anteriore, con la dicitura “Serie Q/P”, l’altro, sulla parte posteriore, recante la misura dei nuovi tassi”. E’ principalmente sulla base di tali dettati normativi che la giurisprudenza – richiamata dalla Corte – ha adottato nel tempo soluzioni su fattispecie non sempre però omogenee: in un primo periodo la S.C.[1]  riconobbe la piena validità, sulla base del novellato art. 173 sopra richiamato, dell’esercizio ad opera di Poste Italiane dello ius variandi in peius, fissando così un principio più volte ribadito e diretto a sottolineare che sul tenore letterale del buono erano destinate a prevalere le successive determinazioni ministeriali che avessero mutato le modalità di calcolo degli interessi.

In un secondo momento sulla materia si è pronunciata la S.C. a Sezioni Unite[2] con cui si è ribadita la natura dei buoni postali fruttiferi quali titoli di legittimazione ex art. 2002 c.c. e non titoli di credito, ma evidenziando che “il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli” è “destinato a formarsi proprio sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti”. Così, il rapporto tra il sottoscrittore e Poste si instaura su un piano negoziale, con conseguente soggezione alla disciplina del contratto. Viene inoltre e da ultimo richiamata una recente pronuncia della medesima Corte a Sezioni Unite del 2019[3] che si pone in continuità con la giurisprudenza pregressa, in particolare relativamente alla natura negoziale del rapporto e alla soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali diretti a modificare il tasso degli interessi originariamente previsti, trovando ingresso nel contratto mediante la previsione di cui all’art. 1339 c.c.

Il raffronto tra le due pronunce a Sezioni Unite ha reso necessario precisare ad opera della Corte l’operatività del congegno previsto dall’art. 1339, nel cui solco, secondo la pronuncia del 2019, si colloca la previsione ex art. 173 nella parte in cui prevede che “Le variazioni del saggio d’interesse […] hanno effetto per i buoni di nuova serie […] e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie”, il codice civile all’articolo richiamato prevede un duplice congegno di inserzione automatica delle clausole, in via di integrazione del contratto, e in via di sostituzione delle clausole difformi, riportando a questo secondo caso quello di cui all’art. 173 in quanto vi è una sostituzione della misura degli interessi pattuita dalle parti originariamente.

Il collegio così ribadisce e condivide l’orientamento delle Sezioni Unite che nelle due occasioni richiamate hanno attribuito una efficacia cogente all’art. 173 e al Decreto Ministeriale D.M. 13 giugno 1986, cogenza ritenuta necessaria ai fini dell’operare del congegno della sostituzione, e rinvenibile dalla complessiva disciplina dei buoni fruttiferi postali, intesi quali strumenti del debito pubblico.

Sulla base di tali argomentazioni la Corte di Cassazione ha dichiarato la fondatezza del motivo del ricorso, ritenendo che a causa di una non corretta lettura dei principi derivanti dalle pronunce del 2007 e 2009 delle Sezioni Unite, la Corte di merito abbia ritenuto – in una prospettiva diametralmente opposta – far discendere la quantificazione degli interessi dovuti dal testo del buono nella parte non soppressa dal timbro appostovi. La sentenza viene quindi cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Torino.

 

 

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[1] Cfr. Cass., 16 dicembre 2005, n. 27809.

[2] Cfr. Cass., Sez. Un., 15 giugno 2007, n. 13979.

[3] Cfr. Cass., Sez. Un., 11 febbraio 2019, n. 3963.

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