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Il sovraindebitamento dell’imprenditore cancellato da oltre un anno dal Registro delle Imprese.

di Monica Mandico

Mandico & Partners

Sommario: 1 Inquadramento – 2. Caratteristiche dei soggetti coinvolti – 3. Profili temporali e Regolamentazione delle Imprese – 4. Analisi degli Strumenti Normativi Relativi alla Crisi e all’Insolvenza – 5. Sul sovraindebitamento dell’imprenditore cancellato – Casistica.

 

1. Inquadramento.

L’imprenditore individuale o collettivo che ha cessato l’attività ed ha effettuato la cancellazione dal registro delle imprese da oltre 12 mesi, può avere interesse a fruire della legge sul sovraindebitamento ed ha titolo per farlo, ciò sulla base dell’art. 33,[1] comma 1, del CCII, secondo il quale “1. La liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività del debitore, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”.

Inoltre per gli imprenditori la cessazione dell’attività coincide con la cancellazione dal registro delle imprese e, se non iscritti, dal momento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa. È obbligo dell’imprenditore mantenere attivo l’indirizzo del servizio elettronico di recapito certificato qualificato, o di posta elettronica certificata comunicato all’INI-PEC, per un anno decorrente dalla cancellazione.

Si evidenzia che oltre al limite temporale rappresentato dalla cancellazione dal registro delle imprese, il comma 3 dell’art. 33 del codice consente al creditore o al pubblico ministero (Pm) di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del comma 1, “3. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta comunque salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del comma 1.”

In particolare si rileva che l’imprenditore individuale, che si è cancellato dal registro delle imprese da oltre un anno e che ha le dimensioni (parametri) di un soggetto non fallibile, può ricorrere alle procedure di sovraindebitamento.

Il comma 4 stabilisce anche un limite di accesso alla procedura del concordato minore e tale disposizione, sia in dottrina, sia giurisprudenza, sta alimentando ampie analisi e discussioni, anche se appare chiaro che una volta cessata l’attività d’impresa, l’imprenditore individuale non può accedere al concordato minore, stante il disposto normativo dell’art. 33 ult. co. CCII, la cui previsione letterale è tale da precludere ogni ulteriore e diversa valutazione.

“4. La domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile.”

L’articolo 33, quarto comma, CCII stabilisce, dunque, che le richieste per l’avvio della procedura di concordato preventivo o di concordato minore, così come le richieste di ratifica degli accordi di ristrutturazione del debito, sono inammissibili se fatte da un imprenditore rimosso dal registro delle imprese. È essenziale comprenderne correttamente l’ambito e il significato.

In primo luogo, questa disposizione si trova nelle sezioni che descrivono la situazione dell’imprenditore che ha terminato le sue operazioni ma che ha mostrato segni di difficoltà finanziaria entro un anno dalla cessazione della sua attività. Come indicato dall’articolo 10 della Legge fallimentare, la liquidazione controllata dal tribunale può iniziare entro lo stesso periodo. Questo tempo inizia dal momento della rimozione dal registro delle imprese (sia per imprenditori singoli che per gruppi) o dal momento in cui terze parti diventano consapevoli della cessazione dell’attività. È stato specificato dal legislatore che, per gli imprenditori rimossi dal registro, la liquidazione controllata dal tribunale è l’unico risultato possibile in caso di insolvenza.

La Corte di Cassazione, affrontando la questione sulla possibilità per l’imprenditore cancellato di accedere al concordato preventivo, ha già deciso in passato in modo negativo. La Corte ha presupposto che la procedura alternativa al fallimento avesse lo scopo di risanare l’azienda e quindi fosse incompatibile con la cessazione precedente dell’attività imprenditoriale. In altre parole, sarebbe incoerente permettere a un’entità di evitare la liquidazione controllata dal tribunale proponendo un concordato o cercando un accordo con i creditori per riorganizzare i propri debiti, se non ha più intenzione di essere attiva nel mercato.

Sul punto, il recente pronunciamento della Corte di Cassazione del 26 luglio 2023, numero 22699, rappresenta un evento cardine che ha generato ondate significative nel campo giuridico e normativo italiano, specialmente in relazione all’interpretazione e all’applicazione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, noto come CCII). La decisione è giunta in seguito a un rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte d’Appello, la quale era stata investita di un reclamo ex articoli 70 e 50 del CCII, riguardante un decreto di inammissibilità emesso in relazione a una proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore e, in subordine, di una domanda di concordato minore.

Alla Corte d’Appello era stato richiesto di deliberare su diverse questioni, alcune di natura processuale e altre di carattere sostanziale. Le questioni sostanziali riguardavano principalmente la definizione legale di “consumatore”, in relazione a un individuo precedentemente qualificato come imprenditore, e se un ex-imprenditore, una volta cessata e cancellata l’attività imprenditoriale dal Registro delle Imprese, potesse beneficiare della procedura di concordato minore delineata dall’art. 74 del CCII.

