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di Libero Giulietti

Avvocato

Il presente contributo intende indagare quale sia la sorte della garanzia offerta dalle Fondazioni antiusura nel caso in cui:

  • la Banca che ha concesso il finanziamento a favore di un debitore meritevole in difficoltà, ceda, ad un terzo, il proprio credito garantito da uno di detti enti (Fondazioni) e,
  • il terzo cessionario (di norma altra Banca o altro intermediario finanziario), a seguito dell’inadempimento del debitore principale, intenda escutere la garanzia anzidetta.

L’indagine non può che prendere le mosse dall’esame dei principi generali in tema di trasferimento dei crediti e delle relative garanzie, che sono enunciati:

  • all’art. 1260, comma 1, c.c. intitolato “Cedibilità dei crediti” che recita “Il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge”. Stando a questa norma la cedibilità dei crediti è, in linea di principio, presso che totale e generalizzata, col solo limite della stretta personalità del credito o del divieto di legge;
  • all’art. 1263 c.c. secondo il quale e per quanto qui interessa: “Per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e con gli altri accessori. Il cedente non può trasferire al cessionario, senza il consenso del costituente, il possesso della cosa ricevuta in pegno; in caso di dissenso il cedente rimane custode del pegno”.

Le norme citate costituiscono la “cornice generale” in tema di cessione di credito, tuttavia non è ad esse che le banche fanno ricorso per realizzare le cessioni nella pratica. Questi operatori fanno applicazione, allo scopo, di una norma speciale che consente di semplificare, in grande misura, le incombenze previste dallo schema codicistico (notifica al singolo debitore o accettazione da parte sua) che sarebbero letteralmente ingestibili per cessioni massive di crediti, limitando dette incombenze alla sola iscrizione della cessione nel registro delle imprese e pubblicazione di un avviso in Gazzetta Ufficiale.

La norma in questione è il ben noto art. 58 del Testo Unico Bancario che regola il trasferimento, a favore di terzi, “di aziende, di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco” e, a quanto risulterebbe allo scrivente, anche i crediti relativi a finanziamenti garantiti dalle Fondazioni risulterebbero essere stati trasferiti col meccanismo della norma citata. Del resto appare del tutto improbabile, se non addirittura impossibile, che le banche abbiano effettuato – per le sole operazioni garantite dalle Fondazioni – delle cessioni singole, invece che includere queste ultime nell’ambito delle cessioni massive ex art. 58 cit.

Su questa base si fondano le considerazioni che seguono.

Altra norma speciale utilizzata dalle banche per il trasferimento dei loro crediti verso la clientela finanziata, è la Legge 30 aprile 1999, n. 130 recante Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti che, nel più ristretto ambito della cessione dei soli crediti pecuniari (non di rapporti in genere), all’art. 4, intitolato “Modalità ed efficacia della cessione”, fa, anch’essa, riferimento all’art. 58 TUB allo scopo di determinare le modalità attuative della cessione stessa (“1. Alle cessioni dei crediti poste in essere ai sensi della presente legge si applicano le disposizioni contenute nell’articolo 58, commi 2, 3 e 4, del testo unico Bancario”)[1].

La sorte spettante alle garanzie nel caso di cessione di crediti/rapporti giuridici in blocco è disciplinata dal comma 3 dell’art. 58 TUB che, con una norma praticamente riproduttiva dell’art. 1263 c.c., recita: “I privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario senza bisogno di alcuna formalità o annotazione. Restano altresì applicabili le discipline speciali anche di carattere processuale previste per i crediti ceduti”.

Il successivo comma 6 recita, poi, che: “Coloro che sono parte dei contratti ceduti possono recedere dal contratto entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità del cedente”.

