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Nota a App. Bari, Sez. II, 24 ottobre 2025.

Massima redazionale

La Corte territoriale, in apertura, rammenta come le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione[1] hanno statuito che «E’ valido e, in presenza dei requisiti prescritti dall’art. 474 c.p.c., costituisce titolo esecutivo il contratto di mutuo “solutorio”, il quale si perfeziona, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, è posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, e non rileva in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale». In precedenza, sempre la giurisprudenza di legittimità[2] si era occupata di una fattispecie in cui il Tribunale aveva accolto l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso, sul ricorso di una banca, a titolo di saldo negativo del conto corrente intrattenuto con la medesima banca e di rate scadute e a scadere di un mutuo chirografario stipulato fra le parti. Ebbene, il Tribunale, espletata una CTU, per accertare gli importi addebitati a titolo di anatocismo e di tassi debitori non pattuiti correttamente, riteneva non provati i fatti costitutivi della pretesa creditoria della banca intimante sulla scorta delle conclusioni esposte nella consulenza tecnica d’ufficio che aveva evidenziato l’esistenza di un saldo attivo a favore della correntista una volta espunte le poste nulle, e cioè quelle relative al tasso ultra legale e all’anatocismo non pattuito espressamente. In particolare, il Tribunale rilevava come il contratto di conto corrente risalente al 2003 avesse pacificamente sostituito quello stipulato originariamente nel 1987, così che il rapporto doveva essere valutato unitariamente con conseguente onere della creditrice di dimostrare le poste passive fin da quella data, onere invece rimasto inevaso. Il Tribunale dichiarava, inoltre, la nullità del mutuo chirografario per illiceità della causa, in quanto dagli estratti conto prodotti risultava che le somme mutuate erano state utilizzate per ripianare l’esposizione debitoria della correntista, circostanza non contestata dall’opposta. La Cassazione, ha affermato testualmente: «1.2 Il primo motivo di ricorso è inammissibile. La tesi dei ricorrenti si fonda sul collegamento negoziale tra il contratto di mutuo e il contratto di conto corrente, collegamento che determinerebbe la nullità del primo, in quanto stipulato al solo fine di ripianare le presunte passività del conto corrente derivanti da clausole a loro volta dichiarate illecite. La Corte d’Appello ha ritenuto non dimostrato il collegamento negoziale tra i due contratti. In particolare, si legge nella sentenza impugnata che la motivazione con la quale il giudice di primo grado aveva dichiarato la nullità del mutuo era meramente apparente e fondata sull’unica circostanza che il finanziamento era stato erogato mediante accredito sul conto corrente. Tale circostanza non era sufficiente per affermare un collegamento negoziale dal quale farne discendere l’illiceità della causa del contratto di mutuo. Ciò premesso deve ribadirsi che: In tema di collegamento negoziale cd. funzionale, l’accertamento del giudice di merito ai fini della qualificazione giuridica di tale situazione negoziale deve investire l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze del collegamento realizzato dalle parti mediante l’interpretazione della loro volontà contrattuale e, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. 