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«Lo sguardo disilluso di McCarthy si posa, implacabile, su una umanità senza rotta, che naviga a vista, su una realtà alla deriva, ormai inadeguata per i valori del passato e per i loro portatori.»

Lo sguardo disilluso di McCarthy si posa, implacabile, su una umanità senza rotta, che naviga a vista, su una realtà alla deriva, ormai inadeguata per i valori del passato e per i loro portatori, per i “vecchi”, che neppure hanno contezza di come son finiti in un presente troppo criptico per loro, ma che, pur tuttavia, hanno concorso a realizzare, scelta dopo scelta, omissione dopo omissione.

La storia è quella di una caccia all’uomo, in cui la “preda” si ritrova casualmente nel territorio dei suoi cacciatori, mossa da un ardito egoismo e dalla sopravvalutazione delle proprie capacità: il luogo apocalittico di un massacro tra bande di narcotrafficanti, con una borsa piena di dollari.

Sulle sue tracce sono sguinzagliati il bene e il male, impersonificati nello sceriffo Bell e in Anton Chigurh, recentemente eletto il personaggio più psicopatico del cinema (nella celebre trasposizione in cui è interpretato da Javier Bardem), con un senso tutto personale della giustizia, della morale e dell’onore, al punto da concedersi (e concedere) quale unica deroga, alla decisione di uccidere, il lancio di una moneta e la scommessa sul testa/croce.

Il campo lungo della narrazione, sempre diretta e verista, mostra uno spaccato sociale stranito e straniante, in cui si è in balia di un progressivo e inarrestabile decadimento valoriale; in cui le cose capitano come capitano; in cui i giovani son troppo imbelli e i vecchi troppo disorientati da un presente che non si capacitano essere la continuazione del loro passato.

Lo sceriffo Bell, in una spola tra racconto e introspezione, assurge a lettore critico, forse anche a censore, prima di se stesso e poi degli altri: perché non bisogna mai andare troppo lontano per cercare le cause del declino.

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