Ebbene, ad una prima lettura del citato comma 3, è innegabile che la sua formulazione onnicomprensiva, per di più rafforzata dal contenuto pressochè identico a quello della norma codicistica generale, non sembra escludere alcuna ipotesi[2]. Di conseguenza, sembrerebbe doversi concludere per l’applicabilità di questa norma anche ai crediti trasferiti che siano assistiti da garanzie delle Fondazioni e, in questo quadro, il trasferimento della garanzia della Fondazione a vantaggio del cessionario, altro non sarebbe che un semplice effetto automatico della cessione del credito.

Questa prima conclusione, apparentemente semplice e convincente, in realtà, a sommesso avviso di chi scrive, lascia adito a molti dubbi che non solo impediscono di prendere posizione in tal senso, ma, al contrario, finiscono per orientare l’interprete in un senso completamente diverso.

Di seguito una disamina di tali dubbi.

***

Una considerazione preliminare.

Va rilevato preliminarmente che, purtroppo, ogni tentativo di approfondimento della questione si imbatte nella assoluta assenza, non solo di precedenti giurisprudenziali, ma, anche, di contributi della dottrina[3]. Tale assenza è dovuta, con tutta probabilità, al fatto che le contestazioni sorte siano state gestite con accordi bonari tra gli interessati di cui, ovviamente, all’esterno non resta alcuna traccia.

Dunque l’indagine è difficile e le sue conclusioni restano prive di conferme.

Nonostante ciò, a parere di chi scrive, un esame del quadro normativo che disciplina l’attività delle Fondazioni antiusura, integrato dall’esame di qualche Convenzione intervenuta con banche e visionata da chi scrive, appare sufficiente ad escludere che l’art. 58 TUB, con tutte le sue conseguenze in tema di trasferimento di garanzie, si possa applicare, de plano, anche nel caso di cessione di crediti garantiti dalle Fondazioni stesse.

Osta a ciò, una serie di considerazioni che non possono essere ignorate e che riflettono la natura della garanzia, la finalità dell’operazione oltre che il ruolo e il rapporto che Banca e Fondazione hanno.

 

Difetto di specifiche clausole in convenzione.

Va subito detto che nelle convenzioni esaminate non è espressamente previsto alcunchè in merito al trasferimento del credito del mutuante né al fine di consentirlo né al fine di vietarlo. Questa assenza, ad avviso di chi scrive, è del tutto neutra ai fini del nostro problema nel senso che non avvalora né la tesi della libera trasferibilità, né la tesi opposta. Va da sé che se la Convenzione dovesse prevedere un divieto di cessione del credito garantito, la Banca sarebbe vincolata ad osservare tale previsione e il problema sarebbe – almeno in teoria – eliminato alla radice. Indipendentemente da ciò, sembra utile porsi il problema della libera cedibilità – da parte della banca – del credito garantito da una Fondazione antiusura al fine di individuare la disciplina per i casi già occorsi e per quelli che potranno occorrere.

 

Diversa natura (pubblica) e vincolo di destinazione della garanzia.

Gli articoli 1263 c.c. e 58 TUB prendono in considerazione e disciplinano le garanzie di comune utilizzo, quelle rilasciate dai privati per mezzo di atti o contratti di diritto privato ed a valere sul loro patrimonio. La garanzia anti-usura si differenzia sotto vari profili da queste garanzie private.

Lungi dall’essere costituita con un contratto rimesso alla libera determinazione delle parti, essa trova la sua fonte direttamente nella legge e cioè nell’art. 15 c. 6 L. 108/1996 secondo il quale: “Le fondazioni e le associazioni per la prevenzione del fenomeno dell’usura prestano garanzie alle banche ed agli intermediari finanziari al fine di favorire l’erogazione di finanziamenti a soggetti che, pur essendo meritevoli in base ai criteri fissati nei relativi statuti, incontrano difficoltà di accesso al credito”.

