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Nota a ACF, 4 agosto 2023, n. 6713.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

«Since brevity is the soul of wit.

and tediousness the limbs and outward flourishes,

I will be brief»

(“Se è vero che la brevità è l’anima del senno,
e il parlar troppo un fronzolo esteriore,

il mio discorso sarà molto breve”)

 

Nel decidere la fattispecie in esame, il Collegio redige una decisione rappresentativa di una sorta di memorandum, su come ricorrere correttamente alla rimedialità arbitrale. Invero, in via preliminare, l’Arbitro stigmatizza la prolissità (per quanto “indiretta”) del ricorso, delle deduzioni integrative e delle repliche finali, con queste ultime inutilizzabili, dal momento che, ai sensi dell’art. 11, comma 1bis, del Regolamento ACF, per la presentazione delle deduzioni integrative i ricorrenti debbono utilizzare esclusivamente la modulistica resa disponibile sul sito web dell’ACF, trasmettendola attraverso il medesimo sito. Del pari, secondo le Istruzioni operative, le “deduzioni integrative vanno trasmesse mediante l’utilizzo dell’apposito modulo disponibile nel sistema, compilando il box dedicato (Sezione E), in cui inserire un testo in lingua italiana della lunghezza massima di 15.000 caratteri. Questa è l’unica modalità utilizzabile per veicolare i contenuti delle deduzioni integrative. Non è infatti ammesso operare un rinvio (espresso o implicito) a documento separato che, ove pure allegato, non sarà preso in considerazione. Per le stesse ragioni, ulteriori scritti difensivi (comunque denominati) che venissero eventualmente prodotti al fine di integrare il contenuto della citata sezione non verranno presi in considerazione ai fini dell’esame della posizione del ricorrente”. La ratio sottesa è quella di rendere più agevole e celere l’attività istruttoria, in particolare, attraverso il contenimento della produzione di documenti istruttori e l’utilizzo di moduli standard di lunghezza predefinita. Prescrizioni disattese nel caso oggetto di discussione.

Con riguardo alla documentazione allegata, parte ricorrente ha prodotto una consulenza tecnica di parte, di complessive 239 pagine; nella prima parte, si rassegna la storia personale del cliente-investitore e i documenti esaminati, cui segue un lungo excursus sulla normativa e sulla giurisprudenza di riferimento. Vi è, poi, un paragrafo sulla quantificazione del danno, nella duplice declinazione di danno emergente e lucro cessante, in cui si enucleano i presupposti, i criteri e i documenti esaminati ai fini del computo della somma richiesta con il ricorso. La relazione è corredata da tre allegati (di oltre 180 pagine): prospetto dei movimenti del conto corrente di pertinenza del ricorrente, dettaglio delle perdite subite e prospetto di ricalcolo del conto corrente. Tale «a dir poco estesa» relazione si pone in un irriducibile contrasto con la natura sommaria e con le ragioni di celerità, sottese al procedimento dinanzi all’ACF, costituendo, per altro verso, uno strumento volto ad eludere surrettiziamente le stesse prescrizioni regolamentari, per cui il ricorso, con la relativa documentazione, è trasmesso, a pena di irricevibilità, attraverso il sito web dell’Arbitro e predisposto utilizzando il relativo modulo, secondo le istruzioni operative disponibili sul medesimo sito. Le istruzioni indicano che la Sezione “I”, denominata “La descrizione dei fatti e le violazioni contestate”, è costituta da un box in cui inserire un testo della lunghezza massima di 30.000 caratteri, nella quale va descritto il contesto fattuale e sono indicati gli elementi necessari per individuare l’oggetto specifico della controversia e i relativi fatti costitutivi, indicando, nel modo più specifico possibile, i comportamenti (attivi o omissivi) contestati all’intermediario in violazione dei propri doveri. Ciò posto, un documento che ripropone (oltre ad estendere) le medesime questioni oggetto di ricorso può essere interpretato come finalizzato ad aggirare il limite di 30.000 caratteri previsto dalle citate istruzioni operative e, per tale ragione, non può essere tenuto in considerazione nel presente procedimento[1].

