Nota a App. Venezia, Sez. I, 14 agosto 2025, n. 2703.
Massima redazionale
Nel caso di specie, il contratto di mutuo prevedeva, sia per la fase di ammortamento che per la fase di preammortamento, un tasso pari alla media Euribor 3 mesi incrementato del 4%, stabilendo che “il tasso di interesse non sarà in ogni caso inferiore allo spread”, ovverosia una clausola c.d. floor. Il contratto non prevede, invece, la clausola c.d. cap, con la quale viene stabilito un limite all’incremento del saggio di interesse che il mutuante può pretendere nel caso di incremento del tasso Euribor.
Orbene, la Corte veneziana condivide le considerazioni svolte da quella giurisprudenza che ha ravvisato la mancanza nelle clausole floor degli elementi tipici dello strumento finanziario derivato, quali il patto per lo scambio, a scadenze prefissate, di flussi monetari legati a determinati e distinti nozionali di riferimento e l’addebito, all’una o all’altra parte, del conguaglio a debito. Più in generale, è stato giustamente notato come l’opzione floor assume la natura di strumento finanziario solo nel caso in cui le parti stipulino il contratto al fine di trasferire un rischio e non una somma di denaro. Pertanto, non ogni contratto che preveda un tasso minimo può essere considerato un contratto avente natura di contratto derivato implicito con conseguente applicazione degli obblighi informativi ad esso relativi e contemplati nel TUF. È, quindi, corretto concludere che la presenza di una clausola di tasso “floor” non fa assumere automaticamente al contratto cui accede la natura di strumento finanziario, con conseguente applicabilità di tutta la disciplina del c.d. TUF né può fondatamente ritenersi che la pattuizione di interessi “minimi” da corrispondersi da parte del mutuatario al mutuante, quale accessorio dell’obbligo di restituzione e remunerazione per la cessione del capitale, snaturi l’essenza del contratto mutandone la natura da contratto reale avente causa finanziamento a strumento finanziario con cui il cliente, controparte dell’istituto di credito, mira a realizzare un investimento mobiliare economicamente proficuo, ed ha diritto a ricevere informazioni complete e puntuali in relazione all’effettivo grado di rischio assunto, e sull’equilibrio delle condizioni contrattuali così effettivamente praticate. Posto che, nel caso di specie, non vi è alcuna finalità di ripartizione/trasferimento di un rischio, ma si è in presenza di clausole con le quali l’istituto di credito ha voluto semplicemente assicurarsi una minima redditività a seguito dell’erogazione della somma mutuata, la causa rimane quella del contratto bancario e, pertanto, va negata la necessità di applicare le norme sul TUF.
Va comunque evidenziato che l’accoglimento della tesi che considera applicabili le norme del TUF non renderebbe di certo nulla la clausola posto che dovrebbe ravvisarsi al più una violazione delle norme in materia di informazione dell’investitore stabilite dal TUF e della normativa secondaria della CONSOB. Invero, è principio consolidato[1] quello secondo cui la violazione di norme di comportamento non determina la nullità del contratto. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all’art. 6 della legge n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto-quadro”; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418, primo comma, c.c., la nullità del cosiddetto “contratto-quadro” o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso.
Quanto alla natura asseritamente vessatoria della clausola floor, il Collegio rileva che essa non rientra tra quelle indicate negli artt. 1341 e 1342 c.c. e che non è applicabile la disciplina consumeristica, in quanto l’appellante non è un consumatore. Infine, nessuna norma impone la previsione di una clausola cap, volta a bilanciare gli effetti della clausola floor e tali clausole concorrono alla determinazione della misura del tasso di interesse che è rimessa all’autonomia negoziale delle parti. Trattasi, quindi, di aspetti rilevanti solo per la valutazione della convenienza dell’operazione sul piano economico, potendo il mutuatario rivolgersi ad altro istituto di credito qualora consideri eccessiva la misura degli interessi che la mutuante gli potrà chiedere per effetto dell’inserimento (o dell’omesso inserimento) di siffatte clausole.
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19.12.2007, n. 26724.
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