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Nota a Corte Cost., 19 luglio 2024, n. 137.

Massima redazionale

È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE – dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, che vieta di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (NCC) sino alla piena operatività del registro informatico nazionale delle imprese titolari di licenza taxi e di autorizzazione NCC. La norma ha consentito, per oltre cinque anni, all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori, compromettendo gravemente la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea, semplicemente bloccando, con il succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro successiva sospensione), la piena operatività del registro informatico.

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È proprio il caso di dire che il Governo “se l’è cercata”. Era stato infatti impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri (in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 118, primo e secondo comma, della Costituzione) l’art. 1 della legge della Regione Calabria 20 aprile 2023, n. 16, recante «Autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente (NCC)», il quale prevedeva il rilascio di duecento autorizzazioni ai fini dello svolgimento del servizio NCC, mentre l’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018 non consentiva il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza taxi e di autorizzazione NCC. Ma la Corte costituzionale aveva sollevato davanti a sé la questione nei termini e con riferimento ai parametri di cui in massima. 

A nulla è valsa la “pezza a colore” costituita dal decreto 2 luglio 2024, n. 203 del Capo dipartimento per i trasporti e la navigazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha definito «le modalità di attivazione» del registro informatico depositato dall’ Avvocatura generale il giorno antecedente l’udienza del 3 luglio 2024, in cui è stata discussa la causa introdotta, appunto, dall’ordinanza di autoremissione.  A riguardo la sentenza precisa che” l’adozione del suddetto decreto n. 203 del 2024 non ha alcuna incidenza sul presente giudizio, dal momento che le censure sono state prospettate sulla disposizione legislativa in ragione della sua «struttura», a prescindere dalle evenienze «di fatto» e dalle «circostanze contingenti» attinenti alla sua concreta applicazione.”

Ricostruito il succedersi delle incresciose dilazioni fondate sulla norma impugnata, che “ha consentito per oltre cinque anni dalla sua entrata in vigore (e potrebbe consentirlo in futuro) di mantenere in vita un divieto, vincolante per regioni ed enti locali, che ha gravemente compromesso la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea”, essa viene dichiarata illegittima per una molteplicità di parametri. La pluralità dei vizi individuati evidenzia, insieme con la vicenda storica di proroghe, sospensioni, rinvii, affannosi adeguamenti al decisum della giustizia amministrativa, mancato ascolto dell’AGCM, la prevalenza degli interessi corporativi su quelli pubblici.

“ I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare effettività alla libertà di circolazione, «che è la condizione per l’esercizio di altri diritti, per cui la forte carenza dell’offerta» – che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo – generata dal potere conformativo pubblico ha indebitamente compromesso «non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese»”. In particolare la norma ha” danneggiato la popolazione anziana e fragile, che, soprattutto nelle metropoli, non è in grado di utilizzare (o anche semplicemente raggiungere) gli altri servizi di trasporto di linea, ma che ha stringenti necessità di mobilità che, in particolare, si manifestano in riferimento alle esigenze di cura. Ha compromesso le esigenze di accesso a una mobilità veloce, spesso indispensabile a chi viaggia per ragioni di lavoro. Ha recato danno al turismo e all’immagine internazionale dell’Italia, dal momento che l’insufficiente offerta di mobilità ha pregiudicato la possibilità di raggiungere agevolmente i luoghi di villeggiatura”. Essa ha consentito “in concreto all’autorità amministrativa di bloccare a tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di NCC, con effetti protezionistici consistenti nell’elevare un’indebita barriera alla libertà di accesso al mercato, che non solo si è tradotta un’ulteriore posizione di privilegio degli operatori in questo già presenti – che agiscono in una situazione in cui la domanda è ampiamente superiore all’offerta – ma che, soprattutto, ha causato, in modo sproporzionato, un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività.” Piegando l’azione legislativa agli interessi di settore, si è finito con il disattendere anche l’indicazione della stessa Corte, che, nella sentenza n. 56 del 2020, aveva avvertito come l’art. 10-bis, comma 6, avrebbe dovuto avere «il fine di bloccare il numero delle imprese operanti nel settore [soltanto] per il tempo tecnico strettamente necessario ad adottare in concreto il nuovo registro».

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