La Presidente della Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del rinvio pregiudiziale, giustificandola sia sulla base della mancanza di novità delle questioni sostanziali che per l’irrilevanza della questione processuale.

In merito alle questioni di natura sostanziale, la Suprema Corte ha preso una posizione chiara e categorica. Primo, ha affermato che un imprenditore, una volta cancellato dal Registro delle Imprese, non può essere qualificato come “consumatore” in caso di insolvenza mista. Questa posizione si fonda su precedenti giuridici stabiliti, in particolare la sentenza emessa il 1° febbraio 2016, numero 1869. La Corte sostiene che la qualificazione di un soggetto come “consumatore” o “professionista” dovrebbe essere determinata in base alla natura delle obbligazioni che intende ristrutturare, e che tali obbligazioni dovrebbero essere esaminate retroattivamente per comprendere il contesto in cui sono state originalmente stipulate.

Secondo, l’ex-imprenditore non può nemmeno accedere alla procedura di concordato minore, come stabilito dall’art. 33, comma 4 del CCII. Questa disposizione è coerente con la giurisprudenza italiana esistente, comprese le sentenze numero 4329 del 20 febbraio 2020 e numero 21286 del 20 ottobre 2015. Quest’ultima, pertanto, rappresenta una continuità interpretativa, estendendo espressamente il principio precedente anche alla procedura di concordato minore.

In sintesi, la recente decisione della Corte di Cassazione ha un impatto cruciale sul panorama normativo italiano riguardante la gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza, rafforzando ulteriormente i criteri per la qualificazione come “consumatore” o “professionista” e limitando l’accesso alle procedure di ristrutturazione del debito e di concordato minore per gli ex-imprenditori.

 

2. Caratteristiche dei soggetti coinvolti.

La disposizione si applica a tutti gli imprenditori che hanno cessato la loro attività, indipendentemente dal tipo o dalla dimensione dell’attività. Quindi, anche gli imprenditori agricoli e le piccole imprese citate nell’art. 2, 1° comma, lett. d) rientrano in questa categoria.

La registrazione nel registro delle imprese è tradizionalmente obbligatoria per gli imprenditori commerciali di dimensioni significative. Tuttavia, le definizioni legali hanno subito modifiche nel tempo, e ora molte altre categorie, tra cui imprenditori agricoli e piccoli imprenditori, sono generalmente registrate nel registro, anche se in una sezione speciale.

Sorge una domanda: se la norma si applica effettivamente solo agli imprenditori cancellati dal registro, indipendentemente dalla ragione o dalla sezione di registrazione, oppure no. Anche se la registrazione non definisce chiaramente uno come imprenditore, vi sono diverse situazioni in cui un imprenditore potrebbe o non potrebbe registrarsi. L’art. 33 CCII sembra indicare che la norma si applica a chiunque sia stato registrato e successivamente rimosso, senza eccezioni. Questa interpretazione è supportata dalla menzione del concordato minore nell’articolo, che è una procedura specifica per certi tipi di imprenditori. In breve, nessun imprenditore, indipendentemente dalla tipologia o dimensione, se rimosso dal registro, può accedere a determinate procedure di risoluzione della crisi.

Ciò non significa, però, che la liquidazione giudiziale sia l’unico possibile esito per un imprenditore cancellato. Ci sono alcune eccezioni legali, soprattutto per gli imprenditori agricoli e i piccoli imprenditori.

In caso un imprenditore non sia registrato (e quindi non possa essere rimosso), una delle situazioni comuni è quella di una società irregolare. La possibilità di evitare certe restrizioni attraverso questa irregolarità, specialmente riguardo al concordato preventivo, dovrebbe essere esclusa, dato che queste procedure richiedono comunque la registrazione nel registro delle imprese.

3. Profili temporali e regolamentazione delle imprese.

L’art. 33, 4° comma, CCII tratta di imprenditori cancellati senza discriminazione. L’art. 33, 2° comma, precisa che per gli imprenditori registrati, la fine della loro attività corrisponde alla cancellazione dal registro delle imprese. Tuttavia, per quelli non registrati, questa fine viene riconosciuta quando è nota a terze parti. Questa regolamentazione presenta alcune ambiguità.

Dal punto di vista dei non registrati, la data in cui termina l’attività varia a seconda della conoscenza effettiva di ogni individuo. Questa interpretazione solleva dubbi su chi sia il “terzo” di riferimento.

Da un altro punto di vista, un’impresa può essere cancellata sia su richiesta dell’imprenditore che automaticamente dallo stato. Tuttavia, essere cancellati non significa necessariamente che l’attività sia cessata. Esistono casi in cui l’impresa può essere cancellata prima che tutti i processi di liquidazione siano completati.

