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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 21 febbraio 2023, n. 5370.

di Sara Rescigno

Tirocinante ACF

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione – nell’ambito di una controversia in cui la Banca è stata accusata di aver applicato ai rapporti con il Ricorrente interessi ultralegali, di aver fatto ricorso all’anatocismo e di aver contabilizzato commissioni di massimo scoperto di contenuto indeterminato – si è espressa in materia di documentazione bancaria e poteri del consulente tecnico d’ufficio (c.t.u.).

Nel decidere la controversia de quo, la Corte ha affrontato due questioni.

Con il primo motivo di ricorso, il Ricorrente ha lamentato il mancato accoglimento, da parte del Giudice di Appello, della propria istanza di esibizione documentale, posto che il potere del correntista di chiedere alla banca la documentazione relativa al proprio rapporto di conto corrente può essere presentata anche in corso di causa, con qualsiasi mezzo idoneo allo scopo.

Il giudice di legittimità non ha ritenuto fondata tale censura.

Innanzitutto, la Corte ha precisato che il diritto del cliente – nell’ambito della rapporto intercorrente con la banca – di chiedere e ottenere in giudizio, a proprie spese, la documentazione riguardante le singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni va esercitato non solo in presenza dei presupposti previsti dall’articolo 210 c.p.c., ma anche a condizione che la documentazione che si intende ottenere abbia costituito oggetto di una precedente richiesta rivolta alla banca e da questa non accolta. In caso contrario, la medesima richiesta non potrà essere formulata in giudizio[1].

In seguito, la Corte si è pronunciata sul potere del consulente tecnico d’ufficio di acquisire la documentazione – nella specie: estratti conto – a seguito del maturarsi delle preclusioni istruttorie ex art. 184 c.p.c.

Dopo aver precisato che gli estratti conto – nell’ambito del rapporto bancario – danno ragione dell’andamento del rapporto ed evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione, in quanto riferite a somme che non andavano addebitate al cliente[2], il giudice di legittimità, sulla scorta di una recente sentenza delle Sezioni Unite[3], ha distinto l’attività generale di acquisizione del consulente tecnico d’ufficio (ex art. 194 c.p.c.) da quella avente ad oggetto l’esame contabile (ex art. 198 c.p.c.).

In ogni consulenza tecnica, il consulente nominato dal giudice può acquisire – anche a prescindere dall’attività di allegazione delle parti – tutti i documenti necessari, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni – che è pur sempre onere delle parti provare – e salvo che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio.

In materia di esame contabile, invece, il consulente tecnico – prescindendo, anche in questo caso, dall’attività di allegazione delle parti – può acquisire tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti del giudice, anche se diretti a provare fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni.

In particolare, la pronuncia delle Sezioni Unite in materia di c.t.u. contabile, ha dato rilievo al requisito previsto dall’articolo 198, comma 2, del ”previo consenso delle parti”, che assurge a presupposto condizionate l’acquisizione dei detti documenti da parte del consulente contabile.

La ratio di tale requisito, argomentano le Sezioni Unite, si rinviene nell’esigenza di porre un bilanciamento agli ampi poteri dei consulenti tecnici in materia contabile, che possono apprendere scritti che comprovano anche fatti principali, a differenza di quanto previsto dalla disciplina generale ex art. 194 c.p.c., in cui gli unici documenti esaminabili da parte del consulente sono i documenti a comprova dei fatti accessori.

In altri termini, le Sezioni Unite ritengono che l’articolo 198 c.p.c. sia una disposizione speciale: ma ciò sul piano dell’acquisizione della prova dei fatti principali che non sono oggetto di allegazione, senza con questo ammettere l’apprensione di documenti in assenza del consenso di cui si è detto.

Alla luce delle suindicate considerazioni, nel caso di specie, il Ricorrente non ha provato che l’acquisizione documentale sia stata preceduta dal consenso della Banca, per questo motivo l’attività del c.t.u. non si è conformata alla prescrizione di legge.

Con il secondo motivo di ricorso, Parte ricorrente ha sostenuto che la Banca non ha fatto valere la nullità della consulenza tecnica d’ufficio con la prima difesa successiva al deposito dell’elaborato peritale, violando, in questo modo, i principi espressi in materia di onere probatorio e l’articolo 157 c.p.c., in materia di rilevabilità e sanatoria della nullità, oltreché gli articoli 194 e 198 c.p.c., in materia di attività del c.t.u. e di esame contabile.

La Corte, nel ritenere fondata la questione, ha confermato l’orientamento secondo il quale i vizi che inficiano l’operato del c.t.u sono fonte di nullità relativa e sono disciplinati dall’art. 157, comma 2, c.p.c.

Salva l’ipotesi di fatti principali rilevabili d’ufficio, l’attività del consulente tecnico che si estende a fatti non oggetto di capitolazione di parte o a documenti non introdotti nel giudizio dalle parti senza attivare su di essi il contraddittorio, non lede un interesse del processo, ma un interesse delle parti all’esercizio del proprio diritto di difesa, per questo motivo avverso tale attività può essere fatta valere solo la nullità relativa e non quella assoluta.

Ne consegue che è onere delle parti far valere tale violazione ed eccepire la nullità dell’atto che ne deriva nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso ex articolo 157, comma 2, c.p.c.[4].

Tale affermazione vale anche nell’ipotesi di acquisizione, in sede di consulenza contabile e senza il preventivo consenso delle parti, di documenti la cui produzione in giudizio sarebbe preclusa, stante il maturarsi del termine decadenziale previsto dalla legge processuale.

Secondo la Corte, infatti, il potere delle parti di acconsentire a nuove acquisizioni documentali e la natura relativa della nullità che si determina per il mancato consenso rappresentano simmetriche declinazioni del diritto alla prova documentale quanto ai fatti principali suscettibili di esame contabile.

Ciò chiarito, la Banca – nel caso in questione – non ha eccepito alcuna nullità successiva al deposito in cancelleria dell’elaborato peritale.

Ne consegue che, essendosi sanata la relativa nullità, la Corte di Appello avrebbe dovuto esaminare, ai fini della decisione, l’acquisizione documentale di cui si discute.

In conclusione, il giudice di legittimità ha ritenuto applicabile il principio per cui, in materia contabile, la nullità per l’assenza del consenso preventivo quanto all’acquisizione di documenti comprovanti fatti principali deve essere fatto valere dal contendente che tale consenso avrebbe dovuto prestare e non ha prestato, nella prima istanza o difesa successiva al deposito dell’atto viziato o dalla conoscenza di esso.

 

 

 

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[1] Cass., n. 23861, del 01/08/22; Cass., n. 24641, 13/09/2021.

[2] Cass., n. 24948, 23/10/2017.

[3] Cass., Sez. Un., n. 3086, 01/02/22.

[4] Cass., Sez. Un., n. 3086, del 01/02/2022.

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