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Nota a Trib. Monza, Sez. I, 21 agosto 2023, n. 1856.

di Chiara Brilli

Studio Legale Ficola

A distanza di tempo dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Lexitor, una “doppia conforme” rappresentata dalla sentenza del Giudice di Pace di Monza confermata in appello dalla sentenza del Tribunale di Monza ne ribadisce la rilevanza nell’ordinamento interno (adeguatosi con l’intervento prima del legislatore e poi della Corte Costituzionale), recependo le conclusioni cui perviene la Corte di Giustizia.

I giudici statuiscono che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata del finanziamento include anche gli oneri che sono convenzionalmente assunti come c.d. up front, ossia quale corrispettivo o rimborso di attività prodromiche al rapporto di finanziamento e quindi non solo i costi c.d. recurring.

 

Il caso.

Un consumatore, dopo aver estinto anticipatamente il finanziamento stipulato nell’anno 2015 ed essersi visto rimborsare dall’intermediario solo una parte dei costi del credito, ulteriori rispetto agli interessi pattuiti, per la quota non utilizzata in conseguenza dell’estinzione anzitempo (quota relativa a commissioni di attivazione, commissioni di gestione e commissioni di intermediazione, ovvero i costi c.d. recurring), agiva dinnanzi al Giudice di Pace di Monza chiedendo la condanna della banca convenuta al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di rimborso della parte non utilizzata dei costi del credito sopra indicati, ovvero dei costi up front, invocando l’applicazione della Direttiva 2008/48/CE.

Il giudizio di primo grado si concludeva con accoglimento della domanda attorea e conseguente condanna dell’intermediario convenuto.

Su impulso della parte soccombente, si apriva il giudizio di appello dinnanzi il Tribunale di Monza con richiesta di riforma della sentenza impugnata e condanna del consumatore alla restituzione di quanto versatogli in ottemperanza al decisum di primo grado.

Più in particolare, tra i motivi di gravame, per quanto qui rileva, l’appellante assumeva l’erroneità della sentenza del Giudice di Pace di Monza nella parte in cui aveva ritenuto applicabile alla fattispecie dedotta la sentenza della CGUE dell’11.09.2019, C-383/2018 (caso Lexitor).

Il Tribunale di Monza, in rigetto dell’appello in parte qua, confermava la sentenza di primo grado, facendo propria la lettura del Giudice di Pace in ordine ai principi affermati dalla sentenza Lexitor.

La decisione del giudice di appello si fonda sul carattere dirimente dei principi stabiliti in tale sentenza, come anche recepiti dall’ordinamento nazionale, che sanciscono il diritto del consumatore di ottenere dall’ente finanziatore, in caso di restituzione anticipata del credito, una riduzione del “costo totale del credito” in funzione della durata residua del contratto. La Corte di Giustizia precisa, difatti, che in base alla normativa applicabile la riduzione dovuta al consumatore include tutti i costi sostenuti da quest’ultimo, senza distinguere tra i costi relativi all’originaria istituzione del rapporto (c.d. costi up front) e, quelli invece legati all’erogazione del finanziamento nel tempo, e quindi alla durata del contratto (c.d. costi recurring).

Chiosa il Tribunale di Monza come nel caso di specie non possano applicarsi i principi -invocati dall’appellante- espressi nella più recente pronuncia della Corte di Giustizia del 9.07.2023 (C-555/2021 caso Unicredit Bank Austria) involgendo una fattispecie differente per contesto normativo e fattuale di riferimento.

Nella specie, difatti, il contratto all’esame è un contratto di credito al consumo sottoposto alla disciplina della Direttiva 2008/48/CE, mentre nella fattispecie giudicata dalla Corte di Giustizia nella sentenza Unicredit Bank Austria, il contratto esaminato è di credito immobiliare e sottoposto alla specifica disciplina della Direttiva UE 2014/17.

 

Le questioni.

La sentenza in commento offre lo spunto per ripercorrere, seppure concisamente, l’assetto disciplinare tradizionale formatosi sul tema e per commentare l’excursus storico della vicenda, oltre che talune reazioni degli operatori del diritto alle novelle rivenienti dalla pronuncia della Corte di Giustizia nel caso Lexitor.