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Quanto all’indeterminatezza della domanda e all’onere dell’Intermediario di produrre tutta la documentazione afferente al rapporto controverso, il Collegio osserva che parte ricorrente abbia contestato la violazione della normativa di settore e la condotta scorretta del consulente per un decennio, riferita a una prolungata operatività, individuata tramite il riferimento a una tabella riassuntiva allegata. L’eccezione di indeterminatezza non può accogliersi considerando, da un lato, che le 1.007 operazioni contestate integrano una vera e propria gestione di fatto del patrimonio del ricorrente (operata attraverso operazioni non autorizzate), per cui non è scientemente esigibile la redazione di un ricorso in cui, per ogni singola operazione, si muovano poi specifiche contestazioni. Dall’altro lato, è doveroso rilevare che, nonostante le formali richieste di documentazione, l’Intermediario non risulta aver consegnato la documentazione richiesta, limitandosi a versare in atti soltanto la proposta di contratto-quadro e i questionari di profilatura. Diversamente da ciò, sarebbe stato preciso onere dell’Intermediario, anche in ragione del principio di vicinanza della prova, produrre tutta la documentazione afferente al rapporto controverso[2].

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Con precipuo riferimento all’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno connesso all’accertamento della responsabilità solidale della Banca preponente per i danni arrecati dal consulente finanziario, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, il Collegio ha avuto modo di affermare che alla responsabilità solidale ex art. 31, comma 3, del TUF va riconosciuta natura extracontrattuale; consequenzialmente, trattandosi di responsabilità aquiliana, è soggetta al termine di prescrizione quinquennale[3], che inizia a decorrere “dalla data di rilevazione del danno, del nesso di causalità con il fatto illecito e dell’identità dell’autore dell’illecito[4]. Ebbene, nella fattispecie in esame, la data di rilevazione del danno è temporalmente collocabile ad aprile 2019, momento in cui il ricorrente chiedeva informazioni al consulente circa alcuni investimenti e copia della relativa documentazione e prendeva finalmente contezza delle ingenti perdite registratesi.

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Per quanto riguarda la domanda di nullità del contratto-quadro per mancanza della forma scritta e, conseguentemente, delle operazioni di investimento “a valle”, deve notarsi che, nel caso di specie, è presente agli atti la proposta di contratto per la prestazione dei servizi di investimento debitamente sottoscritta dal ricorrente, in data antecedente agli investimenti di cui si chiede parimenti la nullità, per cui si può escludere che, nel caso di specie, si possa ipotizzare la nullità per vizio di forma ex art. 23 TUF. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza arbitrale, il contratto-quadro può ritenersi regolarmente concluso in forma scritta anche nel caso di produzione del documento di accettazione della proposta contrattuale, tenuto altresì conto della dichiarazione resa dal Ricorrente, e contenuta nel relativo frontespizio, di aver ricevuto copia delle condizioni generali contenenti le norme che regolano il rapporto[5] (dichiarazione che è presente anche nel caso di specie). A differenza di quanto asserito dal ricorrente, la copia prodotta risulta (seppure in alcune parti sfuocata) intellegibile. Infine, pur dovendosi rilevare che si dispone della copia di soli sei ordini di investimento, si evidenzia anche che la regola di cui all’art. 23 TUF attiene al contratto-quadro e non anche ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano impartiti dal cliente che soggiacciono, invece, al principio della libertà delle forme.

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A conclusioni non dissimili il Collegio addiviene con riferimento alla domanda di annullamento degli ordini di investimento per vizio del consenso (segnatamente, per dolo), dal momento che le allegazioni di parte ricorrente non risultano idonee integrare la prova del dolo, in relazione alla quale era suo preciso onere produrre ogni evidenza utile[6].

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Esaurite le questioni preliminari, l’Arbitro esamina la domanda risarcitoria, incentrata, da un lato, sull’accertamento della responsabilità in proprio dell’Intermediario per la violazione degli obblighi di condotta (informativi e in tema di profilatura e appropriatezza/adeguatezza) e, dall’altro, sulla sua responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 31 TUF, per la condotta scorretta asseritamente posta in essere da un consulente finanziario.

