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Nota a Trib. Bergamo, Sez. III, 6 giugno 2023.

Mala tempora currunt per i locatori spesso si suol dire. Niente è più attuale, oggi, soprattutto per noi operatori del diritto sul campo, che il problema del mancato rilascio in seguito a provvedimenti esecutivi di rilascio. Partendo da questo presupposto ci si pone, con il presente contenuto, una breve analisi di più ampio respiro.

La questione qui esaminata, parte mettendo un punto fermo per quanto riguarda il risarcimento del danno pari al canone mensile ma risulta di ampio raggio e fonte di spunto per considerazioni su un argomento poco e tralatiziamente trattato dalla giurisprudenza: la sentenza condizionale.

Come è noto, la questione giurisprudenziale trae origine sin dal 2004 quando la Corte di Cassazione[1], trattando una fattispecie relativa ad un rapporto di leasing finanziario veniva investita dell’analisi (mai analiticamente approfondita) della problematica. Il caso dal quale trae origine la delicata tematica nasceva dalla richiesta di un utilizzatore di vedere risolto il contratto per inadempimento con la condanna alla restituzione dei canoni corrisposti nonché il risarcimento dei danni consistenti nei canoni arretrati e i futuri non corrisposti.

L’istituto processuale qui trattato oscilla, da sempre, a causa dell’assenza di specifica previsione, tra l’indiscutibile utilità pratica e gli ostacoli teorici più volte segnalati dalla dottrina[2].

La giurisprudenza[3], di fatto, ha sempre espresso il principio generale per il quale «è possibile emettere sentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro e incerto, o alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, purché il verificarsi dell’evento dedotto in condizione non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudizio di cognizione, ma possa semplicemente esser fatto valere in sede esecutiva mediante opposizione all’esecuzione.».

Il principio generale qui sopra esposto, mediante, come si diceva sopra, l’applicazione quasi di un automatismo, pare ripetersi dalla giurisprudenza serialmente anche nelle successive pronunce (di legittimità e di merito) intervenute sulla delicata questione tralasciando, però, l’approfondimento relativo all’eventualità che la condizione apposta alla sentenza possa operare quale condizione sospensiva o risolutiva, ipotesi che rappresenta le due ipotesi opposte e speculari ovvero l’ intervenire o caducare al verificarsi della condizione. Come è facile immaginare, la questione più annosa riguarda le pronunce risolutamente condizionate.

Il caso oggetto della recentissima pronuncia del Tribunale di Bergamo qui analizzata conferma (oltre alla valutazione del risarcimento pari al canone), proprio, che nel caso di petitum relativo a risarcimento del danno inerente al mancato rilascio in seguito a provvedimenti esecutivi di sfratto e in presenza, quindi, eventualmente, di condizione risolutiva (l’avvenuto rilascio) che “la compiuta esecuzione del rilascio dell’immobile ben può costituire l’evento condizionante”.

Compiuta, quindi, dall’interessante e utile spunto proposto dal Tribunale di Bergamo, questa breve analisi argomento poco dibattuto, si rinvia all’applicazione del principio nelle diverse (e più complesse) svariate ipotesi di eventi condizionanti.

 

 

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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 01.10.2004, n. 19657.

[2] Si segnala il contributo ZUFFI, Sull’incerto operare del fenomeno condizionale nelle sentenze di accertamento e di condanna, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 2006, Anno LX, Fasc. 3.

[3] V. supra nota 1.

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