La diretta connessione della garanzia con la previsione legislativa le conferisce connotati pubblicistici confermati dalla presenza di fondi messi a disposizione dal Ministero; né detto rilievo pubblicistico può essere posto in dubbio per il fatto che la garanzia in esame sia concretamente regolata da una Convenzione, di carattere privatistico, conclusa tra Banca e Fondazione. Infatti non fa alcuna differenza il fatto che l’intervento dello Stato avvenga in modo indiretto ossia tramite l’affidamento del compito ad un soggetto gestore terzo. La Circolare n. 1/2015 del Ministero dell’Economia e delle Finanze conferma esplicitamente questo assunto quando afferma che: “Le caratteristiche essenziali del Fondo di prevenzione per il fenomeno dell’usura sono le seguenti:

  1. natura pubblica e statale di tutte le garanzie concesse in relazione ai fondi antiusura;
  2. gestione dei fondi statali rimessa alla responsabilità degli enti concessionari;
  3. vincolo di destinazione imprescindibile per la prestazione delle garanzie, con conseguente indisponibilità dei fondi stessi a qualsiasi altro fine”.

Orbene, se quanto fin qui detto ha fondamento, ne discende, a mio avviso, che la qualificazione pubblicistica della garanzia, il connesso vincolo di destinazione e il ruolo di concessionario e gestore di denaro pubblico che la suddetta Circolare attribuisce alle Fondazioni, formano un quadro complessivo difficilmente compatibile con modifiche soggettive dell’assetto iniziale di pubblico interesse. Neppure mi sembra possibile sostenere il contrario, argomentando dalla libera cedibilità del credito prevista dalla legge sul factoring, stante la natura commerciale del credito stesso.

Dunque, non pare corretto modificare il beneficiario della garanzia o consentire il trasferimento del vincolo sui fondi in capo e a garanzia di terzi subentranti ignoti. Può, infine, essere opportuno rilevare che la circolare 1/2015 citata, nel ribadire la natura privatistica della Convenzione con la Banca, dispone, però, che “l’ente (la Fondazione: ndr) deve sempre assicurarsi che la Banca non operi diversamente da come stabilito in Convenzione, e avvisi, se del caso, la Segreteria Antiusura di eventuali comportamenti non corretti da parte dello sportello Bancario”.

In definitiva le suesposte considerazioni inducono ad escludere che la garanzia rilasciata dalla Fondazione possa esistere e sia esercitabile al di fuori delle parti che l’hanno conclusa.

 

Essenzialità/strutturalità della garanzia antiusura.

Nella normale operatività bancaria la garanzia – es. una fideiussione – non è indispensabile al fine di chiedere ed ottenere credito; la sua presenza, o meno, dipende dalla volontà della Banca di “rafforzare” il proprio credito e dalla volontà del garante di favorire il finanziamento del debitore principale. La norma di diritto è il riflesso della finalità economica della garanzia che non è autonoma, ma esiste solo in funzione del debito principale di cui riduce il rischio di inadempimento offrendo una maggior tutela al creditore.

In considerazione di questo ruolo economico subordinato, l’art. 1263 cod. civ. definisce le garanzie personali e reali come “Accessori del credito” creando così la distinzione fra un diritto principale – il diritto di credito – e un diritto accessorio costituito dalla garanzia e posto in una posizione subordinata dispetto al primo. Questa gerarchia dei diritti costituisce il fondamento del principio generale accessorium sequitur principale che informa di sé gli artt. 1263 cod. civ. e 58 TUB secondo i quali la posizione giuridica subordinata segue le sorti di quella principale cui è collegata[4].

Ebbene, la descritta natura accessoria delle comuni garanzie utilizzate nella pratica finanziaria, non sembra affatto, a chi scrive, rintracciabile nella garanzia rilasciata dalla Fondazione. Nel nostro caso il credito nasce ed esiste solo se, ed in quanto, esiste la garanzia pubblica; questa è elemento costitutivo e indefettibile (condicio sine qua non) dell’iter valutativo e decisionale che conduce al finanziamento del debitore sovraindebitato.

La formulazione stessa della proposta di intervento fatta dalla Fondazione implica il rilascio della garanzia. Insomma, come già detto sopra, l’operazione o è con garanzia o non è.