In alcuni casi, l’art. 33, 3° comma permette una variazione della data di inizio dell’anno menzionato nel 1° comma, basandosi su prove fornite dal creditore o da altre fonti ufficiali. Questo serve a dimostrare qualsiasi cancellazione impropria del registro. Tuttavia, ci si chiede se l’art. 33, 4° comma sia applicato anche quando l’attività dell’impresa non è effettivamente terminata. Anche se ci potrebbero essere motivi validi per applicarlo in determinate situazioni, ci sono alcune eccezioni, come nel caso della morte dell’imprenditore.

Un altro punto da considerare riguarda le imprese minori. La misura di queste imprese, come definita nell’art. 2, 1° comma, lett. d), CCII, dipende dalla prova fornita da chi la richiede. E c’è la possibilità che un’impresa minore possa essere messa in liquidazione. Escludendo alcune complicazioni, la cancellazione è l’unico atto decisivo per determinare quando inizia l’anno durante il quale può essere avviata la liquidazione. Questo limita l’accesso ad altre procedure come indicato nell’art. 33, 4° comma.

4. Analisi degli strumenti normativi relativi alla crisi e all’insolvenza.

L’articolo 33, 4° comma, del CCII stabilisce che un imprenditore che ha cessato l’impresa non può accedere a certi meccanismi risolutivi, come il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione dei debiti, a meno che non contesti una cancellazione ingiustificata dal registro delle imprese. Questa disposizione potrebbe sembrare limitativa, in particolare quando l’impresa è in crisi ma non insolvente.

Vi sono però altre norme e strumenti che l’articolo 33 non cita direttamente, come:

Piani di Ristrutturazione (art. 64 bis CCII): questi piani, introdotti di recente, sembrano presupporre che l’impresa sia ancora attiva. Pertanto, un’impresa che è stata cancellata dal registro potrebbe non potervi accedere.

Convenzioni di Moratoria (art. 62 CCII): questi accordi sono volti a gestire temporaneamente gli effetti di una crisi. Anche in questo caso, sembra necessario che l’impresa sia in funzione.

-Concordato Semplificato (art. 25-sexies CCII): questo strumento, anch’esso recente, offre un’alternativa alla liquidazione giudiziale. Tuttavia, sembra rivolto a imprese che mirano al risanamento, il che potrebbe escludere imprese cessate.

-Piani Attestati di Risanamento (art. 56 CCII): questi piani mirano a riequilibrare finanziariamente un’impresa. La loro applicazione appare poco probabile per un’impresa cessata, in quanto l’obiettivo principale è la sostenibilità economica dell’attività.

In conclusione, la normativa, benché non escluda esplicitamente alcuni strumenti, sembra suggerire che siano poco compatibili con un’impresa che non ha prospettive future. La principale criticità sembra risiedere nel trattamento riservato all’impresa cancellata ma ancora attiva, la quale potrebbe avere difficoltà a gestire la crisi senza ricorrere alla liquidazione giudiziale.

5. Sul sovraindebitamento dell’imprenditore cancellato.

La condizione dell’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è delineata in modo chiaro. Se un imprenditore si trova in una condizione di insolvenza dopo essere stato cancellato dal registro, ha solo due opzioni: sottoporsi a una liquidazione giudiziale o a una liquidazione controllata entro un anno dalla cancellazione. Dopo un anno, può solo optare per la liquidazione controllata. A differenza di un individuo sovraindebitato che non è un imprenditore, chi è stato registrato e poi cancellato non può accedere a soluzioni alternative, come il concordato minore.

Esistono, tuttavia, opinioni che suggeriscono possibili soluzioni alternative per gli imprenditori che non sono sottoposti a liquidazione giudiziale. Una di queste è la ristrutturazione dei debiti del consumatore. Ma questa opzione ha dei limiti, e classificare un imprenditore come “consumatore sovraindebitato” può portare a interpretazioni complesse.

Il trattamento attuale degli imprenditori cancellati dal registro è problematico per diversi motivi. È limitante perché non offre soluzioni alternative oltre la liquidazione controllata, a meno che l’imprenditore non soddisfi certi criteri molto specifici. È iniquo perché sembra punire gli imprenditori registrati rispetto a quelli non registrati. Infine, è incoerente poiché la legge tende a scoraggiare le procedure di liquidazione, ma l’imprenditore sovraindebitato con un’impresa chiusa non ha altre opzioni se non la liquidazione.

Recenti deliberazioni giuridiche hanno cercato di affrontare questi problemi. Alcune sentenze hanno suggerito metodi alternativi per affrontare il sovraindebitamento, come l’accesso al concordato minore o la ristrutturazione dei debiti del consumatore, a seconda delle circostanze specifiche dell’imprenditore. È chiaro che l’interpretazione attuale della legge riguardo al sovraindebitamento dell’imprenditore cancellato necessita di una revisione e di un chiarimento, che ci si aspetta dalla Corte di Cassazione.

