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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 17 marzo 2023, n. 7884.

di Micol De Bellis

Praticante avvocato

La sentenza in commento concerne il corretto assolvimento dell’onere di allegazione da parte dell’Istituto di Credito il quale eccepisca un’eccezione di prescrizione estintiva[1], nell’ambito dell’esperimento da parte di un correntista dell’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. di somme illegittimamente addebitategli a titolo di interessi ultralegali e anatocistici, di commissioni di massimo scoperto e di antergazione e postergazione dei c.d. “giorni di valuta”, relativamente ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente.

È necessario ricordare come l’istituto giuridico della prescrizione estintiva preveda un termine entro il quale il diritto può essere fatto valere e decorso il quale non può più essere esercitato o azionato; in base al principio generale sancito dall’art. 2934 c.c., infatti, ogni diritto si estingue quando, per inerzia del titolare, non viene esercitato nel periodo stabilito dalla legge. A tal proposito, nella decisione in esame, ai fini della determinazione del termine dal quale inizia a decorrere la prescrizione dell’azione esperita dal cliente che convenga in giudizio l’Istituto di Credito per ottenere la ripetizione ossia la restituzione di quanto indebitamente pagato nei rapporti di conto corrente, conseguente alla inesistenza o nullità di clausole negoziali quale quella relativa all’anatocismo, viene richiamata la storica decisione della Cassazione SS.UU. n. 24418/2010. Con essa, gli Ermellini hanno avallato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’ordinaria prescrizione decennale a cui è soggetta l’azione di ripetizione di indebito decorre dal momento della chiusura del conto corrente, se il versamento (cd. rimessa) ha natura ripristinatoria mentre decorre dal versamento in conto corrente, se questo ha natura solutoria.

Le rimesse ripristinatorie, consistenti in pagamenti effettuati su un conto il cui passivo non ha superato i limiti dell’affidamento concesso dalla Banca, non possono dar vita ad alcuna pretesa restitutoria, se non nel momento in cui, chiuso il rapporto, il correntista provvede a restituire all’Istituto di Credito il denaro in concreto utilizzato, in quanto con tali rimesse, in costanza di rapporto, non vi è stato alcun effettivo spostamento patrimoniale a favore dello stesso. Al contrario, in presenza di un pagamento asseritamente illegittimo, il correntista che se ne avveda può da subito agire per la ripetizione del medesimo; i pagamenti con funzione solutoria comprendono gli addebiti di interessi registrati in compensazione su conto corrente con saldo attivo nonché i versamenti eseguiti su un conto “scoperto” in assenza di alcuna apertura di credito o finalizzati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento.

Degna di nota la natura del versamento nell’ambito dell’azione di ripetizione di indebito: il solo che può dar vita ad una pretesa restitutoria è quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del cliente (solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore della Banca (accipiens). Il diritto ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto sorge infatti dal momento in cui sia stato compiuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che secondo il cliente è indebito (ossia non dovuto); prima di quel momento, non è ipotizzabile alcun diritto alla restituzione. Orbene, il versamento in conto che non si considera alla stregua di un pagamento – suscettibile di essere restituito in quanto corrisposto illegittimamente – è quello di natura ripristinatoria, poiché il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso al cliente. Ne consegue che, in questo caso, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti.

Nella fattispecie in analisi, i ricorrenti lamentavano il fatto che la Banca, nel formulare l’eccezione di prescrizione, si era limitata ad allegare un generico riferimento a tutte le rimesse affluite sul conto in data anteriore al decennio a ritroso dal primo atto interruttivo della prescrizione, quando graverebbe su di essa l’onere di indicare specificamente le singole rimesse aventi natura solutoria. La Corte Suprema, rigettando il sovra menzionato motivo di ricorso dedotto dai ricorrenti, ha sottolineato come l’azione di ripetizione di indebito sia soggetta all’ordinaria prescrizione decennale la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, bensì dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati[2].

Gli Ermellini poi, aderendo al filone giurisprudenziale già adottato dalla Corte medesima, hanno ritenuto che “il fatto costitutivo dell’eccezione di prescrizione è rappresentato dalla sola inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte. La Corte non ha pertanto ritenuto necessario che la Banca indichi specificamente le rimesse prescritte, emergendo la natura ripristinatoria dal contratto scritto di conto corrente assistito da apertura di credito che deve essere prodotto in giudizio dall’attore[3] in ripetizione dell’indebito -non bastando l’affermazione che vi fosse una apertura di credito-[4]. Secondo il costante orientamento della Suprema Corte, infatti, nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto alla prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi essendo, altresì, onerato della ricostruzione dell’intero andamento del rapporto[5]. In seguito, qualora sia stata eccepita dalla Banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito[6], che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata[7].