 

Natura e funzionamento della garanzia.

A) Dalle convenzioni che chi scrive ha potuto esaminare, risulta che la garanzia è costituita dai fondi liquidi (saldi del conto corrente) e dai titoli in deposito (i Fondi) variamente vincolati a garanzia delle obbligazioni assunte dalle Fondazioni e con la facoltà delle Banche di procedere all’addebito di iniziativa laddove si verifichi l’inadempimento.

Questa disciplina comporta, a mio giudizio, due conseguenze:

  • innanzi tutto ci fa escludere il ricorrere della fattispecie della fideiussione o, tantomeno, del mandato di credito. Quest’ultimo, infatti, postulerebbe un ordine di fare credito dato dalla Fondazione. Un tale ordine non sussiste perché le banche si riservano di decidere autonomamente se concedere il credito;
  • integra la fattispecie del pegno irregolare di cui all’art. 1851 cc che recita «Se, a garanzia di uno o più crediti, sono vincolati depositi di danaro, merci o titoli che non siano stati individuati o per i quali sia stata conferita alla Banca la facoltà di disporre, la Banca deve restituire solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti. La eccedenza è determinata in relazione al valore delle merci o dei titoli al tempo della scadenza dei crediti».

Se quanto qui affermato è corretto, ne discende che, anche ammessa – e non concessa – la libera trasferibilità a terzi del credito da parte della Banca, quest’ultima, ai sensi dell’art. 1263, comma 2, c.c. non può trasferire al terzo la garanzia pignoratizia senza il consenso della Fondazione[5].

B) Le Convenzioni oltre ad essere gli atti costitutivi della garanzia a carattere reale rappresentata dai conti correnti e dai depositi titoli (entrambi Fondi pubblici), contengono la disciplina di tutto il rapporto fra Banca e Fondazione. In particolare, per quanto specificamente riguarda la garanzia, le Convenzioni contengono le regole che governano i vincoli, le percentuali di copertura dei prestiti concessi, la rendicontazione, la facoltà di addebitare il conto (Fondo), il moltiplicatore che indica quante volte può essere moltiplicato il fondo di garanzia per pervenire alla quantità massima di credito accordabile. In sostanza esse (Convenzioni) integrano il patto concluso tra Banca e Fondazione che stabilisce la garanzia, la sua entità e il modo di avvalersene; la garanzia sta – direi vive – nella Convenzione e cioè nel complessivo rapporto tra i due soggetti.

Se ciò è vero – in assenza di un trasferimento della intera Convenzione necessariamente con il consenso della Fondazione – non è dato vedere come un cessionario del solo credito possa vantare diritti di garanzia e esercitarli (es. non disporrebbe dei conti correnti su cui addebitare i recuperi, non potrebbe svincolare gli investimenti per ricostruire la provvista necessaria sui conti)[6].

In conclusione, se anche si ammette la cedibilità del credito della Banca verso il soggetto finanziato, il cessionario, in difetto di una cessione (anche) del contratto (la Convenzione), non potrebbe esercitare alcuna facoltà o diritto al recupero nei confronti della Fondazione.

Risulta, poi, difficile inquadrare la Fondazione come “parte dei contratti ceduti” cui spetta la facoltà di “recedere dal contratto entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari…se sussiste una giusta causa” come previsto dall’art. 58 c. 6 TUB.

Fermo restando che qui si parla di cessione di contratto per cui sembra doversi escludere il riferimento alle semplici ipotesi di cessione del credito, le parti cui la norma si riferisce non possono che essere i contraenti del finanziamento (banca e debitore sovraindebitato) non i garanti (come è la Fondazione) i quali, a questo fine, dovrebbero qualificarsi piuttosto come terzi.

 

La finalità sociale.