6a, Ord. n. 20634 del 2018). La decisione, peraltro, è conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale: affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa (e non il semplice motivo) nell’altro, nonché dall’intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica, soltanto se la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell’altro (Sez. 1, Sent. n. 12567 del 2004). In altri termini, nella specie, non risulta provato un collegamento tra il rapporto di conto corrente e il contratto di mutuo al fine di una loro considerazione unitaria, non ricorrendo sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l’effetto tipico del singolo contratto posto in essere, ma anche il coordinamento con l’altro per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale”. Ciò posto, si tratterebbe, quindi, nella presente fattispecie, di responsabilità aquiliana della banca, derivante da un atto “lecito”. Ciò, per la ragione che il mutuo solutorio è perfettamente conforme a legge (il che, già, sgombra il campo con riguardo ad una parte delle doglianze degli appellanti, che assumono sussistere profili di nullità del mutuo). Tuttavia, la Cassazione, con ordinanza n. 30981 del 3/12/2024, ha stabilito che: “Fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, non è configurabile, in assenza di una condotta non pagina 15 di 23 colposa o, comunque, non illecita, una responsabilità risarcitoria da atto lecito a carico dell’agente, poiché l’illiceità della condotta, sotto il profilo tanto oggettivo quanto soggettivo, costituisce il necessario presupposto di qualsivoglia affermazione di responsabilità risarcitoria». Il Tribunale, ha, così, motivato il rigetto delle domande risarcitorie: «La domanda risarcitoria. Premesso che, in applicazione della regola generale di cui all’art. 2697 c.c., è l’attore a dover fornire prova della sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. invocata nella specie, nella specie difetta integralmente la prova dei predetti elementi. L’irrilevanza della destinazione finale delle somme mutuate non consente di ritenere di per sé antigiuridica o illecita la condotta di aver concesso il finanziamento, peraltro su richiesta dell’originario attore2. Né è stata fornita dimostrazione in ordine alla circostanza che l’attore non avrebbe richiesto il finanziamento se il conto fosse risultato attivo, tenuto peraltro conto che non è stato dimostrato che l’intera somma mutuata fosse stata utilizzata per ripianare l’esposizione debitoria, risultando ad esempio dalla medesima prospettazione attorea che della somma di € 400.000 mutuata solo € 49.375,53 furono utilizzati per ripianare il saldo debitore del c/c. Non è stata, quindi, fornita alcuna prova dell’esistenza del danno patrimoniale lamentato, né di quello non patrimoniale. Infatti, “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (Cass., Sez. 3, sentenza n. 127 del 08/01/2016; conf.: Sez. 6-3, ordinanza n. 4534 del 22/02/2017; Sez. 3, sentenza n. 20889 del 17/10/2016; Sez. 6-L, ordinanza n. 27447 del 19/12/2011; Sez. 3, sentenza n. 20990 del 12/10/2011; Sez. 3, sentenza n. 10607 del 30/04/2010; Sez. 1, sentenza n. 13469 del 16/09/2002)” (Cassazione civile sez. III, 05/03/2019, n .6329). Infine, “In tema di danni non patrimoniali (ma il principio è ovviamente applicabile a qualsivoglia tipo di danno e, più in generale a qualsiasi tipo di pretesa azionata in giudizio, stante il fondamentale disposto dell’art. 2697 c.c.), è onere del danneggiato fornire al giudice del merito i necessari elementi di prova funzionali a dimostrare, sul piano processuale, tanto l’esistenza quanto l’entità delle conseguenze dannose risarcibili asseritamente subite a seguito del prodursi di un evento di danno connotato dal carattere del “contra ius” e del “non iure”, non essendo legittimamente predicabile, in seno al sottosistema civilistico della responsabilità, alcuna fattispecie di danni “in re ipsa” (Cassazione civile sez. III, 13/12/2012, n. 22890). Nel caso di specie, nessuna prova né tantomeno allegazione è stata fornita in ordine al c.d. danno biologico, esistenziale ed alla reputazione commerciale. La domanda è, pertanto, sul punto integralmente rigettata.».