Per quanto concerne la violazione degli obblighi informativi nella fase genetica degli investimenti, come già anticipato, l’Intermediario non ha consegnato la documentazione richiesta, limitandosi a versare in atti nel presente procedimento soltanto la proposta di contratto-quadro e i questionari di profilatura. Sebbene rappresentativi di una parte infinitesimale della complessiva operatività del ricorrente, si deve rilevare che le schede informative prodotte in allegato ai moduli di sottoscrizione, anche se recanti informazioni sul grado di rischio degli strumenti finanziari, sono prive di sottoscrizione e, quindi, non vi è prova che siano state consegnate prima dell’effettuazione degli investimenti. Non può, peraltro, ritenersi satisfattiva degli obblighi di informazione attiva la dichiarazione presente nella proposta di contratto quadro del 2009 di avere ricevuto determinati documenti informativi, che nulla dicevano sulle caratteristiche dei titoli, di volta in volta, acquistati.

Anche con riferimento alle profilature emergono numerose contraddizioni che finiscono per integrare violazioni della normativa di settore. In particolare, dal questionario MiFID del 2012, emerge che il ricorrente: a) conosce e aveva operato su qualunque tipo di strumento e/o investimento e i relativi rischi, aveva investito in passato tra il 10% e il 50% del proprio patrimonio in oltre 10 operazioni annue; b) aveva l’obiettivo di “realizzare un rendimento alto (crescita significativa del capitale)” e un holding period di oltre 5 anni; c) aveva un patrimonio complessivo di oltre € 500.000 (la massima opzione consentita) e altri immobili oltre la prima casa, un reddito stabile (nel senso di “riuscire a finanziare il tenore di vita senza particolari problemi”), non utilizzava in modo significativo il patrimonio finanziario per mantenere il proprio tenore di vita e non aveva alcun impegno finanziario. Ad esito del questionario è stato attribuito al ricorrente un profilo di rischio “dinamico evoluto”, così come un profilo di appropriatezza “elevata”. Nei questionari del 2014 e del 2017 tali risposte venivano sostanzialmente confermate (con qualche lieve discrepanza). In particolare, nel questionario del 2017 il profilo di investitore di parte ricorrente veniva mitigato in rischio “dinamico”, ma sempre con appropriatezza “elevata”. Nel gennaio 2018 veniva sottoposto al cliente un ulteriore questionario MiFID, con domande diverse rispetto alle precedenti formulazioni, in cui il ricorrente dichiarava anche di essere “imprenditore” in possesso di “diploma di scuola superiore”, mentre, nel ricorso, il ricorrente, famoso calciatore, dichiarava di essere in possesso unicamente del “diploma di scuola media inferiore”. Nell’ambito del questionario veniva moderato l’obiettivo di investimento, che diveniva quello di “far crescere il valore degli investimenti”, ossia di essere “disponibile ad investire una quota del portafoglio in strumenti finanziari caratterizzati da una rischiosità media e alta che potrebbe determinare risultati negativi di portafoglio di moderate entità nel breve periodo (profilo moderato/bilanciato)”. Inoltre, il profilo sintetico di rischio mutava da “dinamico” a “bilanciato” e il profilo di esperienza e conoscenza da “elevata” si riduceva in “media”. In proposito non può tacersi che la profilatura della clientela non è svolta in modo corretto anche nelle ipotesi in cui sia ravvisabile un contrasto tra le risultanze del questionario e taluni elementi obiettivi riguardanti il cliente, noti all’intermediario o che comunque quest’ultimo avrebbe potuto e dovuto conoscere (tra questi, anche la professione esercitata e il titolo di studio)[7].

Peraltro, il fatto che il ricorrente, pur potendosi rendere conto della non corretta rilevazione del proprio profilo, abbia ugualmente sottoscritto il questionario, aderendo a quanto gli era stato sottoposto in firma dal consulente, non assume alcuna valenza esimente, ma piuttosto configura un’ipotesi di concorso colposo del creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c., di cui dovrà tenersi conto nella quantificazione del danno occorso.

