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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 17 febbraio 2023, n. 5127.

L’ordinanza in commento puntualizza e chiarisce alcuni aspetti inerenti il rapporto tra soggetto gestore del Servizio Idrico Integrato della Sardegna e utente finale, nel caso in esame un condominio, con specifico riguardo alle somme richieste dal primo a titolo di “conguagli regolatori” e alla corretta determinazione della tariffa dovuta.

La Suprema Corte affronta, in via pregiudiziale, la questione del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario (g.o.) e giudice amministrativo (g.a.), ribadendo che «la domanda con la quale l’utente del servizio pubblico di erogazione dell’acqua contesti l’importo preteso per la fornitura dal gestore del servizio in base a una determinata tariffa introduce una controversia relativa al rapporto individuale di utenza e appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, poiché non vede coinvolta la pubblica amministrazione nella veste di autorità (Cass., sez. un., n. 4584/06; coerente, sez. un., n. 8035/11)». Il rapporto giuridico che si instaura tra l’utente e il gestore del servizio idrico, pur essendo connotato da elementi pubblicistici[1], ha natura privatistica; cosicché, fermo il criterio generale del “petitum sostanziale” (distinguo tra interesse legittimo e diritto soggettivo), che subisce un ampliamento attraverso le ipotesi di giurisdizione esclusiva, per radicare la giurisdizione del g.a. manca un elemento minimo ed essenziale:  il potere autoritativo della pubblica amministrazione.

La natura privatistica del rapporto e la giurisdizione del g.o. valgono a maggior ragione quando il gestore unico sia una società in house, cui il servizio idrico sia stato affidato dal soggetto pubblico di riferimento ponendosi come una sua longa manus.

La Corte di Cassazione, ‘entrando nel merito’ del ricorso, precisa che il dies a quo della prescrizione quinquennale, ex art. 2948, n. 4, c.c., relativamente alle somme vantate dal Gestore quale conguaglio regolatorio, le c.d. partite pregresse, può decorrere solo dal momento in cui siano state esattamente determinate le voci di costo da contabilizzare in via integrativa.

L’ordinanza richiama la recente pronuncia n. 29593 del 2022, con cui le Sezioni Unite hanno affrontato e risolto la questione, statuendo che: «la nozione di recupero dei costi, in cui si sostanzia il “conguaglio”, implica in sé l’applicazione di un costo ora per allora, ossia di un costo che, con il metodo tariffario normalizzato in precedenza vigente, non poteva essere integralmente recuperato; il che comporta che, prima della determinazione delle voci di costo da recuperare, non si configura la possibilità di recupero e, quindi la possibilità di esercitare il relativo diritto, a norma dell’art. 2935 c.c.».

Orbene, per la Regione Sardegna con la Delib. 26 giugno 2014, n. 18, emanata dal Commissario Straordinario dell’Ente d’Ambito della Sardegna, è stata approvata la quantificazione e sono stati riconosciuti i conguagli relativi alle partite pregresse, ivi compresa l’autorizzazione del soggetto gestore ad effettuarne la riscossione; la prescrizione del diritto recuperatorio decorre, quindi, dalla data del 26 giugno 2014.

La Cassazione passa poi a verificare la razionalità delle somme richieste a titolo di conguaglio, non già sul piano dell’an debeatur, ma su quello del quantum. Del resto, «il fatto che non sia preclusa “in astratto” una politica tariffaria di recupero, anche di costi che non siano strettamente correlati al consumo di acqua, non significa che sia ammesso “ogni” recupero tariffario».

Molto interessante è la prospettiva teleologica che nell’ordinanza si cerca di delineare con il seguente passaggio: «Il perimetro dell’operatività dei conguagli regolatori è circoscritto dall’esigenza di recuperare i costi sopportati dai servizi di distribuzione dell’acqua per mettere quest’ultima a disposizione degli utenti, in quantità e qualità sufficienti, indipendentemente dal consumo effettivo che costoro ne fanno, in modo da coprire i costi afferenti alla manutenzione delle opere municipali di approvvigionamento idrico, nonché all’analisi e al mantenimento della salubrità dell’acqua potabile e dalla più volte affermata natura di corrispettivo che deve riconoscersi alla tariffa e a ogni singolo voce che la compone (cfr. C- 186/95, cit., d. lgs. n. 152 del 2006, art. 154, comma 1, art. 9 della direttiva 2000/60/CE)».

Nel considerare la dimensione sovranazionale, la Corte osserva che la normative dell’Unione – segnatamente la Direttiva 2000/60[2] – risulta senz’altro ispirata da un concetto «di razionalità economica, intesa come un vincolo da gestire e non come una variabile da massimizzare; è stato, infatti, efficacemente affermato che a livello comunitario sono stati adottati un approccio, una visione ed un metodo che impegnano ad una progettazione istituzionale che valuti – anche qualitativamente – le determinanti (costi umani, materiali e finanziari;) e ogni altra variabile (non solo fisiologica) collocata nello specifico contesto territoriale e socio-economico, segnatamente riferito alle esigenze di erogazione del servizio pubblico, che sfocia nell’applicazione di un modello tariffario che sappia conciliare costi ed assets ed evitare la duplicazione della contabilizzazione».