 

  1. Il pregresso e la regola enunciata dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’11.09.2019 nella causa C-383/2018 (caso Lexitor).

1.1 Nella prassi italiana afferente ai contratti di finanziamento quali contratti di durata ovvero ad esecuzione continuata o periodica, in particolare a seguito dell’entrata in vigore della Direttiva 2008/48/CE in materia di contratti di credito ai consumatori, si era consolidata la distinzione tra costi c.d. up front e costi c.d. recurring. Mentre i primi sono relativi alle attività prodromiche alla stipulazione del contratto di finanziamento, indipendenti dalla relativa durata, come ad esempio le spese di istruttoria; i secondi si riferiscono ad attività che si protraggono nell’esecuzione del rapporto, quali ad esempio gli oneri assicurativi, ovvero le spese per l’incasso delle rate.

Secondo la teoria generale del contratto, la distinzione tra i due costi risiede nella loro causa negoziale, posto che gli addebiti di quegli importi al soggetto finanziato sono riferiti a determinate prestazioni che il finanziatore svolge nell’ambito del rapporto, e che si colloca, a seconda dei casi, a monte o a valle della stipulazione del contratto.

È in questo quadro che si innestano le regole fondanti il principio di trasparenza in materia bancaria, il quale pone in capo al finanziatore l’obbligo di informazione precontrattuale, rendendo edotto il cliente prima della sottoscrizione del contratto, in ordine alla causa giustificativa degli addebiti. L’informazione è difatti certamente funzionale all’esigenza di rendere quanto più possibile chiaro il contenuto dei rapporti contrattuali, attribuendo, per conseguenza ad essi maggiore certezza.

Pertanto, in ossequio al detto principio la prassi italiana era ferma nel ritenere che, in caso di rimborso anticipato del finanziamento, il consumatore avesse diritto alla restituzione dei costi recurring (dipendenti dalla durata del rapporto) e di quelli up front (collegati alla sola stipulazione del contratto a prescindere dalla relativa durata) solo nell’ipotesi in cui la distinzione tra le due categorie di costo fosse stata formulata in maniera non conforme al canone della trasparenza.

Diversamente, in caso di restituzione anticipata del credito al consumatore sarebbero spettati esclusivamente i costi recurring.

1.2 Ebbene in questo scenario stabile in quanto in sostanza anche avallato dall’Autorità di Vigilanza, si inserisce la sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa intentata dalla società polacca Lexitor contro alcuni intermediari finanziari soggetti all’ordinamento polacco.

In sintesi, la Corte di Giustizia muove dall’assunto secondo cui l’interpretazione sistematica della Direttiva 2008/48/CE richiama al valore della tutela ‘‘elevata’’ del consumatore (sentenza Lexitor, punto 29).

In questa prospettiva, dunque, secondo la Corte di Giustizia la distinzione tra costi up front e costi recurring deve essere disattesa, perché -di fatto- è rimessa alla ‘‘manipolazione’’ unilaterale dell’intermediario con evidenti ripercussioni pregiudizievoli per il consumatore.

Nello specifico, il professionista, sostiene la Corte, può ‘‘gonfiare’’ l’importo dei costi up front a scapito di quelli recurring, disincentivando così il consumatore ad esercitare il proprio diritto a estinguere in anticipo il finanziamento (sentenza Lexitor, punto 32).

Partendo dal dato testuale dell’art. 16, par. 2 della Direttiva 2008/48/CE, la Corte di Giustizia addiviene ad un’interpretazione orientata a una elevata tutela del consumatore che previene il rischio di abusi, a beneficio anche della concorrenza e quindi del mercato interno, in presenza di contrappesi ritenuti adeguati a favore dei creditori (i.e. il professionista).

Pertanto, in caso di restituzione anticipata del finanziamento la riduzione del costo totale del credito deve avvenire solo in funzione della durata residua del contratto, a nulla rilevando la tipologia di costo considerato.

Sicché nell’interpretazione della Corte di Lussemburgo il riferimento alla “restante durata del contratto” contenuto all’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE determina il criterio di calcolo della misura della riduzione, non limitando il “paniere” dei costi rimborsabili.

