Nota a Cass., 5 luglio 2023, n. 18955.
Nel corso di un procedimento di reclamo avverso il progetto di ripartizione parziale dell’attivo fallimentare, il giudice delegato del Tribunale di Modena ha disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte Suprema di Cassazione, ai sensi dell’art. 363bis c.p.c., per la risoluzione della seguente questione di diritto:
«se, ai sensi del combinato disposto degli artt. 111-bis, secondo comma, e 111-ter, terzo comma, della legge fallimentare, i crediti per i compensi dei professionisti che abbiano assistito l’impresa debitrice in vista e nel corso della procedura di concordato preventivo, là dove ammessi in via di prededuzione al passivo del consecutivo fallimento, possano essere considerati uscite di carattere generale, come tali suscettibili di soddisfazione proporzionale sul ricavato della vendita di un immobile gravato da ipoteca, per il caso in cui il ricavato medesimo non sia sufficiente a soddisfare il creditore ipotecario ammesso al passivo.».
Il giudice a quo, nella descrizione della controversia, rassegnava che la curatela, venduto competitivamente un immobile della fallita società a responsabilità limitata, aveva presentato un progetto di ripartizione parziale dell’attivo, senza prevedere alcuna collocazione proporzionale al riparto immobiliare dei crediti di alcuni professionisti (ammessi in prededuzione al passivo), che avevano assistito la debitrice in vista e nel corso della procedura di concordato preventivo cui il fallimento era seguito. La questione sollevata dal Tribunale attiene, dunque, ad un profilo di ripartizione dell’attivo che riguarda il concorso sul ricavato della vendita di un bene ipotecato, oltre che del creditore beneficiato dalla garanzia ipotecaria e del relativo privilegio speciale immobiliare, di uno o più crediti prededucibili, nell’ipotesi di “incapienza”, ossia di insufficienza di detto ricavato a soddisfare tutti i creditori, così da rendere necessario un piano di riparto che sacrifichi in tutto o in parte le aspettative dei creditori concorrenti. Il giudice rimettente sottolinea il carattere “inedito” della questione.
Invero, la Corte di Cassazione si è occupata di fattispecie “non estranee”, statuendo che i creditori prelatizi speciali (tra cui gli ipotecari) sopportano i costi delle uscite specifiche e di quota parte di quelle generali; pur tuttavia, in nessun precedente di legittimità, sarebbe stata risolta la questione, che qui viene in rilievo, se i crediti per i compensi dei professionisti coinvolti a vario titolo nella predisposizione di una domanda di concordato e nella gestione della procedura negoziale, là dove ammessi in prededuzione nel consecutivo fallimento, possano considerarsi “uscite di carattere generale”, con ogni conseguenza del caso. Sul punto, anche la giurisprudenza di merito avrebbe dato risposte diversificate e questo avvalorerebbe le gravi difficoltà interpretative, riproponibili in numerosi giudizi.
Ciò premesso, occorre rilevare che la questione si incentra su disposizioni che, ai sensi dell’art. 390, comma 2, CCII, sono destinate a trovare applicazione unicamente per le procedure fallimentari pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo codice. Devesi, altresì, osservare che, nella giurisprudenza di legittimità, non manca l’enunciazione di principi idonei a orientare la risoluzione della questione interpretativa posta dal rimettente.
La questione del concorso fra credito di natura prededucibile e credito privilegiato (speciale) e della modalità con cui il primo può incidere sulla misura del soddisfacimento del secondo è già stata affrontata. A tal riguardo, viene in rilievo la sentenza delle Sezioni Unite del 16 febbraio 2022, n. 5049, la quale ha enunciato il principio secondo cui la revoca ex art. 67 l. fall. del pagamento eseguito in favore del creditore pignoratizio, con il ricavato della vendita del bene oggetto del pegno, sia determinativa del diritto del creditore che ha subito la revocatoria a insinuarsi al passivo del fallimento con il medesimo privilegio, nel rispetto delle regole distributive di cui agli artt. 111, 111bis, 111ter e 111quater l. fall. La decisione prende in esame, in motivazione, proprio la problematica del riconoscimento di un privilegio speciale (cioè destinato a trovare graduazione preferita unicamente sul ricavato del bene in garanzia e non sull’intera massa attiva del debitore) e del suo concorso con eventuali crediti prededuttivi, di ordine generale o speciale che siano, e di come la specifica preferenza accordata dal legislatore a questi ultimi possa portare ad una soccombenza, parziale o totale, del primo, secondo i principi della graduazione (peraltro non limitati alla materia fallimentare ma tradizionalmente affrontati anche nell’ambito delle esecuzioni forzate individuali).
