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Commento alla Sent. Cass. Civ. Sez. VI, n. 13258/2017

di Valerio Pennetta

 


 

Con l’ordinanza del 25 maggio 2017, n. 13258, la sesta sezione della Corte di Cassazione affronta l’annosa questione della validità della clausola relativa agli interessi e della prova del credito. La lite ha come protagonisti la banca e il suo cliente (oltre che i suoi fideiussori), e vede quest’ultimo debitore della prima per un importo pari a Lire 939.173.137. Il cliente impugna il decreto ingiuntivo precedentemente ottenuto dalla banca, eccependo la nullità della clausola relativa agli interessi e alla loro capitalizzazione trimestrale, e chiede ed ottiene la rideterminazione dell’importo, il quale, a seguito del giudizio in Corte d’Appello, è fissato in Euro 251.974,87 più interessi.

Contro la pronuncia ricorrono per Cassazione i fideiussori, e resiste con contro ricorso la banca.

L’oggetto dell’ordinanza della Cassazione verte essenzialmente su tre motivi: i) Nullità della sentenza di secondo grado nel caso in cui la stessa sia resa nei confronti di solo alcuni dei convenuti e non di tutti; ii) Ruolo della mancata contestazione degli estratti conto presentati ai correntisti e prova del credito da parte della banca; iii) Incidenza del tasso di interesse variabile convenuto contrattualmente.

Con riferimento al punto uno, la Cassazione chiarisce come in realtà la “svista” della Corte d’Appello è da considerarsi mero errore materiale (in quanto il convenuto non menzionato nella sentenza è stato comunque citato in giudizio dai ricorrenti), emendabile ai sensi dell’art. 287 c.p.c. Per quanto riguarda il secondo motivo, emblematica è la dissertazione degli ermellini sul ruolo della mancata contestazione (quindi implicita accettazione) degli estratti conto presentati al correntista, istituto previsto dall’art. 119 c. 2 TUB. La Cassazione sostiene che l’accettazione degli estratti conto (sia essa implicita o esplicita) accerta solo la verità storica degli importi, e non la legittimità delle clausole dalle quali quegli importi derivano. Dunque, ferma, nel caso in esame, l’invalidità della clausola di cui sopra, la banca deve produrre tutti gli estratti conto, a partire dall’apertura del conto, al fine di dimostrare la legittimità degli importi pretesi, senza poter addurre il fatto che l’obbligo di conservazione delle scritture contabili si limita a 10 anni indietro a partire dalla domanda di produzione delle stesse (infatti nel caso de quo si tratta di prova del credito, non dell’onere di conservazione delle scritture contabili). Sul punto la Cassazione specifica che il saldo non può fornire alcun tipo di prova, in quanto nulla dice con riferimento agli addebiti, non permettendo dunque di capire quali importi risultano dall’illegittima capitalizzazione degli interessi. L’ultimo motivo riguarda l’incidenza del tasso variabile, e gli ermellini ammoniscono sul punto i ricorrenti, in quanto non hanno specificato se la variazione è stata in aumento (a loro sfavore) o in diminuzione (a loro favore) rispetto al tasso convenuto del 21,25%.

La Corte, accogliendo il secondo motivo e rigettando il primo e il terzo, cassa la sentenza con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma anche per le spese.