Invero, filo conduttore che guida tutto il ragionamento della Corte di Giustizia è, come detto, l’esigenza di proteggere il consumatore da condotte elusive dei soggetti erogatori, volte a riqualificare come up front costi che in realtà, correttamente qualificati, risultano di natura ricorrente. Nella sentenza riecheggia il concetto di natura oggettiva dei costi, tanto che il rimedio di considerare come costi suscettibili di riduzione di tutti i costi inclusi nel costo totale del credito, e non già solo quelli che dipendono dalla natura del contratto, si giustifica con la difficoltà, a tratti impossibilità, per il consumatore (e di riflesso per il giudice) di distinguere le due tipologie di costo e di avere la certezza che l’operato del soggetto erogatore non sia intenzionalmente fatto ai danni del consumatore.

L’intento della Corte pare, in altri termini, quello di porre al riparo il contraente debole dai “pericoli” insiti nella contrattualistica afferente contratti per adesione, unilateralmente predisposti -talvolta con condotte elusive- dagli intermediari, così al contempo assicurando, attraverso l’interpretazione fornita, la tutela massima del consumatore e quindi l’attuazione del principio di ordine pubblico della trasparenza, a maggior ragione in materia bancaria, funzionale all’attuazione del mercato interno e della concorrenza.

1.3 Le indicazioni contenute nella sentenza Lexitor vengono recepite nell’ordinamento italiano, i cui esponenti si convincono del fatto che l’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE, nonché la norma interna di recepimento (art. 125-sexies del TUB) devono essere interpretati nel senso che il consumatore, allorché provveda al rimborso anticipato, ha diritto alla restituzione pro quota di tutti i costi sostenuti, indipendentemente dalla loro distinzione tra costi upfront e costi recurring.

Per inciso, emblematica in tal senso è la posizione assunta dall’Arbitro Bancario Finanziario, a partire della decisione resa dal Collegio di coordinamento a breve distanza dalla sentenza della Corte di Giustizia[1], da apprezzare anche perché indicativa dei criteri per la quantificazione delle somme dovute al consumatore in relazione al ‘‘costo totale del credito’’.

Tornando alla portata dirimente dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor (non sussiste differenza tra costi up front e costi recurring), va evidenziato che, nulla disponendo al riguardo la Corte di Giustizia, gli stessi hanno efficacia retroattiva, al pari di tutte le sentenze della Corte.

Immaginando la miriade di ricorsi giudiziari che sarebbero stati intentati dai consumatori nei confronti degli intermediari per la restituzione anche dei costi up front (fino a quel momento non rivendicabili) su contratti conclusi dal 2010 in avanti (anno di recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva 2008/48/CE), il legislatore italiano ha tentato di correre ai ripari sin dal maggio del 2021.

Difatti, con il D.L. n. 73 del 25 maggio 2021 -c.d. decreto ‘‘sostegni-bis’’- convertito con modificazioni in L. n. 106/2021, viene introdotta nel nostro ordinamento una serie di disposizioni con l’intento di “arginare” la portata retroattiva della sentenza Lexitor, incidendo sulla portata applicativa, sotto un profilo temporale, dell’art. 125 sexies TUB.

Il legislatore nel detto provvedimento, per quanto qui rileva, fissa quale data di confine il 25 luglio 2021 stabilendo che: a) i contratti stipulati successivamente a tale data soggiacciono integralmente alle regole scaturenti dalla sentenza Lexitor (no distinzione costi up-front e costi recurring); b) i contratti stipulati in data anteriore al 25 luglio 2021 continuano ad essere governati dalle regole vigenti alla data di sottoscrizione del contratto, come avallate dalle ‘‘norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia’’ (distinzione costi up-front e costi recurring).

Così facendo, tuttavia, il legislatore interno finisce per creare una sacca (non consentita) che, con l’intento di tutelare l’”affidamento” degli intermediari circa l’iniziale (auto)interpretazione della norma, aveva l’effetto di comportare una differente attuazione dell’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE (rectius diverso trattamento dei consumatori) a seconda della data di conclusione del contratto, se prima o dopo il 25 luglio 2021, con applicazione dei principi della sentenza Lexitor solo ai contratti post 25.07.2021, permanendo la tradizionale distinzione tra costi up front e costi recurring per i contratti ante 25.07.2021.