La problematica del concorso fra credito prededucibile e credito privilegiato speciale è poi affrontata, espressamente, da Cass. Civ., Sez. I, 10 giugno 2022, n. 18882. Il principio enunciato è che il credito erariale per l’IMU maturata dopo la dichiarazione di fallimento rientra tra le spese sostenute per la conservazione, amministrazione e liquidazione dell’immobile ed integra una “uscita di carattere specifico“, a norma dell’art. 111ter legge fall., che grava in prededuzione su quanto ricavato dalla liquidazione del bene, anche se oggetto di ipoteca, trovando tale soluzione conferma, altresì, nella formulazione contenuta nell’art. 222, comma 2, CCII. La citata ordinanza esamina sia i problemi relativi al concorso fra l’art. 111bis e l’art. 111ter l. fall., sia la questione della individuazione di prededuzioni speciali (ad es. spese di conservazione o, come nel caso affrontato, tributi relativi al singolo bene venduto) e di prededuzioni generali (ad es. spese generali di gestione della procedura). In motivazione, si afferma che l’art. 111bis, secondo comma, l. fall. non stabilisce tout court che i crediti prededucibili siano soddisfatti con quanto ricavato dalla liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare con esclusione “dell’intero” ricavato dalla vendita dei beni oggetto di pegno ed ipoteca, ma prevede, significativamente, l’esclusione (solo) per la parte destinata ai creditori garantiti, ossia per quella porzione della corrispondente massa attiva alla cui individuazione concorre l’art. 111ter, terzo comma, l. fall., posto che è proprio il conto autonomo delle vendite dei singoli beni gravati da ipoteca, pegno, privilegio speciale mobiliare o immobiliare, che il curatore deve tenere, lo strumento attraverso il quale deve essere individuata la somma che va attribuita ai creditori muniti della relativa prelazione speciale.
Secondo la Corte, l’art. 111ter, terzo comma, l. fall. non è una norma di natura meramente “contabile”, ma una fondamentale disposizione diretta a comporre l’apparente antinomia generata dagli artt. 111 e 111bis l. fall.; questa regola il concorso tra crediti prededucibili e crediti assistiti da prelazione, prevedendo l’imputazione al ricavato dalla vendita dei singoli beni sui quali si esercita la prelazione (maggiorato delle entrate) delle uscite di carattere specifico – ossia delle spese prededucibili sostenute per la conservazione, amministrazione e liquidazione di ciascun bene – oltre che di una quota proporzionale delle uscite di carattere generale della procedura, in quanto sostenute nell’interesse di tutti i creditori.
Di assoluto rilievo è anche un’altra pronuncia delle Sezioni Unite[1], con la quale si è fissato il principio secondo cui, in tema di concordato preventivo, il credito del professionista incaricato dal debitore per l’accesso alla procedura è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art. 161 l. fall., sia stata funzionale, ai sensi dell’art. 111, secondo comma, l. fall., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore sia stato poi ammesso al concordato ex art. 163 l. fall.
