Nota a Cass. Civ., Sez. Un., 12 febbraio 2025, n. 3625.
La recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione affronta una tematica di estrema rilevanza per il diritto tributario e societario: la responsabilità degli ex soci di una società estinta nei confronti del Fisco. Una questione che si colloca al crocevia tra tutela dell’interesse erariale e garanzia per chi ha cessato l’attività imprenditoriale, con implicazioni pratiche per professionisti e imprese.
Il contesto normativo e giurisprudenziale.
L’art. 2495 c.c., nel disciplinare l’estinzione della società di capitali, prevede che i creditori non soddisfatti possano agire nei confronti degli ex soci, ma solo nei limiti di quanto questi abbiano ricevuto a seguito della liquidazione. Questo principio, apparentemente lineare, si complica quando la pretesa creditoria proviene dall’Agenzia delle Entrate, che spesso punta a ottenere un titolo esecutivo nei confronti dei soci, anche in assenza di somme concretamente riscosse.
Già le Sezioni Unite, con le sentenze del 2013, avevano chiarito che l’estinzione della società non comporta la scomparsa automatica dei debiti, che possono traslare sugli ex soci. Tuttavia, la recente pronuncia della Suprema Corte ha ulteriormente affinato il concetto, stabilendo che il limite di responsabilità ex art. 2495 c.c. non incide sulla legittimazione processuale, ma esclusivamente sull’interesse ad agire del creditore, con conseguenze rilevanti in termini di onere della prova e strategia difensiva.
Gli effetti pratici della decisione.
Secondo la Cassazione, l’Agenzia delle Entrate può comunque procedere nei confronti degli ex soci, anche in assenza di riparti di liquidazione, poiché la responsabilità patrimoniale potrebbe emergere successivamente. Questa impostazione introduce un elemento di forte incertezza per chi ha cessato un’attività societaria, lasciando aperta la porta a possibili azioni del Fisco, anche anni dopo la chiusura.
Per le imprese, ciò significa che la cancellazione della società non rappresenta uno scudo assoluto contro future rivendicazioni. In concreto, la difesa dell’ex socio dovrà articolarsi su più livelli:
– Contestare la sussistenza dell’interesse ad agire del Fisco, dimostrando l’insussistenza di un reale beneficio patrimoniale ricevuto.
– Verificare la regolarità degli atti impositivi, in particolare sulla motivazione e sulle notifiche.
– Opporsi a eventuali iscrizioni a ruolo, poiché il Fisco, pur potendo ottenere un titolo, dovrà comunque dimostrare la reale disponibilità di attivi residui.
Strategie per imprese e professionisti.
Alla luce di questa decisione, gli imprenditori che intendono chiudere un’attività devono adottare alcune precauzioni:
1. Gestione attenta della liquidazione: la redazione del bilancio finale deve essere particolarmente scrupolosa, evitando di lasciare margini di contestazione su eventuali sopravvenienze attive.
2. Chiusura certificata della posizione fiscale: interloquire con l’Agenzia delle Entrate prima della cancellazione può prevenire azioni successive.
3. Valutare il rischio di azioni future: un’analisi preliminare con il proprio consulente fiscale può individuare eventuali criticità.
Conclusioni.
La recente pronuncia delle Sezioni Unite segna un passo decisivo nella definizione delle responsabilità post-liquidazione, ampliando la portata delle pretese erariali sugli ex soci. Per le imprese e i professionisti, ciò impone un cambio di prospettiva: la fine della società non chiude necessariamente i conti con il Fisco. Anticipare le mosse e adottare strategie mirate diventa essenziale per evitare sorprese sgradite. Il diritto alla difesa si esercita prima ancora che il Fisco bussi alla porta.
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