Sta di fatto che il “pasticcio”[2] post Lexitor culmina finalmente nell’ordinanza del Tribunale di Torino, che prospetta l’incostituzionalità dell’art. 11octies, comma due, D.L. 73/2021, conv. in L. 106/2021, rimettendo la questione alla Corte Costituzionale, sotto due distinti profili: la violazione del primato del diritto europeo (artt. 11 e 117 Cost.), nonché la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) tra contratti anteriori e posteriori alla data del 25 luglio 2021.

 

  1. I nodi (lasciati dalla sentenza Lexitor) decisi dalla Corte Costituzionale.

2.1. La sentenza n. 263/2022 della Corte Costituzionale ha avuto ad oggetto l’art. 11-octies, comma 2, D.L. n. 73/2021 cit., come convertito con modificazioni in L. n. 106/2021, nella parte in cui dispone una limitazione temporale all’applicazione della novellata disciplina relativa al rimborso dei costi del credito, in caso di restituzione anticipata di un credito al consumo.

Più precisamente, in fase di conversione del decreto in parola, è stato riformulato l’art. 125-sexies, D.lgs. n. 385/1993 (TUB), che a sua volta recepiva l’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, al fine di adeguarne il contenuto all’interpretazione nelle more intervenuta con la sentenza della Corte di giustizia UE dell’11.9.2019 nel caso Lexitor.

Il legislatore in quell’occasione, tuttavia, come sopra anticipato, aveva deciso contestualmente di limitare l’applicazione della riforma ai soli contratti di credito al consumo stipulati dopo l’entrata in vigore della legge di conversione (25.07.2021); ciò con conseguente violazione, secondo il giudice rimettente, del principio di matrice unionale in base al quale le sentenze della Corte di giustizia hanno efficacia ex tunc e l’interpretazione in esse decisa si applica a partire dalla data di entrata in vigore della norma oggetto di interpretazione, compresi quindi i rapporti sorti o costituiti prima della pronuncia della sentenza della Corte UE.

Ebbene, il Giudice delle leggi accoglie la censura di costituzionalità sollevata.

2.2. Sintetizzato all’estremo, l’iter argomentativo seguito dalla Consulta si incentra sulla constatazione secondo cui, tramite la disciplina dettata ad hoc per il periodo anteriore al 25 luglio 2021, il legislatore italiano dichiara di voler adottare un’interpretazione della norma italiana di recepimento dell’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE (ossia l’art. 125-sexies TUB), che risulta difforme da quella sancita dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor.

È pertanto in ciò, secondo la Corte Costituzionale, che si annida la violazione del primato del diritto europeo, e da cui promana l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, in quanto l’art. 125-sexies TUB deve essere interpretato come se, fin dall’inizio (i.e. dal 2010), avesse affermato che al consumatore che rimborsa anticipatamente il finanziamento deve essere restituito il costo totale del credito, prescindendo dalla distinzione tra costi upfront e costi recurring.

In questo senso, per la Corte Costituzionale, l’intervento del legislatore nel 2021, volto a  proteggere -attraverso la limitazione nel tempo degli effetti della riforma- l’affidamento ingenerato nei finanziatori e negli intermediari dall’interpretazione che era stata data prima della sentenza Lexitor alla precedente formulazione dell’art. 125 sexies, comma 1, TUB, non può invocarsi stante la preminenza assoluta del diritto unionale, tale da non tollerare forme di restrizione o delimitazione della propria portata applicativa all’interno dei singoli ordinamenti nazionali.

Ne deriva, dunque, per l’ulteriore effetto la declaratoria di illegittimità della disciplina intertemporale in questione, in quanto limitativa nel tempo degli effetti di una norma di diritto dell’Unione Europea interpretata dalla Corte di Giustizia.

Da qui -per il vero convincente- è l’approdo della Corte Costituzionale che, in accordo con i principi espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia, afferma che gli effetti temporali della sentenza Lexitor operano ex tunc; d’altronde diversamente non potrebbe essere, posto che è la stessa Corte di Giustizia ad affermare che deve esserci “un momento unico di determinazione degli effetti nel tempo dell’interpretazione richiesta alla Corte e da quest’ultima fornita in merito ad una disposizione di diritto comunitario[3], al fine di garantire la parità degli stati membri e degli altri soggetti dell’ordinamento nei confronti di tale diritto.