La legge impone alla Banca convenzionata e alla Fondazione di perseguire il comune scopo della prevenzione dell’usura (cfr. art. 15 c. 4 L. 108) reintegrando nel credito legale e nel sistema finanziario quei soggetti che, a causa di difficoltà contingenti, ne sarebbero altrimenti esclusi. Questo scopo si realizza attraverso una collaborazione – destinata a durare nel tempo – basata sulla condivisione di risorse economiche (i Fondi antiusura) e di competenze, con la valutazione sociale e di meritevolezza, affidata alle Fondazioni e con la valutazione finanziaria affidata alle banche. L’obiettivo finale di questo progetto congiunto è, essenzialmente, di carattere sociale e solidaristico e cioè sottrarre attivamente le persone vulnerabili alle mani degli usurai. Queste persone, pur meritevoli, non sarebbero state affidate dalla Banca[7] e, quand’anche lo fossero, le condizioni loro applicate sarebbero state estremamente sfavorevoli.

Se quanto detto è vero, non appare corretto che il credito, così concesso, venga equiparato ad un qualunque credito commerciale, a un credito come tutti gli altri. Se, al contrario, si ammette la cessione di detto credito ad un terzo che operi per profitto e sia estraneo al processo decisionale ed alla realizzazione delle finalità altruistiche e sociali comuni, si ammette la riconduzione di tale credito nell’ambito di erogazioni creditizie ordinarie prive di finalità di pubblico interesse e, pertanto, estranee ai compiti solidaristici della Fondazione.

Con tutte le differenze del caso, può non essere del tutto fuori luogo richiamare qui Cassazione civile, SS.UU. 01/03/2006 n° 4511, resa in un giudizio di regolamento di giurisdizione che seguiva alle contestazioni della Procura Regionale della Corte dei Conti per l’Abruzzo, per un finanziamento non utilizzato per lo scopo concordato di acquisto di macchinari. Questi erano risultati già acquistati in precedenza e, al solo scopo di ottenere il finanziamento, erano stati fittiziamente e falsamente riacquistati.

Ebbene la decisione non esclude l’assoggettamento al giudizio della Corte dei Conti anche della banca erogatrice del contributo sostenendo che “il baricentro si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato o un ente pubblico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da potere determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile[8].

Pur con tutte le debite differenze sembra senz’altro che il principio possa essere utilmente richiamato anche nel nostro caso. Dunque la gestione delle garanzie e cioè la loro concessione, monitoraggio ed escussione implicano una responsabilità erariale, in quanto siano causa di danno.

 

Conclusioni.

Per i motivi indicati e pur con l’incertezza che permane per l’assenza, in questa materia, di decisioni e di dottrina, sembra, a chi scrive, corretto concludere che:

  • sia illegittimo il trasferimento del credito assistito dalla garanzia della Fondazione;
  • sia illegittimo – anche se si volesse comunque ammettere la trasferibilità del credito – il trasferimento della relativa garanzia;
  • ne consegue che le Fondazioni escusse sono abilitate (obbligate) a rifiutare il pagamento richiesto da terzi cessionari del credito.

 

 

 

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[1] Anche la legge sul factoring – L. 21 febbraio 1991, n. 52 – intitolata “Disciplina della cessione dei crediti di impresa” fa rinvio all’art. 58 TUB per le cessioni massive. Questa norma non dovrebbe riguardare, però, il nostro caso atteso che le Fondazioni, a quanto risulta, gestiscono solo debiti di consumatori (al massimo, delle microimprese).

[2] Apparentemente neppure quella relativa alla cessione dei crediti verso le pubbliche amministrazioni che l’art. 4 c. 4-bis della legge 130/99 recante la disciplina delle cartolarizzazioni equipara a tutte le altre cessioni. Questa la norma: Alle cessioni effettuate nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione non si applicano gli articoli 69 e 70 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, nonché le altre disposizioni che richiedano formalità diverse o ulteriori rispetto a quelle di cui alla presente legge.

