Nota a Cass. Civ., Sez. I, 18 dicembre 2025.
1. Introduzione: la vicenda processuale e le questioni di diritto.
Con la proposta di definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. nel procedimento R.G. 17942/2025, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su due temi cardine del contenzioso bancario: la validità delle clausole anatocistiche nei contratti di conto corrente stipulati prima dell’entrata in vigore della Delibera CICR 9 febbraio 2000 e l’onere della prova a carico del correntista in caso di produzione documentale incompleta. Il provvedimento in esame, pur nella sua forma interlocutoria, offre una sintesi chiara e netta degli orientamenti consolidati della Suprema Corte, dichiarando l’inammissibilità del ricorso proposto da due istituti di credito avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, e confermando così la bontà delle difese spiegate dal correntista. L’analisi della proposta si rivela di notevole interesse pratico, in quanto cristallizza principi fondamentali a tutela del contraente debole e chiarisce, ancora una volta, i limiti invalicabili posti all’autonomia degli intermediari finanziari.
2. La radicale nullità delle clausole anatocistiche ante Delib. CICR 9 febbraio 2000 e l’inefficacia dell’adeguamento unilaterale.
Il fulcro della controversia, oggetto dei primi due motivi di ricorso, verteva sulla pretesa della banca di aver validamente adeguato le condizioni contrattuali anatocistiche, originariamente nulle, attraverso la procedura di cui all’art. 7 della Delibera CICR 9 febbraio 2000, con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e comunicazione alla clientela. Le ricorrenti lamentavano la violazione degli artt. 1283 c.c., 120 T.U.B. e della citata delibera, sostenendo che la Corte di merito avesse errato nel non considerare l’adeguamento idoneo e nel non effettuare un esame concreto del presunto “miglioramento” delle condizioni per il cliente (passaggio da capitalizzazione trimestrale ad annuale).
La Suprema Corte, nel respingere tali censure, si allinea al proprio granitico orientamento, ricordando come il percorso normativo e giurisprudenziale abbia condotto a una conclusione inequivocabile. Come si legge nella proposta di definizione:
infatti, in ragione della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delib. CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera. [17942-2025 – Proposta di definizione anticipata.pdf]
Il ragionamento del Collegio è impeccabile. La declaratoria di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, d.lgs. 342/1999 (Corte Cost. n. 425/2000) ha travolto la norma di “sanatoria” delle clausole anatocistiche pregresse, ripristinando la piena vigenza del divieto di cui all’art. 1283 c.c. e, con essa, la nullità assoluta di tali pattuizioni. Una clausola radicalmente nulla è tamquam non esset, ossia giuridicamente inesistente sin dall’origine. Di conseguenza, è logicamente e giuridicamente impossibile applicare il meccanismo di “adeguamento” previsto dall’art. 7, comma 2, della Delibera CICR, che presuppone un “giudizio di comparazione” tra le vecchie e le nuove condizioni. Non si può comparare una condizione nuova con una condizione (la vecchia) che, per il diritto, non è mai esistita. L’unico strumento per introdurre ex novo una valida clausola di capitalizzazione degli interessi in un contratto che ne era privo (essendo la clausola originaria nulla) è la stipulazione di una “espressa pattuizione”, come previsto dall’art. 7, comma 3, della medesima delibera, nel rispetto dei requisiti formali e sostanziali imposti dall’art. 2 (stessa periodicità nel calcolo degli interessi debitori e creditori). La mera comunicazione unilaterale, anche se pubblicata in Gazzetta Ufficiale, è pertanto del tutto inefficace a tal fine.
3. L’onere della prova in caso di produzione parziale degli estratti conto.
Con il terzo motivo di ricorso, gli istituti di credito tentavano di far valere l’inammissibilità della domanda di accertamento del saldo a causa della mancata produzione integrale degli estratti conto da parte del correntista. Anche su questo punto, la Corte di Cassazione ribadisce un principio ormai consolidato, volto a bilanciare l’onere probatorio del correntista (ex art. 2697 c.c.) con il principio di effettività della tutela giurisdizionale.
Il Consigliere delegato evidenzia come la Corte di merito abbia correttamente applicato il seguente principio:
ove il correntista, agendo in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca, ometta di depositare tutti gli estratti conto periodici e non sia possibile accertare l’andamento del conto mediante altri strumenti rappresentativi delle movimentazioni […], va assunto, come dato di partenza, per il ricalcolo, il saldo iniziale a debito risultante dal primo estratto conto disponibile o da quelli intermedi dopo intervalli non coperti, che, nel quadro delle risultanze, è il dato più sfavorevole al cliente, sul quale si ripercuote tale incompletezza, in quanto gravato dall’onere della prova degli indebiti pagamenti. [17942-2025 – Proposta di definizione anticipata.pdf]
La soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità respinge la tesi, sostenuta dalle banche, secondo cui la lacuna documentale paralizzerebbe l’azione del cliente. Al contempo, essa rigetta anche la tesi del c.d. “saldo zero”, che finirebbe per avvantaggiare ingiustificatamente il correntista che non ha assolto pienamente al proprio onere probatorio. Il criterio del “primo saldo a debito documentato” rappresenta un equo compromesso: l’azione è ammissibile e il ricalcolo è possibile, ma le conseguenze negative della mancata produzione documentale ricadono sulla parte che ne era onerata, ossia il cliente. La domanda, pertanto, non è inammissibile, ma il suo accoglimento quantitativo potrà essere limitato dalla base di calcolo disponibile.
4. Conclusioni.
La proposta di definizione in commento, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, si pone in linea di continuità con la più recente e consolidata giurisprudenza della Suprema Corte. Essa costituisce un’ulteriore e autorevole conferma di due principi cardine a tutela dei correntisti: a) l’impossibilità per le banche di “salvare” le clausole anatocistiche nulle contenute nei contratti stipulati prima del 2000 tramite meccanismi di adeguamento unilaterale, essendo a tal fine indispensabile una nuova e specifica pattuizione con il cliente; b) la piena ammissibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito anche in caso di produzione parziale degli estratti conto, con il ricalcolo che dovrà partire dal primo saldo documentato, ponendo a carico del cliente le conseguenze della lacuna probatoria. Tali principi rafforzano la posizione del contraente debole e fungono da monito per gli intermediari, ribadendo che la validità delle condizioni contrattuali non può prescindere dal rispetto rigoroso della normativa imperativa e dalla manifestazione di un consenso informato e specifico del cliente.
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