La necessaria meritevolezza dei criteri di calcolo utili a determinare le partite pregresse è, del resto, un principio già enucleato dalla nostra giurisprudenza di legittimità: « è illegittimo il meccanismo recuperatorio delle partite pregresse ove non entrino in gioco criteri contabili di determinazione e di imputazione della quota annuale dei costi di investimento e dei costi di esercizio né criteri matematici di quantificazione delle componenti tariffarie (Cass. civ., sez. III,  23/06/2021, n. 17959, chiamata a pronunciarsi sul meccanismo di calcolo di alcuni conguagli applicati dall’operatore del Servizio Idrico Integrato in alcuni comuni liguri ).

L’ordinanza, dopo aver scandagliato la normativa interna[3] e quella sovranazionale[4], con le rispettive coordinate ermeneutiche, evidenzia la piena legittimità delle modifiche tariffarie, integrative nel corso del tempo del rapporto di durata, perché il contratto di utenza non indica semplicemente il corrispettivo dovuto al gestore per l’espletamento del servizio idrico, ma prevede anche forme di riequilibrio economico tra le prestazioni per il verificarsi di talune sopravvenienze. In caso di revisione del contratto è, tuttavia, necessario far confluire nella tariffa solo quei «costi che siano in nesso di corrispettività con il servizio reso».

La Corte di Cassazione ammette, dunque, il recupero delle somme pregresse nei limiti di quei costi «imprevisti e imprevedibili al momento dell’erogazione e fatturazione del servizio». È illegittima la «pretesa di recuperare retroattivamente costi non correlati né correlabili con il servizio offerto e con le voci di costo ammissibili rispetto ad una gestione efficiente, coerentemente ai principi di causalità, pertinenza, oggettività, congruità, proporzionalità, competenza rispetto all’anno di riferimento e di trasparenza».

In concreto dovranno, ad esempio, escludersi «i conguagli regolatori utilizzati per allocare sull’utenza errori di gestione o di previsione collegati alla generale rischiosità del servizio idrico integrato, indici dell’incapacità di approntare un meccanismo di regolazione incentivante, in grado cioè di orientare i prezzi verso costi efficienti e di garantire gli equilibri gestionali, la continuità e lo sviluppo nel tempo, perché tale esternalizzazione risulterebbe incoerente rispetto alla direttrice che permea l’intero quadro regolativo dei servizi economici di interesse generale, il cui fulcro risiede nell’aderenza delle pretese economiche rivolte all’utenza ai costi effettivamente sostenuti dall’impresa, nella pertinenza/corrispettività rispetto ai servizi resi, nella misurabilità oggettiva, nella congruità rispetto a valutazioni di mercato e di efficienza economica».

In questo sistema grava sull’ente gestore l’onere di dimostrare l’imprevedibilità del costo da recuperare in via retroattiva, la sua pertinenza e corrispettività rispetto al servizio offerto (prova di “fatti costitutivi[5]), venendosi a creare una sorta di meccanismo presuntivo in favore dell’utenza.

 

 

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[1] L’organizzazione del servizio idrico integrato è infatti demandata per legge ai comuni e alle province ed è finalizzata a garantire la fornitura di un bene primario qual è l’acqua.

[2] L’art. 9 della direttiva n. 2000/60/CE è stato inteso dalla Corte di Giustizia (con sentenza in causa C-686/15, Zeljka Klafuric, nella quale si controverteva della legittimità di una voce in fattura non legata ai consumi idrici, ma ai costi fissi di gestione) come volto all’adozione, da parte degli Stati membri, di una politica dei prezzi dell’acqua, rimessi alle valutazioni discrezionali dei singoli Stati, che incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente; in tale contesto, la fissazione del prezzo dei servizi idrici sulla base del volume di acqua effettivamente consumato costituisce “uno” dei mezzi idonei; nondimeno, gli Stati membri dispongono della facoltà di adottare ulteriori modalità di tariffazione dell’acqua che consentano, in particolare, di recuperare taluni oneri sopportati dai servizi di distribuzione dell’acqua per mettere quest’ultima a disposizione degli utenti, in quantità e qualità sufficienti, indipendentemente dal consumo effettivo che costoro ne fanno, in modo da coprire i costi afferenti alla manutenzione delle opere municipali di approvvigionamento idrico, nonché all’analisi e al mantenimento della salubrità dell’acqua potabile

[3] Rif: art. 154 T.U. Ambiente (D.Lgs. n. 152 del 2006) sulla “Tariffa del Sistema Idrico Integrato”; D.L. n. 70 del 2011, art. 10 conv. con L. n. 106 del 2011, che ha attribuito all’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, poi soppressa e incorporata, quanto alla funzione in questione, nell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, il compito di predispone il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in modo che sia pienamente attuato – tra l’altro – il principio di recupero dei costi.

[4] Direttiva 2000/60.

[5] Cfr. Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533.

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