In conclusione, la condizione dell’imprenditore cancellato che si trova in una situazione di sovraindebitamento è complessa e richiede soluzioni più flessibili e adatte alle esigenze dell’individuo e dell’economia.

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[1] CAPO III

Cessazione dell’attività del debitore

Articolo 33 Cessazione dell’attività

  1. La liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività del debitore, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.
  2. Per gli imprenditori la cessazione dell’attività coincide con la cancellazione dal registro delle imprese e, se non iscritti, dal momento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa. È obbligo dell’imprenditore mantenere attivo l’indirizzo del servizio elettronico di recapito certificato qualificato, o di posta elettronica certificata comunicato all’INI-PEC, per un anno decorrente dalla cancellazione.
  3. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta comunque salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del comma 1.
  4. La domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile.

CASISTICA

Trib. Milano, 12.01.2023

Nel contesto del sovraindebitamento, il Tribunale di Milano ha esaminato una situazione in cui un creditore aveva proposto l’apertura di una liquidazione giudiziale per una persona, un’imprenditrice individuale. Durante l’udienza, sebbene non fossero soddisfatte tutte le condizioni legali per accogliere la richiesta di liquidazione giudiziale, è emersa una chiara situazione di sovraindebitamento, caratterizzata dalla mancanza di beni e di un’attività lavorativa da parte dell’imprenditrice. La debitrice, nonostante avesse la possibilità di richiedere una procedura speciale di esdebitazione, ha scelto di non farlo. Allo stesso tempo, ha rinunciato ad avvalersi di un’eccezione specificata nell’art. 268, comma 3, del CCII.

In risposta, e contrariamente ad una precedente decisione del Tribunale di Palermo, i giudici di Milano hanno optato per avviare una procedura di liquidazione controllata. Questa decisione è stata presa nonostante l’imprenditrice avesse dichiarato di non possedere beni e di non avere un lavoro. La situazione sottolinea la complessità e la flessibilità delle decisioni legali nel contesto del sovraindebitamento.

 

Sulla Precedente Normativa riguardante il Sovraindebitamento.

Secondo la normativa esistente, uno degli strumenti per affrontare il sovraindebitamento era l’articolo 14-ter, Legge 27 gennaio 2012, n. 3. Questo permetteva a un debitore gravemente indebitato, ma che non soddisfaceva certe condizioni specifiche, di chiedere la liquidazione totale dei propri beni. Questo meccanismo veniva utilizzato per offrire una soluzione a coloro che erano insolventi ma non in grado, o non volenterosi, di raggiungere un accordo con i loro creditori. Un quesito rilevante era se la liquidazione potesse avvenire anche in assenza di beni tangibili da vendere. Vi erano due correnti interpretative principali riguardo a questa questione: l’interpretazione restrittiva: Secondo alcuni, la procedura di liquidazione era applicabile solo se il debitore possedeva beni tangibili da vendere. L’argomento chiave era che la definizione di “liquidazione” richiedeva beni tangibili da vendere e che il reddito, essendo già “liquido”, non rientrava in questa definizione.

L’interpretazione più ampia: questo punto di vista sosteneva che, anche in assenza di beni tangibili, se un debitore aveva crediti o redditi futuri derivanti dal proprio lavoro, avrebbe potuto accedere alla procedura di liquidazione. La giustificazione principale era che il meccanismo era progettato per proteggere i debitori, quindi dovrebbe avere una portata ampia.

Il CCII, sulla scia della Legge del 27 gennaio 2012 n. 3, ha delineato tre metodi per gestire il sovraindebitamento:

– il concordato minore (che ha sostituito l’accordo di composizione della crisi).

– La ristrutturazione dei debiti del consumatore (che sostituisce il piano del consumatore).

– La liquidazione controllata (che offre una soluzione alternativa per ristrutturare i debiti del soggetto sovraindebitato).

La liquidazione controllata riguarda l’insieme dei beni sequestrabili del debitore, la cui vendita viene affidata a un liquidatore. L’obiettivo principale è ripartire il ricavato ai creditori, impedendo loro di intraprendere azioni esecutive o cautelari individuali. Dal punto di vista del soggetto, la liquidazione controllata si applica al debitore sovraindebitato, che può includere consumatori, professionisti, imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative e altre categorie che non sono soggette a liquidazione giudiziale o altre procedure previste dalla legge in caso di insolvenza.

Dal punto di vista oggettivo, la procedura è legata alla crisi finanziaria o insolvenza del debitore. Questa crisi è definita come l’incapacità del debitore di adempiere ai propri obblighi finanziari a causa della mancanza di liquidità e credito.

In questo contesto, emerge una questione relativa all’ammissibilità di avviare una procedura di liquidazione in assenza di beni. C’è stata una divisione tra coloro che credono che una tale procedura sarebbe inefficiente e quelli che la sostengono.

