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Nota a Cass., Sez. II Pen., 29 novembre 2021, n. 43887.

di Donato Giovenzana

 

Secondo la Suprema Corte, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il delitto presupposto alla ricettazione in giudizio è il furto e non l’appropriazione di cose smarrite, dovendosi ribadire il principio di diritto secondo cui “nell’ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni, le carte di credito o le carte postepay, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne impossessa senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e che l’ulteriore circolazione del bene mediante il trasferimento a terzi comporta l’integrazione del reato di ricettazione da parte dei successivi possessori”, (Sez. 2 – , Sentenza n. 4132 del 18/10/2019).

Il principio – pur affermato per assegni, carte di credito e carte bancomat -, ben si attaglia al caso concreto, discriminandosi il furto dall’appropriazione di cose smarrite sulla base della identificabilità del proprietario e/o del titolare della cosa mobile. Infatti, quando quest’ultimo sia ben identificato, il ritrovatore – ai sensi dell’art. 627, c.c. – ha l’obbligo di restituirlo al proprietario che – proprio in ragione della sua certa identificabilità – conserva il pieno dominio sulla cosa mobile; dominio che viene meno solo in ragione della mancata restituzione, che viene ad atteggiarsi alla stregua di uno spossessamento e, dunque, di un furto consapevole. Difatti, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 647 c.p. è richiesta la sussistenza di tre presupposti: che la cosa rinvenuta sia uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore; che sia impossibile per il legittimo detentore ricostruire sulla cosa il primitivo potere di fatto per ignoranza del luogo ove la stessa si trovi; che siano assenti segni esteriori pubblicitari tali da consentire di identificare il legittimo possessore (Sez. 5, n. 11860 del 22/09/1998).

E nel caso in esame invece i segni esteriori del bene erano certi ed evidenti, tali da attestare nei confronti di chiunque la sua appartenenza ad un preciso legittimo titolare. Da ciò discende che del tutto correttamente l’imputazione indica quale reato presupposto il furto ovvero la ricettazione, atteso che il possesso della cosa consapevolmente altrui si spiega soltanto con il furto o con la ricezione da parte del ladro o da precedente ricettatore.

Si mostrano del pari infondati i motivi esposti con riguardo all’ipotesi di cui all’art. 648, comma secondo, c.p. e all’art. 62, n. 4, c.p., alla luce di un unico, comune, principio di diritto, in forza del quale “Nel caso di ricettazione avente ad oggetto moduli in bianco relativi a carte di identità, non è configurabile la circostanza attenuante di cui all’art. 648 cod. pen., nè quella di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen., poiché il valore da considerare per la valutazione del danno non è quello dello stampato, ma quello, non determinabile, derivante dalla sua potenziale utilizzabilità”, (Sez. 2 – , Sentenza n. 14895 del 18/12/2019 Ud., dep. 13/05/2020). Il principio è ulteriormente specificato sia con riguardo all’ipotesi di cui all’art. 648, comma secondo, c.p., in relazione al quale si è affermato che “non è configurabile la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità con riferimento al delitto di ricettazione avente ad oggetto assegni in bianco e documenti, poiché il valore da considerare per la valutazione del danno non è quello dello stampato, ma quello, non determinabile, derivante dalla sua potenziale utilizzabilità”, (Sez. 2, Sentenza n. 24075 del 04/02/2015); sia con riguardo all’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod.pen., al cui proposito si è affermato che “la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità non è applicabile in caso di ricettazione di patente di guida, poiché in tale ipotesi il valore da tener presente per la valutazione del danno non è quello dello stampato, ma quello, certamente non determinabile o comunque di non speciale tenuità, del documento che lo stampato ha consentito di formare” (Sez. 2, Sentenza n. 39825 del 22/05/2009).

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