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Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 30 luglio 2020, n. 16280.

di Donato Giovenzana

 

Con l’unico motivo la ricorrente ha lamentato la violazione dell’art.1832 c.c., assumendo che la Corte di appello aveva affermato erroneamente che la mancata contestazione degli estratti conto da parte del debitore principale non impediva ai fideiussori di sollevare la questione di nullità delle clausole contrattuali poste a base della contabilità dell’istituto bancario, da cui risultava il saldo a debito del correntista debitore principale, mentre la ratio della disposizione era quella di far cessare lo stato di sospensione e incertezza, dannoso per il normale svolgimento del rapporto e di stabilizzare il saldo nel nuovo conto, in modo opponibile anche ai fideiussori.  

Secondo la Suprema Corte, la censura appare manifestamente infondata in relazione al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo il quale nel contratto di conto corrente, l’approvazione anche tacita dell’estratto conto, ai sensi dell’art. 1832, primo comma, c.c., preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto, ma non impedisce di sollevare contestazioni in ordine alla validità ed all’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti, e cioè di muovere contestazioni fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente (Sez. 6 – 1, n. 30000 del 20/11/2018, Rv. 651869— 01; Sez. 1, n. 23421 del 17/11/2016, Rv. 642654 — 01; Sez. 1, n. 11626 del 26/05/2011, Rv. 618130 — 01).  

Non rileva quindi l’argomentazione svolta dalla ricorrente secondo cui nel rapporto di conto corrente la trasmissione degli estratti conto ex art.1832 c.c. determina l’onere in capo al correntista della specifica tempestiva contestazione e fa scattare la presunzione, in mancanza, della sua approvazione con effetti vincolanti anche per il fidejussore; la preclusione per decadenza nel caso in questione non era ravvisabile neppure in capo al debitore principale, alla luce del tenore delle contestazioni sollevate dai controricorrenti e accolte dai Giudici del merito;  ciò è sufficiente punto di vista logico alla confutazione della censura articolata dalla Banca, salvo ricordare per completezza il principio fissato dall’art. 1945 c.c. – neppur contestato dalla ricorrente, che sostiene erroneamente l’operatività della preclusione per lo stesso debitore principale – secondo il quale il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità.

 

Qui la pronuncia.