Il Tribunale di Palermo, ad esempio, ha ritenuto inutile l’apertura di una liquidazione in assenza di beni, sostenendo che ciò sarebbe contrario ai principi di efficienza. D’altra parte, il Tribunale di Milano ha avuto un’interpretazione diversa, suggerendo che la liquidazione controllata potrebbe essere avviata indipendentemente dalla presenza di beni.

Un argomento chiave a sostegno dell’apertura della procedura anche senza beni è che la legge permette di chiudere la procedura se successivamente si scopre che non ci sono abbastanza beni per soddisfare i creditori.

In conclusione, mentre ci sono argomenti validi su entrambi i lati, la decisione di procedere con una liquidazione controllata in assenza di beni dipenderà dalla valutazione specifica del caso e dall’interpretazione della legge.

Al di là di queste interpretazioni, c’era un consenso generale sul fatto che avviare una procedura di liquidazione senza beni concreti da vendere o con fondi limitati avrebbe reso il processo inefficiente e costoso, poiché i costi professionali avrebbero potuto superare qualsiasi somma recuperata. Questo approccio sarebbe andato contro l’obiettivo principale della procedura, che era di distribuire eventuali fondi ai creditori e aiutare il debitore a risolvere la propria situazione finanziaria.

Considerazioni.

La comprensione della legittimità della liquidazione controllata in assenza di beni e redditi è ancora ambigua basandosi sulle decisioni giuridiche. Tuttavia, mentre alcune interpretazioni giuridiche sostengono che la liquidazione controllata non dovrebbe avvenire se il debitore non ha beni o redditi, altre decisioni ritengono il contrario. Quest’ultima prospettiva sottolinea l’importanza di un equilibrio tra la necessità di protezione del pubblico e il diritto del debitore di accedere alla procedura di esdebitazione dopo un periodo di tre anni. Dal punto di vista legislativo, non esistono norme che proibiscano esplicitamente la liquidazione controllata in assenza di beni. Al contrario, ci sono disposizioni che permettono esclusivamente al debitore sovraindebitato di opporsi alla procedura se non dispone di risorse sufficienti [art. 268, comma 3, CCII]. Inoltre, se dopo l’avvio della procedura si constata che il debitore non ha effettivamente beni, la procedura può essere chiusa [artt. 233, comma i, lett. d), CCII e 276 CCII]. Nonostante ciò, dopo tre anni dall’apertura della procedura, il debitore può beneficiare dell’esdebitazione, indipendentemente dalla soddisfazione dei creditori.

 

Trib. Treviso, 07 febbraio 2023 –  Est. Casciarri.

Il concordato minore proposto dall’imprenditore individuale cessato che non svolge attualmente attività d’impresa, è ammissibile, per aver maturato debiti di natura non consumeristica, non potendo egli accedere al piano di ristrutturazione dei debiti di cui all’art 67 CCII, non essendo qualificabile come consumatore (in senso conforme Tribunale di Ancona 10-1-2023).

Fattispecie in cui il debitore risultava titolare di ditta individuale cancellata anni prima dal Registro Imprese. Conforme, cfr. Tribunale di Ancona 11 gennaio 2023, in questa Rivista, con commento di Astorre Mancini “Concordato minore e cancellazione dal registro imprese dell’impresa individuale” ; nello stesso senso, Tribunale di Rimini 15 febbraio 2023.

 

Trib. Treviso, 07 febbraio 2023 – Est. Casciarri.

Concordato Minore – Imprenditore individuale cessato da oltre un anno – L’imprenditore individuale cancellato dal registro imprese, che in passato abbia maturato debiti d’impresa che residuano in misura superiore al limite di euro 500.000, rientra nella categoria residuale prevista dall’art. 2 comma 1 lett. c) CCI di “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”, e pertanto può accedere al concordato minore.Il richiamo operato dall’art. 77 CCII ai limiti di cui all’art. 2 comma 1 lett. d) numeri 1), 2) e 3), per cui la domanda di concordato minore è inammissibile se il debitore presenta requisiti dimensionali che eccedono i predetti limiti, assume la funzione di ribadire che solo l’imprenditore minore ha i requisiti soggettivi per la domanda ex art. 74 CCII.

 

App. Bologna, 20 giugno 2023 – Est. De Cristofaro.

Sulla definizione di ‘consumatore’, di cui all’art. 2 primo comma lett. e) CCII,  si deve  dare prevalenza all’elemento psicologico del soggetto che agisce, ossia allo scopo; in particolare, si deve ritenere che laddove l’obbligazione sia assunta per uno scopo inerente all’attività di impresa, essa non possa che avere natura commerciale, per cui ove essa sia sorta con tale connotazione, non può mutare natura per il fatto che il debitore dismetta l’impresa, il commercio o la professione. Va ribadito, dunque, l’orientamento già espresso da questa Corte (sentenza 16 giugno 2023, est. Varotti) per cui è inammissibile la domanda di ammissione al piano di ristrutturazione del consumatore proposta in presenza di debitoria c.d. mista o promiscua, anche ove via sia una parte minoritaria di debito derivante dalla pregressa attività di impresa svolta.