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Quanto all’eccepita inadeguatezza/inappropriatezza dell’investimento, ci si limita a rilevare che nei moduli d’ordine era contenuta la dichiarazione del cliente per cui l’investimento “non è stato raccomandato dalla Banca e che deriva unicamente da una mia/nostra specifica autonoma richiesta” e non è stata barrata l’apposita casella di non appropriatezza. Ad ogni modo, è assodato che, in assenza di documentazione, non può ritenersi provato che la Banca abbia svolto le dovute verifiche di coerenza (siano esse di appropriatezza o adeguatezza). Le considerazioni sopra svolte, in assenza di prove idonee a dimostrare una condotta diligente dell’Intermediario che, non ha certamente tenuto un atteggiamento collaborativo, appaiono più che bastevoli per indurre ad accogliere il ricorso.

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È, tuttavia, necessario anche verificare se la responsabilità dell’intermediario integri solo una responsabilità propria dello stesso e/o anche una responsabilità per il fatto del proprio consulente abilitato all’offerta fuori sede.

Ebbene, l’art. 31, comma 3, TUF prevede, come è noto, che “il soggetto abilitato che conferisce l’incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale”. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza arbitrale, l’onere della prova dell’illecito asseritamente perpetrato dal consulente grava sul ricorrente, poiché, in tali casi, il principio di inversione dell’onere della prova di cui all’art. 23, comma 6, TUF non trova applicazione, in quanto la prova in questione riguarda circostanze attinenti alla dinamica dei rapporti concretamente intercorsi tra clienti e personale dell’intermediario.

Nel caso in esame, il ricorrente, al fine di comprovare che il consulente finanziario lo aveva indotto in errore, convincendolo del fatto che i suoi risparmi erano “ben gestiti” e, soprattutto, che producevano dei rendimenti, fornendogli periodicamente dei resoconti su fogli A4, allega un unico documento, neppure su carta intestata della Banca, privo di sottoscrizione, per cui vi è solo una mera presunzione che esso sia stato effettivamente redatto dal consulente. Anche se è difficile sostenere che, nel caso di specie, non sussista un rapporto di “necessaria occasionalità” tra incombenze affidate e fatto illecito del consulente, ravvisabile “in tutte le ipotesi in cui il comportamento di questi rientri nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze di cui è investito[8], non può ritenersi idoneamente accertata, per le ragioni anzidette, anche la responsabilità del consulente per i danni cagionati al Ricorrente.

Né, del pari, può attribuirsi valore probatorio, ai fini della responsabilità del consulente, alla email, inviata da quest’ultimo al legale dell’epoca del ricorrente, in cui lo stesso autore, pur non ammettendo di avere commesso degli illeciti, si dichiarava disponibile a sottoscrivere una scrittura privata, con cui si riconosceva debitore di € 300.00,00, “a titolo di risarcimento danni per le perdite verificatesi” e si impegnava a corrispondere la somma in due tranche. Tale scrittura privata non risulta, infatti, perfezionata, né è stata sottoscritta dall’evocato consulente finanziario.

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In conclusione, accertata, nei termini e per i profili evidenziati, la responsabilità dell’Intermediario, tenuto conto della difficoltà di quantificare il danno nel suo preciso ammontare, del concorso di colpa per aver sottoscritto i questionari di profilatura senza prima leggerli con la dovuta attenzione e dell’attivazione tardiva, solo dopo vari anni dall’inizio dell’operatività controversa (senza, peraltro, curarsi troppo dell’effettiva destinazione dei propri investimenti), il Collegio riconosce al cliente-ricorrente, in via equitativa, un ammontare pari al 50% della perdita sofferta.

 

 

 

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[1] Si rammenta, inoltre, che l’art. 11, comma 1-ter, del Regolamento ACF richiede, ai “fini dell’efficienza ed economicità del procedimento dinanzi all’Arbitro”, che le parti evitino “la produzione di documentazione sovrabbondante, disordinata o inconferente rispetto ai fatti controversi”.

[2] Cfr. Decisioni ACF n. 3253 e 3634.

[3] Cfr. Decisione ACF n. 2887.

[4] Cfr. Decisione ACF nn. 2851 e 4748.

[5] Cfr. Decisioni ACF nn. 1856, 2873 e 4434.

[6] Cfr. ex multis Decisione ACF n. 3486.

[7] Cfr. Decisioni ACF nn. 380, 630, 2185, 3264 e 4083.

[8] Cfr. Cass. 24 febbraio 2016, n. 3625; Cass. 31 luglio 2017, n. 18928; Decisioni ACF nn. 1781 e 3700.

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