Il problema risulta affrontato anche da Cass., Sez. III, 28 settembre 2018, n. 23482, secondo cui, in tema di espropriazione immobiliare iniziata o proseguita da un istituto di credito fondiario dopo la dichiarazione di fallimento dell’esecutato, la provvisoria distribuzione delle somme ricavate dalla vendita forzata deve essere eseguita in base ai provvedimenti (anche non definitivi) di accertamento, determinazione e graduazione del credito fondiario emessi in sede fallimentare, sicché il creditore fondiario, per ottenere la provvisoria assegnazione del ricavato, è in ogni caso onerato di dimostrare la propria ammissione al passivo del fallimento; il curatore fallimentare, qualora richieda l’attribuzione di somme relative ad eventuali crediti di massa maturati in sede fallimentare, preferiti al credito fondiario, e la conseguente decurtazione dell’importo da assegnare all’istituto procedente, è tenuto a costituirsi nel processo esecutivo e a provare l’emissione di formali provvedimenti (idonei a divenire stabili ai sensi dell’art. 26 legge fall.) che (direttamente o indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione. Anche in quel caso si ipotizzava infatti, indicandone le modalità realizzative, che crediti di massa (ovverosia, prededucibili) potessero portare ad una decurtazione di quanto astrattamente spettante alla banca titolare del credito fondiario sul ricavato della vendita dell’immobile ipotecato.
Più in generale, il tema del concorso delle spese prededucibili e dei crediti garantiti da ipoteca è stato espressamente affrontato anche in numerose pronunce meno recenti, i cui principi appaiono ancora in grado di orientare l’interprete[2][3][4].
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In questo contesto, il rinvio pregiudiziale non può essere ammesso, facendo difetto il requisito della novità della questione, richiesto dall’art. 363bis c.p.c. Vi sono, infatti, più pronunce di legittimità che hanno affrontato il tema del possibile contrasto interpretativo fra l’art. 111bis, secondo comma, e l’art. art. 111ter, terzo comma, l. fall., come pure quello della distinzione fra diverse tipologie di crediti prededucibili nel concorso, in particolare, con i crediti garantiti da ipoteca su beni facenti parte dell’attivo fallimentare.
Cercare le risposte, delle volte, è meglio che fare domande (semicit.).
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 31.12.2021, n. 42093.
[2] In Cass., Sez. I, 28 giugno 2002, n. 9490, si afferma che in sede di ripartizione fallimentare delle somme ricavate dalla vendita di beni oggetto di ipoteca, i crediti ipotecari prevalgono sui crediti prededucibili, salvo che questi ultimi si ricolleghino ad attività direttamente e specificamente rivolte ad incrementare, o ad amministrare, o a liquidare i beni ipotecati o rechino, comunque, ai titolari specifiche utilità, e salvo il limite di un’aliquota delle spese generali, che deve, in ogni caso, gravare sui beni assoggettati a garanzia reale.
[3] In una fattispecie analoga a quella trattata dal giudice a quo, caratterizzata dalla consecutio fra procedura di risanamento e successivo fallimento, Cass., Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 335, declama, a sua volta, che in sede di ripartizione fallimentare delle somme ricavate dalla vendita di beni oggetto di ipoteca, i crediti ipotecari prevalgono sui crediti prededucibili che ineriscano ad obbligazioni sorte nell’ambito dell’amministrazione controllata, precedente al fallimento, anche nel caso in cui non vi siano beni diversi da quelli ipotecati sul cui ricavo collocare utilmente i detti crediti prededucibili, salvo che gli stessi si ricolleghino ad attività direttamente e specificamente rivolte ad incrementare o ad amministrare o a liquidare i beni ipotecati, ovvero comunque rechino ai titolari specifiche utilità (non individuabili nella semplice esistenza della procedura di risanamento), e salvo il limite di un’aliquota delle spese generali, che deve in ogni caso gravare sui beni assoggettati a garanzia reale.
[4] Concorre a comporre il quadro giurisprudenziale di riferimento anche Cass., Sez. I, 2 febbraio 2006, n. 2329: in sede di riparto dell’attivo, la prededuzione delle spese sostenute nel corso della procedura fallimentare incide sul ricavato del bene oggetto di garanzia speciale nei limiti in cui tali spese si riferiscano all’esecuzione relativa a detto bene, e tali limiti vanno individuati nelle spese specificamente sostenute per l’amministrazione e liquidazione del medesimo bene e in un’aliquota delle spese generali, da calcolarsi, in relazione alle circostanze concrete, in misura corrispondente (secondo l’apprezzamento del giudice di merito) all’utilità – anche solo potenziale, cioè sperata, ma non concretamente realizzata – del creditore garantito.
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento. Contatti: 0832305597 - a.zurlo@studiolegalegrecogigante.it