 

Analisi Critica della Sentenza della Corte di Cassazione n. 22699 del 26 Luglio 2023: Implicazioni per l’Imprenditore Depennato dal Registro delle Imprese e la Riforma del Regime del Sovraindebitamento

Introduzione

La recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 22699 del 26 luglio 2023, con effetti dirimenti sull’applicazione e l’interpretazione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), rappresenta un significativo punto di riferimento nell’ambito delle procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento. L’oggetto di questa disamina è proprio di scrutare con attenzione le novità introdotte dalla Corte, specialmente in rapporto all’accesso alle varie procedure di risanamento finanziario per l’imprenditore che è stato cancellato dal Registro delle Imprese.

Contesto Giuridico-Processuale

La Corte di Cassazione è stata chiamata a esprimersi su tre questioni fondamentali, di cui una avente natura processuale e due di merito sostanziale, a seguito di un rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte d’Appello di Firenze. Il contesto era rappresentato da un reclamo, proposto ai sensi degli articoli 70 e 50 del CCII, contro un decreto di inammissibilità concernente una proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore e, in subordine, una domanda di concordato minore.

Problemi Sostanziali in Esame

Innanzitutto, la Corte ha esaminato se il concetto giuridico di “consumatore” potesse estendersi a un individuo che precedentemente era stato classificato come “imprenditore” e che aveva accumulato debiti prevalentemente derivanti dalla sua precedente attività commerciale. In secondo luogo, la Corte ha esplorato se un ex imprenditore, una volta cancellato dal Registro delle Imprese, potesse beneficiare delle disposizioni relative al concordato minore, come delineate dall’art. 74 del CCII.

Risoluzione e principi giuridici

La Corte ha dichiarato l’inammissibilità del rinvio pregiudiziale per difetto di novità delle questioni e di necessità della questione processuale. In merito alle questioni sostanziali, la Suprema Corte ha stabilito due punti salienti:

-Un ex imprenditore depennato dal Registro delle Imprese e affetto da un’insolvenza di natura mista non può essere categorizzato come un “consumatore”. Questa interpretazione si basa su principi giurisprudenziali consolidati, compresa la storica sentenza del 1° febbraio 2016, n. 1869.

-Detto ex imprenditore non ha diritto di accedere alla procedura di concordato minore, in conformità con l’art. 33 comma 4 del CCII. Questa disposizione legislativa è in linea con la giurisprudenza precedente e si applica anche agli imprenditori individuali.

L’opzione dell’esdebitazione

Importante è la menzione della possibilità dell’esdebitazione, un fenomeno giuridico che consente la liberazione dai debiti. Secondo la Corte, l’unica opzione per l’ex imprenditore è quella della liquidazione controllata ai sensi dell’art. 268 e seguenti del CCII. La Corte sottolinea espressamente che il mancato accesso al concordato non esclude la possibilità di ottenere l’esdebitazione, che diventa un diritto ex art. 282 del CCII, decorso un triennio dall’apertura della liquidazione controllata.

Conclusioni

La sentenza in esame offre una serie di orientamenti giurisprudenziali che ricalibrano il panorama delle procedure di risanamento in Italia, particolarmente per gli imprenditori in crisi. L’opzione della liquidazione controllata, associata alla possibilità dell’esdebitazione, si configura come un percorso legalmente sostenibile per affrontare situazioni di crisi complesse, fornendo una via d’uscita giuridica dall’insostenibilità del debito.

In senso difforme le seguenti decisioni:

Il Tribunale di Napoli Nord ha rilasciato una decisione importante il 12 novembre 2022, affrontando la procedura di “Ristrutturazione dei debiti del consumatore”.

Questa procedura mira a sostituire, nel quadro del Codice della crisi d’impresa (artt. 67-73), l’antica procedura conosciuta come “piano del consumatore”. Tali cambiamenti offrono una luce di speranza nel colmare alcune carenze e problemi evidenziati dalla precedente legge n. 3/2012.

Il nuovo Codice introduce una definizione di “consumatore” più estesa, ma lascia alcune ambiguità in merito alla possibilità per un imprenditore individuale che ha cessato la sua attività di avvalersi della procedura di ristrutturazione dei debiti. Riguardo a questo, il Tribunale di Napoli Nord ha fornito una chiara interpretazione. Secondo il giudice campano, un imprenditore cessato può essere considerato come consumatore se:

– ha contratto debiti esclusivamente per necessità personali;

– sta gestendo debiti relativi alla sua attività imprenditoriale e alle sue esigenze personali e familiari, ma solo se i problemi finanziari sono direttamente collegati a debiti contratti per esigenze personali o familiari;

– non svolge più un’attività imprenditoriale e sta gestendo sia debiti professionali che personali.

