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Nota a Trib. Monza, Sez. I, 21 maggio 2025, n. 1028.

di Bianca Tempesta

Avvocato praticante

Con la sentenza n. 1028/2025, il Tribunale di Monza affronta in maniera chiara e sistematica una questione centrale nei giudizi relativi alle fideiussioni bancarie: la distribuzione dell’onere probatorio nei casi in cui il garante invochi la nullità del contratto per violazione della normativa antitrust, sulla scorta del noto provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005.

La decisione riguarda un’opposizione a decreto ingiuntivo fondata sull’asserita nullità di una fideiussione omnibus che, secondo l’opponente, riproduceva clausole conformi a quelle censurate dallo schema ABI del 2003. In particolare, il garante eccepiva che le clausole di “sopravvivenza”, “reviviscenza” e rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. avrebbero dovuto condurre alla nullità dell’intera garanzia per contrasto con l’art. 2 della L. n. 287/1990 (c.d. Legge antitrust).

Il Tribunale, tuttavia, disattende tale prospettazione, ribadendo un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ovvero che non è sufficiente il mero riscontro testuale della presenza delle clausole incriminate per dichiarare la nullità della fideiussione.

L’onere della prova ricade interamente sul fideiussore che intenda far valere la nullità per violazione della disciplina sulla concorrenza. Più precisamente, chi eccepisce la nullità deve allegare e dimostrare che la Banca abbia effettivamente aderito ad un’intesa anticoncorrenziale “a monte”, volta ad imporre l’utilizzo uniforme del modello ABI censurato.

Il Tribunale sottolinea che il provvedimento della Banca d’Italia del 2005 non può, da solo, costituire prova della condotta anticoncorrenziale della Banca nel caso concreto, ma si limita ad accertare l’illiceità astratta di uno schema contrattuale se applicato in modo uniforme da più istituti.

È, dunque, richiesto al garante uno sforzo probatorio concreto e circostanziato, che non si esaurisca nella semplice riproduzione di clausole simili a quelle del modello ABI, ma che si traduca in allegazioni specifiche su data e modalità di predisposizione del modulo fideiussorio impiegato; prassi uniformi seguite dall’istituto di credito; esistenza e contenuto di eventuali accordi di cartello.

Nel caso in esame, tale onere non è stato assolto; l’opponente non ha fornito alcun elemento da cui desumere la partecipazione dell’istituto bancario ad una condotta illecita sotto il profilo concorrenziale. Né ha dimostrato che la fideiussione impiegata fosse una diretta applicazione del modello ABI, oggetto di censura.

La sentenza valorizza, pertanto, la mancanza di prova dell’intesa e rigetta la pretesa nullità, affermando che, in assenza di dimostrazione della condotta anticoncorrenziale, la clausola, anche se identica a quella dello schema vietato, resta valida.

La pronuncia si distingue per la chiarezza con cui riafferma il principio della non automatica nullità delle fideiussioni contenenti clausole “ABI” e per la puntualità con cui richiama l’indirizzo espresso dalla Suprema Corte (Cass. 28/11/2018 n. 30818), secondo cui spetta al garante fornire piena prova dell’intesa illecita e dell’applicazione concreta di essa al contratto impugnato.

In definitiva, il Tribunale di Monza offre un’importante conferma dell’impostazione rigorosa in materia di onere probatorio, impedendo che la sola presenza di clausole “antitrust-sensitive” sia pretesto per ottenere una declaratoria di nullità non supportata da fatti specifici.

Si tratta di una lettura coerente con l’esigenza di evitare automatismi demolitori e con la funzione stessa della normativa anticoncorrenziale, la quale non mira a invalidare indiscriminatamente i contratti, ma a colpire le intese distorsive che alterano concretamente le dinamiche del mercato.

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