[3] L’unico contributo rintracciato è: Olivieri E. – L’ambulatorietà della garanzia del Confidi nelle cessioni di rapporti giuridici e nelle cessioni di crediti: spunti interpretativi e riflessioni in RESPONSABILITÀ CIVILE E PREVIDENZA – n. 4 – 2015 pag. 1367 e segg. Il caso trattato è diverso perché riguardante i Confidi tuttavia esso contiene utili intuizioni che sembrano adattarsi anche alla nostra fattispecie. Rispetto ai Consorzi Fidi, nel nostro caso c’è una differenza essenziale dal momento che questi si occupano di operazioni creditizie di natura commerciale, nel senso che vengono garantite imprese che operano nel mercato e con criteri di mercato anche se hanno difficoltà ad ottenere credito. Nel nostro caso, invece, i soggetti garantiti sono, quasi totalmente, consumatori esclusi dal circuito creditizio e nei cui confronti le Fondazioni operano nell’ambito di una “mission” sociale.

[4] Il connotato della accessorietà vale anche per i privilegi che, però, non costituiscono garanzie del credito, ma cause di prelazione stabilite dalla legge in funzione della causa del credito. Pertanto esse non hanno lo scopo ti favorire la concessione del finanziamento ma quello di consentire al creditore di soddisfarsi a preferenza degli altri creditori. L’orientamento maggioritario della giurisprudenza e della dottrina non attribuisce, invece, il carattere della accessorietà – e dunque della automatica trasferibilità – al contratto autonomo di garanzia. Le caratteristiche della garanzia autonoma (clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni) sono state, da chi scrive, rintracciate anche nelle convenzioni esaminate. Da questa autonomia della garanzia deriva un ulteriore impedimento all’automatico trasferimento della garanzia ove manchi il consenso del garante.

[5] Qui di seguito il testo dell’art. 1263 c. 2 cod. civ.: Il cedente non può trasferire al cessionario senza il consenso del costituente il possesso della cosa ricevuta in pegno; in caso di dissenso il cedente rimane custode del pegno”.

[6] Una conferma indiretta di quanto sopra detto può essere rintracciata nell’art. 10 c. 1 lett. c) del DPR 315/1997 che prevede l’obbligo, per le fondazioni beneficiarie di contributi, di indicare, nella “Relazione sull’operatività”, “l’elenco delle garanzie escusse distinto per Banca con il relativo importo pagato”. Non sembra dubbio che dovrà essere la Banca convenzionata non il terzo cessionario (ammesso che sia una Banca) ad indicare soggetti e garanzie escusse.

[7] La Corte di Giustizia Europea, sez. I, 6 giugno 2019, n. 467 – causa c-58/18 ha sancito la conformità alla Direttiva 2008/48 di una normativa nazionale che disponga il divieto, a carico del finanziatore, di erogare credito al consumatore “immeritevole”. Questo il principio enunciato: “L’articolo 5, paragrafo 6, e l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale impone al creditore di astenersi dal concludere il contratto di credito qualora non possa ragionevolmente ritenere, al termine della verifica del merito creditizio del consumatore, che quest’ultimo sarà in grado di rispettare gli obblighi derivanti dal contratto di cui trattasi”.

[8] L’inadempimento agli obblighi previsti in relazione al finanziamento assistito da garanzia pubblica è idoneo a configurare un danno alla finanza pubblica. Al riguardo è stato ribadito l’inquadramento pubblicistico dei finanziamenti conseguiti attraverso il sistema creditizio assistiti dalla garanzia dello Stato, sottolineando il vincolo teleologico gravante sugli stessi, in quanto strumenti di realizzazione del programma statale di aiuto al sistema produttivo, con la conseguenza che la richiesta e l’ottenimento del finanziamento pubblico garantito dallo Stato creano un rapporto di servizio tra beneficiario e pubblica amministrazione, incardinando la giurisdizione della Corte dei conti (così il Quaderno n. 2 Le garanzie pubbliche 2025 della Corte dei Conti).

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