La storia delle leggi e regolamenti sul sovraindebitamento è lunga. La legge n. 3/2012 è stata inizialmente creata per affrontare il problema, ma con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (noto come Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), ci sono stati ulteriori sviluppi, che sono entrati in vigore il 15 luglio 2022.

Il nuovo Codice amplia la definizione di “consumatore”, tentando di includere situazioni che erano state precedentemente escluse. Inoltre, ha cercato di risolvere alcune ambiguità legali, come quelle riguardanti l’ammissibilità di certi debitori alle procedure di ristrutturazione. Ha introdotto anche nuove disposizioni per affrontare situazioni in cui diversi membri di una famiglia sono sovraindebitati, così come altre misure per gestire specifici tipi di debiti. Nonostante queste migliorie, alcune questioni rimangono aperte, come la situazione dell’imprenditore individuale che ha cessato la sua attività. La recente interpretazione del Tribunale di Napoli Nord ha fornito alcune indicazioni in questo ambito, ma la questione è ancora in evoluzione.

Infine, l’inclusione del sovraindebitamento nel contesto più ampio del diritto fallimentare, rappresentato dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, definisce chiaramente le nuove linee guida e procedure. Con le nuove norme e interpretazioni, si spera che sia possibile offrire una maggiore protezione e una via d’uscita a coloro che si trovano in difficoltà finanziarie gravi.

 

Nuova Delineazione del Soggetto Consumatore ed il Concetto di “Esclusività”: Deliberazione del Tribunale di Napoli Nord del 22 novembre 2022

La recente pronuncia emanata dal Tribunale di Napoli Nord il 22 novembre 2022 assume una portata innovativa. Dopo una minuziosa analisi, l’Autorità giudicante ha esposto un’inedita prospettiva riguardo alla figura del consumatore, conferendo al ricorrente l’approvazione del suo piano. La causa dell’insolvenza del ricorrente, un imprenditore individuale cessato, deriva da obbligazioni assunte esclusivamente per necessità personali e familiari.

Il Magistrato, considerando l’importanza applicativa della distinzione tra debitore e debitore-consumatore, ha rivisitato il concetto di consumatore alla luce delle disposizioni normative introdotte dalla L. n. 3/2012, art. 7 e ss. La valutazione sostiene che la qualifica di consumatore debba essere determinata non basandosi sull’attività svolta, ma piuttosto considerando la natura delle obbligazioni non adempiute che hanno portato a uno squilibrio finanziario, patrimoniale ed economico dell’ente. Tale argomentazione è corroborata da un’analisi attenta degli articoli 7, 8, 9 e 14 della L. n. 3/2012. Un approfondito esame delle suddette normative ha guidato il Magistrato verso una ridefinizione del consumatore, identificandolo come l’individuo che regola con il piano debitori legati sia alla propria attività imprenditoriale che ai bisogni personali e familiari, a patto che lo squilibrio economico e patrimoniale derivi esclusivamente da obbligazioni assunte per soddisfare esigenze personali o familiari, culminando in una situazione di insolvenza qualificata. Allo stesso modo, emerge la finalità delle norme che prevedono per il professionista e l’imprenditore un percorso di ristrutturazione con il consenso del creditore. In assenza di tale motivazione, il ricorrente può solo acquisire la qualifica di consumatore.

In sintesi, la percezione sistematica del consumatore si riflette nell’individuo che:

– assume obbligazioni solo per bisogni personali;

– regola i debiti attraverso un piano, tenendo conto sia della propria attività imprenditoriale sia delle esigenze personali e familiari;

– non possiede la qualifica di imprenditore e quindi non svolge più un’attività imprenditoriale, e regola i debiti derivanti sia da interessi professionali sia personali.

Questi sono i criteri per identificare il consumatore anche secondo la normativa del CCII.

L’art. 2, comma 1, lett. e), CCII definisce il consumatore in un’ottica di estraneità al mercato come imprenditore. La ratio sottesa alla normativa mira a garantire una valutazione obiettiva e imparziale da parte del giudice, al di fuori delle possibili influenze derivanti da rapporti personali tra il debitore e i suoi creditori.

Considerazioni Finali

La sentenza del Tribunale di Napoli Nord ha portato alla luce una rivisitazione del profilo del consumatore. Questa nuova definizione sottolinea l’importanza del vincolo di “esclusività” nelle obbligazioni assunte a fini personali o familiari. Sarà cruciale osservare come questa nuova interpretazione sarà accolta dai diversi Tribunali italiani nel futuro prossimo.

 

Trib. Ancona, 11 gennaio 2023 – Est. Filippello.

