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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 13 settembre 2023, n. 26450.

di Alessio Buontempo

Praticante Avvocato

La controversia al vaglio della Suprema Corte origina da una opposizione a precetto – presentata da una società operante nel mondo del turismo – accolto dal Tribunale di Gorizia, il quale ha statuito che nella fattispecie in esame non poteva configurarsi una responsabilità della cessionaria del ramo d’azienda, e quindi della sua incorporante, non trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 2560, co. 2, c.c.; più precisamente la società in questione era stata condannata dal medesimo Tribunale al pagamento di una somma a favore di una società in fallimento che aveva esercitato giudizialmente – ex art. 43 l.fall. – il credito retributivo vantato da una ex lavoratrice illegittimamente licenziata dalla società convenuta. Successivamente, la Corte d’Appello di Trieste in accoglimento dell’impugnazione della ex lavoratrice e in riforma della decisione del Tribunale di Gorizia, ha rigettato l’opposizione a precetto, evidenziando che le circostanze evidenziate dal Tribunale non fossero rilevanti ai fini dell’esclusione della responsabilità della società cessionaria per i debiti relativi al ramo d’azienda ceduto, ai sensi dell’art. 2560, co.2, c.c..

Il giudice d’Appello ha richiamato, al riguardo, un orientamento espresso dalla S.C. nella sentenza n. 32134 del 2019, da cui ne deriva il principio secondo cui in tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà tra cedente e cessionario di cui all’art. 2560, co. 2, c.c. – con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento – e condizionato a che i debiti risultino dai libri obbligatori, deve essere applicato considerando la finalità di protezione della disposizione, che permette di far prevalere il principio generale di responsabilità solidale del cessionario qualora risulti, da un lato, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per cui essa è stata introdotta, e dall’altro, un quadro probatorio che consenta di assicurare tutela effettiva al creditore.

Nello specifico, la Corte d’Appello ha dunque ritenuto che, nel caso di specie, la cessione del ramo d’azienda in cui la ex lavoratrice aveva prestato il proprio lavoro fosse stata consegnata in modo tale da lasciare solo in capo alla società cedente il debito retributivo verso la lavoratrice e fosse stata finalizzata a lasciare non soddisfatto quel debito dopo la messa in liquidazione la successiva cancellazione della società debitrice. La Corte, pertanto, in applicazione del richiamato orientamento di legittimità, tenendo conto, da un lato, dell’uso “distorto” dell’istituto del trasferimento di ramo di azienda e, dall’altro, della provata conoscenza della sussistenza del debito in capo alla società cessionaria (che era stata gestita dallo stesso amministratore unico che aveva già gestito la società cedente), ha ritenuto che la circostanza formale della eventuale non risultanza dell’obbligazione dalle scritture contabili obbligatorie della società cedente, inerenti alla gestione del ramo di azienda ceduto, dovesse ritenersi superata e dovesse conseguentemente riconoscersi, in ordine all’obbligazione retributiva accertata in capo alla società cedente, la responsabilità della società cessionaria, nonché, dopo l’estinzione di questa a seguito della fusione che ne aveva comportato una incorporazione, la responsabilità della società incorporante.

La società incorporante avverso la sentenza della Corte d’Appello presentava ricorso in Cassazione per due motivi, il primo ove si denuncia la violazione degli artt. 12 e 14 preleggi e dell’art. 2560, co. 2, c.c. ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., e in particolare per l’aver la sentenza d’appello ritenuto che il requisito dell’iscrizione dei debiti nei libri contabili non abbia valore costitutivo e possa essere supplito dalla conoscenza del debito in capo all’acquirente/cessionario, laddove risulti che la cessione sia finalizzata ad evitare il pagamento di un debito non iscritto nei libri contabili. In questo senso, la società ricorrente ha evidenziato il carattere eccentrico e verosimilmente isolato dell’orientamento di legittimità applicato e richiamato dalla sentenza d’appello, ritenendo che ad una tale interpretazione osterebbe anzitutto la natura eccezionale della disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 2560 c.c., la quale farebbe, appunto, eccezione alla regola generale contenuta nel primo comma del medesimo articolo, e stante il suo carattere eccezionale il regime di solidarietà previsto dalla disposizione codicistica non potrebbe dunque formare oggetto di applicazione estensiva od analogica oltre il caso specifico da essa stessa contemplato e, così, l’elemento dell’iscrizione nei libri contabili sarebbe dunque requisito costitutivo della responsabilità del cessionario d’azienda, non surrogabile da altre forme di conoscenza.