La sentenza della Corte Costituzionale brilla per l’esemplificativa attuazione del diritto unionale nell’ordinamento interno e dei principi vincolanti espressi dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, con un dialogo “implicito” tra i giudici supremi e rimettendo poi ai giudici il compito di interpretare in senso effettivo la normativa rispetto al caso concreto sottoposto al loro esame.

 

  1. La sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-555/2021 in materia di contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali.

Nell’evoluzione di questa annosa questione, la Corte di Lussemburgo, nell’affrontare la questione già esaminata nel caso Lexitor in relazione al diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata del prestito, si pronuncia questa volta, però, con riferimento alla Direttiva 2014/17/UE in tema di contratti di finanziamento relativi a beni immobili residenziali[4] (caso Unicredit Bank Austria).

In detta pronuncia la Corte di Giustizia riconosce che, con riguardo ai contratti di finanziamento disciplinati dalla Direttiva 2014/17/UE, la distinzione tra costi up front e costi recurring ha la sua ragion d’essere. Di conseguenza, continua la Corte, è compatibile con il diritto europeo la legislazione nazionale austriaca che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento da parte del consumatore, limiti il suo diritto al rimborso ai soli costi recurring, escludendo quelli up front.

Invero, nella sentenza in commento si assiste ad un confronto tra l’uno caso e l’altro precedente del 2019 (caso Lexitor), senza invero ravvisarsi contraddizioni di sorta nel ragionamento affrontato nelle due ipotesi da parte della Corte.

In estrema sintesi, la Corte di Giustizia fa perno sul fatto che il caso sottopostole è da ascriversi alla materia del credito immobiliare, ove operano una serie di presidi -di natura soprattutto informativa nella fase precontrattuale- che inducono a ritenere insussistente, o comunque trascurabile, il rischio di ‘‘manipolazione’’ dei costi, nelle loro componenti up front e recurring, che viceversa caratterizzano il settore del credito al consumo, regolato dalla Direttiva 2008/48/CE.

Ora al di là dei problemi applicativi dei principi enunciati dalla sentenza Lexitor anche al settore del credito immobiliare, come presidiato dalla Direttiva 2014/17/UE, e che non può essere oggetto di questa trattazione, ciò che piuttosto si vuole evidenziare è un passaggio importante della sentenza Unicredit ove si afferma che: ‘‘il diritto alla riduzione di cui all’articolo 25, paragrafo 1, della dir. n. 17/2014 UE (equivalente in parte qua all’art. 16 della dir. n. 48/2008 CE – n.d.a.) non è volto a porre il consumatore nella situazione in cui si troverebbe qualora il contratto di credito fosse stato concluso per un periodo più breve, un importo inferiore o, più generalmente, a condizioni diverse. Esso mira, invece, ad adattare tale contratto in funzione delle circostanze del rimborso anticipato. Stanti tali condizioni, siffatto diritto non può includere i costi che, indipendentemente dalla durata del contratto, siano posti a carico del consumatore a favore sia del creditore che dei terzi per prestazioni che siano già state eseguite integralmente al momento del rimborso anticipato’’.

Trattasi di passaggio che, a prescindere da ogni altra questione, oggettivamente apre quantomeno alla valutazione da parte degli operatori del diritto dell’adozione di un approccio ‘‘neutrale’’ al tema dell’estinzione anticipata del rapporto e delle sue conseguenze applicative, rispondente ad una logica prettamente concorrenziale che consente al consumatore il confronto tra le migliori offerte di mercato svincolandosi dal rapporto contrattuale concluso.

Ciò, del resto, si rivede anche nei considerando della Direttiva 2014/17/UE, ove l’invito ricorrente agli Stati Membri a garantire, in sede di recepimento, la “coerenza di applicazione e di interpretazione” dei due strumenti (art. 25 Direttiva 2014/17/UE e art. 16, par.1 Direttiva 2008/48/CE su estinzione anticipata) in relazione alle “definizioni essenziali” e ai “concetti chiave” ivi contenuti, “compresi l’importo tale che il consumatore deve pagare”, che dovrebbe “essere in linea” con quello di cui alla Direttiva 2008/48/CE, “indipendentemente dal fatto che si tratti di credito al consumo o di un credito relativo a beni immobili residenziali” (cfr. considerando 19).