Con la decisione del Tribunale di Ancona il 11 Gennaio 2023, con l’Estensore Filippello, è stata affrontata e chiarita la posizione dell’imprenditore individuale precedentemente cancellato dal Registro delle Imprese rispetto alle modalità di gestione e risoluzione del sovraindebitamento.

Al centro della riflessione giurisprudenziale vi è l’analisi relativa alla possibilità per un imprenditore individuale, una volta cessata la sua attività e cancellato dal Registro delle Imprese, di avvalersi della procedura di concordato minore liquidatorio, ai sensi dell’art. 74 c. 2 CCII. La questione è particolarmente delicata, soprattutto alla luce delle disposizioni previste dall’art 33 c. 4 CCII, che potrebbero sembrare in contrasto con tale possibilità.

Tuttavia, il Tribunale di Ancona, attraverso un’attenta interpretazione, ha delineato che la disposizione dell’art 33 c. 4 CCII deve essere intesa come applicabile esclusivamente all’imprenditore collettivo. Infatti, è specificamente per quest’ultimo che la cancellazione dal Registro determina una definitiva estinzione, come previsto dall’art. 2945 del codice civile.

Il chiarimento di tale distinzione è di fondamentale importanza. Infatti, ciò significa che l’imprenditore individuale, anche se non più attivo e cancellato dal Registro delle Imprese, mantiene la possibilità di accedere al concordato minore liquidatorio per gestire e risolvere le proprie posizioni debitorie.

Parallelamente, il Tribunale ha anche analizzato la natura dei debiti accumulati dall’imprenditore individuale cessato. Se tali debiti sono legati all’attività d’impresa e non rientrano nella categoria di debiti di natura consumeristica, l’imprenditore individuale non può usufruire del piano di ristrutturazione dei debiti previsto dall’art 67 CCII. Questo perché, in tali circostanze, non si può attribuire all’imprenditore la qualifica di “consumatore”, secondo quanto definito dall’art. 2 c.1 lett. e del CCII.

In sintesi, la sentenza del Tribunale di Ancona fornisce chiarezza e giuridica rispetto alla gestione del sovraindebitamento per l’imprenditore individuale, delineando i contorni e i limiti delle procedure a sua disposizione, in funzione della natura dei suoi debiti e del suo status giuridico precedente.

 

Trib. Rimini, 15 febbraio 2023 – Est. Miconi.

Con la pronuncia emessa dal Tribunale di Rimini del 15 Febbraio 2023, sotto la direzione dell’Estensore Miconi, è stata esplorata e delineata la posizione giuridica dell’imprenditore individuale, in particolare dopo la sua cancellazione dal Registro delle Imprese, in relazione al fenomeno del sovraindebitamento.

L’analisi si è concentrata sulla possibilità, per l’imprenditore individuale che ha cessato la sua attività e che è stato successivamente cancellato dal Registro delle Imprese, di potersi avvalere delle procedure previste dal concordato minore liquidatorio, come delineato dall’art. 74 c. 2 CCII. Una questione che poteva sembrare controversa, data la presenza dell’art 33 c. 4 CCII che, in apparenza, potrebbe limitare tale opportunità.

Tuttavia, l’interpretazione offerta dal Tribunale di Rimini ha messo in luce che la normativa dell’art 33 c. 4 CCII è specificatamente riferita all’imprenditore collettivo. Quest’ultimo, quando viene cancellato dal Registro, sperimenta una conclusione definitiva, come stabilito dall’art. 2945 del codice civile.

Un ulteriore approfondimento riguarda la distinzione tra la ‘cancellazione’ e la semplice ‘iscrizione della cessazione’ dell’attività imprenditoriale individuale. Quando un imprenditore individuale decide di porre termine alla propria attività, deve notificare tale cessazione al Registro delle Imprese entro 30 giorni, come previsto dall’art. 2196 ult. co. Cod.civ. Questa procedura di ‘iscrizione della cessazione’ è diversa dalla ‘cancellazione’ vera e propria e non determina la fine dell’esistenza giuridica dell’imprenditore. Al contrario, l’imprenditore, sebbene non eserciti più alcuna attività commerciale, persiste come entità debitoria, conservando obbligazioni e responsabilità legate al periodo precedente alla cessazione.

Infine, la decisione del Tribunale ha chiarito che un imprenditore individuale, se gravato da debiti derivanti esclusivamente dalla sua precedente attività d’impresa e non da obbligazioni di natura consumeristica, non può fare ricorso al piano di ristrutturazione dei debiti delineato dall’art 67 CCII. Ciò è dovuto al fatto che tale imprenditore non può essere considerato un “consumatore”, come definito dall’art. 2 c.1 lett. e del CCII.

In sintesi, questa pronuncia ha offerto importanti chiarimenti riguardo la posizione dell’imprenditore individuale nel contesto del sovraindebitamento, identificando le procedure disponibili e i limiti inerenti alla sua condizione giuridica e debitoria.

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