Sussiste dunque una simmetria tra i rispettivi oneri di allegazione delle parti: il correntista potrà limitarsi ad indicare l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato, e la Banca, dal canto suo, potrà limitarsi ad allegare l’inerzia dell’attore in ripetizione, e dichiarare di volerne profittare. Il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene pertanto eliminato, ma si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice deve valutare la fondatezza delle contrapposte tesi in base al riparto dell’onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente.

In conclusione, è possibile affermare che l’eccezione di prescrizione dell’actio indebiti esercitata con riguardo alle rimesse in conto corrente è validamente proposta dalla Banca convenuta ove questa alleghi l’elemento costitutivo dell’eccezione di prescrizione – vale a dire l’inerzia del correntista – e manifesti la volontà di profittare di quell’effetto, spettando poi al giudice di individuare, sulla base degli elementi presenti in atti, il dies a quo dell’inerzia rilevante e verificare se il decorso del tempo sia, o meno, sufficiente a determinare l’estinzione del diritto alla ripetizione dell’indebito, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte.

Richiedere al convenuto, ai fini della valutazione di ammissibilità dell’eccezione, che tale inerzia sia particolarmente connotata in riferimento al termine iniziale della stessa (individuando e specificando diverse rimesse solutorie) comporterebbe infatti l’introduzione indiretta di una nuova tipizzazione delle diverse forme di prescrizione; orbene, nella sentenza in esame, non grava sull’Istituto di Credito l’onere di allegare e provare l’esistenza di un rapporto di affido in conto corrente idoneo a qualificare i singoli versamenti come ripristinatori e a spostar l’inizio del decorso della prescrizione al momento della chiusura del conto, anziché solutori[8]. Al contrario, come ha più volte ribadito la Corte, in presenza di eccezione di prescrizione della Banca, è onere del correntista, attore in ripetizione dell’indebito, allegare e provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito in conto corrente, che consenta di qualificare come non già solutorie, bensì meramente ripristinatorie della provvista, le rimesse effettuate entro i limiti dell’affidamento[9].

La prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è, dunque, nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione: perlomeno lo è ove il correntista assolva al proprio onere probatorio; se ciò non accada il problema non dovrebbe nemmeno porsi, visto che mancherebbe la prova del fatto costitutivo del diritto azionato, onde la domanda attrice andrebbe respinta senza necessità di prendere in esame l’eccezione di prescrizione[10]. È infatti potere-dovere del giudice quello di esaminare l’eccezione medesima e di stabilire in concreto ed autonomamente se essa sia fondata in tutto o in parte, determinando il periodo colpito dalla prescrizione e la decorrenza di esso in termini eventualmente diversi da quelli prospettati dalla parte.

 

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[1] consistente, da un punto di vista prettamente processuale, dell’allegazione di un fatto estintivo della pretesa altrui.

[2] V. Cass. SS.UU. 02.12.2010, n. 24418.

[3] a norma dell’art. 2697 c.c., è onere di chi vuol far valere un proprio diritto in giudizio provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (…)

[4] V. Cass. SS.UU. 25.7.2002 n. 10955; Cass. 27.6.2017 n. 15954; Cass. 26.7.2017, n. 18581; Cass. 22.2.2018, n. 4372; Cass. 10.7.2018, n. 18144; Cass. 30.10.2018 nn. 27704 – 27705; Cass. SS.UU. 13.6.2019 n. 15895.

[5] Cass. Sez. 1, ord. n.30822 del 28 novembre 2018; Cass. sez. VI, sent. n. 24948 del 23 ottobre 2017.

[6] La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, sebbene l’onere della prova incomba sul correntista, il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipulazione di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Così Cass. n. 31927 del 2019).

[7] V. Cass. 30 gennaio 2019, n.2660; Cass. 30 ottobre 2018, n.27704; Cass. 10 luglio 2018, n.18144).

[8] V. Cass. 28.2.2020 n. 5610; Cass. 11.3.2020, n. 7013.

[9] V. Cass. 18.01.2022, n. 1388; Cass. 27704/2018; 2660/2019; 31927/2019.

[10] V. Cass. 22 febbraio 2018, n. 4372; Cass. 26 luglio 2017, n. 18581.

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