Nel caso di specie – stante la ricostruzione degli stessi appellanti – il finanziamento, della somma di €. 600.000,00, veniva richiesto al solo e unico scopo di realizzare una nuova costruzione per civile abitazione; la banca convenuta lo concedeva, ponendo la condizione che sull’intero suolo edificatorio venisse concessa ipoteca, da svincolare – di volta in volta – con la vendita delle singole unità immobiliari a costruirsi, nonchè l’ulteriore condizione che di tale finanziamento solo una parte sarebbe stata destinata a sostegno del programma edilizio richiesto dall’attore, obbligandolo, per la restante parte, a ripianare le preesistenti esposizioni, nei confronti della banca stessa.

Ebbene, della somma complessivamente mutuata era stata effettivamente utilizzata solo una minima parte per ripianare i debiti, essendo stati gli stessi appellanti ad ammettere che il mutuo fosse stato contratto – prevalentemente – per potere costruire un nuovo edificio.

In buona sostanza, il mutuo è stato contratto per una somma superiore di circa dieci volte, rispetto all’importo debitorio da ripianare; e, comunque, la necessità di reperire la provvista per ripianare il debito, non è stato l’unico motivo che ha spinto il de cuius a contrarre il mutuo, avendo gli stessi appellanti ammesso che l’altro – e preponderante in termini quantitativi – motivo fosse quello legato alla necessità di reperire la provvista per la costruzione di un nuovo edificio. Se si istituisce un raffronto tra gli elementi testé indicati ed i principi espressi dalla Cassazione, già richiamati[3], emerge, non solo che l’esigenza del ripianamento del debito, costituisse il motivo (e non già la causa) della sottoscrizione del contratto di mutuo, ma anche, e soprattutto, che detto motivo non fu l’unico, e nemmeno quello preponderante. Invero, non v’è alcun dubbio che – a prescindere dalla sorte del contratto di conto corrente, e cioè dalla nullità parziale delle relative clausole, che, quindi, ha determinato, nella specie, una elisione del debito, dando luogo, addirittura, ad un credito del correntista – non possa farsene discendere automaticamente la nullità del contratto di mutuo, finché non si dimostra l’esistenza di un collegamento teleologico tra i due contratti, collegamento da escludere, del tutto, nella presente fattispecie, per le ragioni sin qui evidenziate.

In questo quadro, manca del tutto – ai fini della delibazione delle domande risarcitorie – quindi, il nesso causale, necessario per l’accoglimento delle domande di danni. Invero, è del tutto evidente che, solo se l’importo del debito da ripianare fosse stato pari, o assai prossimo, a quello del mutuo, si sarebbe potuto, in astratto, istituire, in base alla regola del “più probabile che non” un rapporto di causa effetto, tra lo stato di salute e la morte del de cuius, e il comportamento (colposo) della banca, cui dovrebbe imputarsi il fatto di aver concesso il mutuo, per il ripianamento di un debito, che, in realtà, non esisteva.

Peraltro, deve rimarcarsi che «La valutazione del nesso causale in sede civile, pur ispirandosi ai criteri di cui agli artt. 40 e 41 c.p., secondo i quali un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché al criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili, presenta tuttavia notevoli differenze in relazione al regime probatorio applicabile, stante la diversità dei valori in gioco tra responsabilità penale e responsabilità civile. Nel processo civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige infatti la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio»[4]. Ancora, «In tema di illecito extracontrattuale, il nesso di causalità, dovendo essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa considerarsi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile, può essere riconosciuto anche in base ad un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, che deve però risultare qualificata da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni astratte svolte in termini probabilistici»[5]. Infine, «In tema di risarcibilità del danno da fatto illecito, il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della cosiddetta regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l’evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiano del tutto inverosimili. L’accertamento di tale nesso di causalità è riservato al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi»[6].

Orbene, se è vero, (come è vero), che la valutazione della sussistenza del nesso causale, deve essere effettuata “ex ante“, nella specie qui in esame, non si vede cosa possa addebitarsi alla banca, atteso che la inesistenza del debito del correntista, è emersa solo “ex post” (ovvero, dopo l’espletamento della CTU contabile). Analoghe considerazioni vanno svolte, mutatis mutandis, anche con riguardo ai pretesi danni per la segnalazione alla Centrale rischi. Correttamente, quindi, il primo giudice ha escluso sia i danni patrimoniali, sia quelli non patrimoniali. L’assenza di nesso causale, rende del tutto ultronea ogni richiesta istruttoria.

 

 

 

 

 

 

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[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., 05.03.2025, n. 5841.

[2] Il riferimento è a Cass. n. 9475/2022.

[3] V. supra nota 2. Più nello specifico, «affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa (e non il semplice motivo) nell’altro, nonché dall’intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica, soltanto se la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell’altro (Sez. 1, Sent. n. 12567 pagina 18 di 23 del 2004). In altri termini, nella specie, non risulta provato un collegamento tra il rapporto di conto corrente e il contratto di mutuo al fine di una loro considerazione unitaria, non ricorrendo sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l’effetto tipico del singolo contratto posto in essere, ma anche il coordinamento con l’altro per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale»

[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 11.05.2009, n. 10741.

[5] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 30.10.2009, n. 23059.

[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 21.12.2001, n. 16163.

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