 

Notazioni conclusive.

A fronte della pronuncia della Corte Costituzionale che, come visto, si è adeguata ai principi espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’11.09.2019 C-383/2018 (caso Lexitor), lasciando nondimeno al Giudice Nazionale l’interpretazione del diritto positivo, la decisione del Tribunale di Monza seppure nell’ottica del rispetto della gerarchia delle fonti del diritto, si inserisce nel dibattito tutt’ora aperto afferente all’interpretazione uniforme e unitaria della normativa applicabile al credito al consumo.

Non sono mancate, difatti, pronunce che sulla scorta della Corte di Giustizia Europea con la sentenza n. 555/2023 (caso Unicredit) e basandosi sull’assunto per cui sia la Direttiva 2014/17/UE che la Direttiva 2008/48/CE regolano il mercato dei contratti di credito ai consumatori, hanno stabilito che caso di estinzione anticipata di un finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione soltanto dei costi recurring e non anche di quelli up front[5]. Posizione questa che probabilmente prende le mosse anche dal considerando (20) della Direttiva 2014/17 per cui “la struttura” della detta direttiva dovrebbe seguire, ove possibile, quella della Direttiva 2008/48/CE, in particolare per quanto riguarda -ed è ciò che qui rileva- le informazioni che devono essere fornite al consumatore e le relative modalità, tramite un prospetto informativo standardizzato (c.d. PIES). Ciò fermo restando che, come ricordato nel considerando (22), “è importante tenere conto delle specificità dei contratti di credito relativi a beni immobiliari residenziali, che giustificano un approccio differenziato”, che non incide però sull’applicazione per tutto il resto di principi comuni posti a protezione dei consumatori.

Per completezza, va rammentato che sul tema si sono affacciati anche arresti giurisprudenziali per cui: ‘‘la tutela dei consumatori non può essere affidata ai semplici doveri di trasparenza e correttezza, né alla reazione contro le pratiche opache o abusive del finanziatore, ma richiede ‘‘una protezione sostanziale ed effettiva, attraverso la riduzione proporzionale di tutti i costi del credito, strumento che opera a prescindere dal rispetto dei citati doveri (Corte cost. 263/ 2022)’[6].

In conclusione, l’impressione che si ha è quella sì di un discorso complesso ma in cui tutto a ben vedere si risolve avendo di mira, nell’interpretazione e applicazione delle norme unionali e nazionali, il criterio guida della trasparenza imposto dal diritto dell’unione europea, a maggior ragione nell’ambito della normativa a tutela dei consumatori, a sua volta funzionale all’attuazione della concorrenza e del mercato unico, con il quale esaminare il singolo contratto concluso con il consumatore per valutarne la conformità o meno alla legge.

Sarà, quindi, rimessa alla capacità dei giudici nazionali di “filtrare” caso per caso le indicazioni provenienti dal diritto dell’unione europea, senza perdere di vista l’effettività della tutela del consumatore nell’ambito del credito al consumo nel senso sopra detto e in funzione degli scopi prefissi, senza frustrazione dei principi di uniformità di trattamento in ambito nazionale e sovranazionale.

In questo senso, è, del resto, il significato che riviene dai principi espressi dalla Corte di Cassazione con la recentissima ordinanza n. 25977 del 6.07.2023 intervenuta sul caso Lexitor nella fase di stesura delle ultime righe di questa nota di commento, che qui non può non richiamarsi a conferma del fatto che a monte di ogni ragionamento da compiersi in questa materia vi è il criterio guida della trasparenza imposta dal sistema unionale, funzionale all’attuazione della concorrenza e del mercato interno, passando per la massima tutela effettiva del consumatore da parte dei giudici nazionali.

 

 

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[1] Cfr. Decisione ABF n. 26525/2019.

[2] Natale, Il “pasticcio” post Lexitor bocciato dalla Corte Costituzionale, in Foro it., 2022, IV, 352.

[3] Cfr. CGUE, 6.03.2007 causa C-292/2007.

[4] Cfr. CGUE, 9.02.2023 causa C-555/2021.

[5] Cfr. Trib. Castrovillari sentenza n. 332/2023.

[6] Cfr. Trib. Torino sentenza del 20.03.2022.

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