Il primo motivo è ritenuto dalla S.C. infondato, in quanto le argomentazioni della società ricorrente hanno richiamato l’attenzione sulla sussistenza di un tradizionale e consolidato orientamento di legittimità, secondo cui la responsabilità del cessionario in solido con il cedente nei confronti dei creditori aziendali, postula necessariamente l’annotazione dei debiti nei libri contabili obbligatori, non surrogabile da altri elementi di conoscenza. La Cassazione prosegue facendo presente che l’orientamento giurisprudenziale tradizionale, da cui si è discostata la pronuncia n. 32124 del 2019 richiamata dalla sentenza d’appello,  trova ampio riscontro in dottrina, ove tende a prevalere, in via generale, la tesi diretta ad attribuire all’iscrizione del debito nei registri obbligatori il valore di fatto costitutivo necessario per l’assunzione in capo al cessionario della corresponsabilità per debiti aziendali relativi all’azienda oggetto del trasferimento. Muovendosi, infatti, la dottrina dal presupposto che il trasferimento dell’azienda, mentre determina il passaggio dal cedente al cessionario dei beni e dei rapporti contrattuali pendenti, non comporta invece il passaggio dei “puri” debiti, i quali, in applicazione del principio generale secondo cui ciascuno risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art.2740 cod. civ.), restano in capo all’alienante, a tutela dei creditori e dell’affidamento che essi hanno riposto sulla garanzia patrimoniale del debitore originario, salvo che acconsentano alla sua liberazione. Secondo la Corte, l’esame della dottrina consente di individuare il fondamento dogmatico sia dell’orientamento tradizionale e prevalente, sia di quello espresso dalla isolata pronuncia n. 32134 del 2019. Ove il primo si rinviene nel medesimo rilievo che ha indotto la stessa Corte di legittimità a tenere distinta l’area di applicazione del regime di cui all’art. 2560 c.c. dall’area di applicazione del regime di cui all’art. 2558 c.c.: il rilievo, cioè, che mentre il rapporto contrattuale, essendo ancora in corso e dovendo essere eseguito proprio attraverso l’esercizio dell’azienda, è parte di essa (quale insieme di beni e rapporti giuridici teleologicamente organizzati e funzionalmente rivolti all’esercizio dell’impresa), invece il puro debito non fa parte di questa organizzazione; di conseguenza, nel caso di trasferimento dell’azienda, il puro debito non transita automaticamente con essa e non si trasferisce al cessionario, ma resta debito del cedente, ai sensi dell’art. 2560, co. 1, c.c., salva l’eccezione di cui al capoverso dello stesso articolo. Il secondo, invece, si riviene nel diverso rilievo, non esattamente esplicitato nella pronuncia n. 32134 del 2019, ma dogmaticamente irrefutabile, che la cessione di azienda, prima di essere, oggettivamente, un trasferimento di beni e di rapporti, integra, soggettivamente, una successione nell’attività di impresa, la quale non può che coinvolgere anche i debiti.

A conclusione dell’esame del primo motivo, la Corte evidenzia che, nel caso di specie a prescindere dalla circostanza se la cessione fosse connotata o no dalla finalità fraudolenta accertata dal giudice d’appello, non si poneva il problema di tutelare l’interesse del cessionario alla conoscenza dei debiti dell’azienda acquistata, poiché mancava in radice, nella sostanza, l’alterità soggettiva del cessionario medesimo rispetto al cedente, che quei debiti aveva assunto. Sulla base di tali argomentazioni la Corte corregge in via integrativa la motivazione della sentenza d’appello, con conseguente rigetto del primo motivo di ricorso.

Con secondo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in particolare per aver la sentenza d’appello affermato il carattere distorto della cessione in quanto finalizzata a non pagare il credito della ex lavoratrice illegittimamente licenziata, omettendo di considerare il fatto decisivo che la cessione aveva riguardato solo un ramo d’azienda e che quello rimasto in capo alla cedente comprendeva beni ampiamente sufficienti a soddisfare le ragioni di credito della stessa lavoratrice. La Corte di legittimità ritiene tale secondo motivo assorbito dalla statuizione di rigetto del primo in quanto, mediante la correzione in via integrativa della motivazione della sentenza d’appello, si è evidenziato che il fondamento della responsabilità della società opponente e successivamente, della sua incorporante, va ravvisato non già nel carattere fraudolento o distorto della cessione, ma nell’assenza di alterità soggettiva tra la cedente e la cessionaria.

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