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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 17 ottobre 2025, n. 27766.

Massima redazionale

Occorre far riferimento alla disciplina dettata dall’art. 16bis, commi 4 e 7, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge n. 221/2012 (ora abrogato dall’art. 11, comma 1, D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ma applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, secondo la norma transitoria di cui all’art. 35, comma 1, D. lgs. cit.). Recita il comma 4, per quanto in questa sede interessa: «… il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici; il presidente del tribunale può autorizzare il deposito di cui al periodo precedente con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza …». Dispone, poi, il comma 7 (nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90): «il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia; il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile; quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia, il deposito degli atti o dei documenti può essere eseguito mediante gli invii di più messaggi di posta elettronica certificata; il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza».

Viene, poi, in rilievo, in forza del rinvio contenuto nel comma 4 dell’art. 16bis D.L. cit., il D.M. 21 febbraio 2011, n. 44 e, segnatamente, l’art. 13, commi 1, 2 e 3; anche questo articolo ha, di recente, subito delle modifiche apportate dal D.M. 29 dicembre 2023, n. 217, ma in questa sede si farà riferimento al testo precedente, ratione temporis applicabile. A mente di tale disposizione: «[1] I documenti informatici di cui agli articoli 11 e 12 sono trasmessi da parte dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati mediante l’indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici, all’indirizzo di posta Data pubblicazione 17/10/2025 elettronica certificata dell’ufficio destinatario, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34. [2] I documenti informatici di cui al comma 1 si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. [3] Nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l’avvenuto deposito dell’atto o del documento presso l’ufficio giudiziario competente; nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l’avvenuto deposito dell’atto o del documento presso l’ufficio giudiziario competente; quando la ricevuta è rilasciata dopo le ore 14 il deposito si considera effettuato il giorno feriale immediatamente successivo» [inciso quest’ultimo evidentemente superato dalla diversa previsione di rango primario inserita nel comma 7 dell’art. 16-bis d.l. n. 179 del 2012, sopra trascritto, dall’art. 51, comma 2, lett. a) e b), del d.l. n. 90 del 2014 (conv., con modif., in l. n. 114 del 2014) secondo cui, come visto, il deposito si considera tempestivo quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata (non entro le ore 14, ma) «entro la fine del giorno di scadenza».

L’art. 34 citato ─ al quale rimanda, come visto, il comma 1 dell’art. 13 quale fonte di riferimento per l’individuazione delle «specifiche tecniche» da osservare per la trasmissione dei documenti informatici ─ a sua volta altro non fa che rinviare ai provvedimenti della competente articolazione tecnica del Ministero (DGSIA); dispone infatti (nel testo applicabile ratione temporis): «Le specifiche tecniche sono stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, sentito DigitPA e, limitatamente ai profili inerenti alla protezione dei dati personali, sentito il Garante per la protezione dei dati personali».

Il quadro normativo di riferimento è, dunque, completato dalle norme tecniche stabilite dal Provvedimento del 16 aprile 2014 del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, come modificato dal Decreto 28 dicembre 2015; tale provvedimento è stato da ultimo sostituito da un decreto del 7 agosto 2024, con efficacia però a decorrere dal 30 settembre 2024, si farà dunque anche in tal caso riferimento al testo previgente. L’art. 14 di tale provvedimento dispone testualmente: «L’atto e gli allegati sono contenuti nella cosiddetta “busta telematica”, ossia un file in formato MIME che riporta tutti i dati necessari per l’elaborazione da parte del sistema ricevente (gestore dei servizi telematici); in particolare la busta contiene il file Atto.enc, ottenuto dalla cifratura del file Atto.msg, il quale contiene a sua volta:

─ IndiceBusta.xml: il DTD è riportato nell’Allegato 4. Tale file deve essere omesso qualora il suo contenuto sia presente nella sezione apposita del file DatiAtto.xml, come da XSD di cui al successivo punto b).

─ DatiAtto.xml: gli XSD sono riportati nell’Allegato 5. ─ : atto vero e proprio, in formato PDF, sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata secondo la struttura dell’articolo 12 comma 2.

─ AllegatoX.xxx: uno o più allegati nei formati di file di cui all’articolo 13, eventualmente sottoscritti con firma digitale o firma elettronica qualificata; il nome del file può essere scelto liberamente.

La cifratura di Atto.msg è eseguita con la chiave di sessione (ChiaveSessione) cifrata con il certificato del destinatario; IssuerDname è il Distinguished Name della CA che ha emesso il certificato dell’ufficio giudiziario o dell’UNEP destinatario, SerialNumber è il numero seriale del certificato dell’ufficio giudiziario o dell’UNEP destinatario; l’algoritmo utilizzato per l’operazione di cifratura simmetrica del file è il 3DES e le chiavi simmetriche di sessione sono cifrate utilizzando la chiave pubblica contenuta nel certificato del destinatario; le chiavi di cifratura degli uffici giudiziari sono disponibili nell’area pubblica del portale dei servizi telematici (il relativo percorso e nome file è indicato nel catalogo dei servizi telematici). La dimensione massima consentita per la busta telematica è pari a 30 Megabyte [le nuove specifiche tecniche in vigore dal 30 settembre 2024 hanno elevato il limite a 60 Mb; n.d.r.]. La busta telematica viene trasmessa all’ufficio giudiziario destinatario in allegato ad un messaggio di posta elettronica certificata che rispetta le specifiche su mittente, destinatario, oggetto, corpo e allegati come riportate nell’Allegato 6. Il gestore dei servizi telematici scarica il messaggio dal gestore della posta elettronica certificata del Ministero della giustizia ed effettua le verifiche formali sul messaggio; le eccezioni gestite sono le seguenti: ─ T001: l’indirizzo del mittente non è censito in ReGIndE; ─ T002: Il formato del messaggio non è aderente alle specifiche; ─ T003: la dimensione del messaggio eccede la dimensione massima consentita. Il gestore dei servizi telematici, nel caso in cui il mittente sia un avvocato, effettua l’operazione di certificazione, ossia recupera lo status del difensore da ReGIndE; nel caso in cui lo status non sia “attivo”, viene segnalato alla cancelleria. Il gestore dei servizi telematici effettua i controlli automatici (formali) sulla busta telematica; le possibili anomalie all’esito dell’elaborazione della busta telematica sono codificate secondo le seguenti tipologie: WARN (WARNING): anomalia non bloccante; si tratta in sostanza di segnalazioni, tipicamente di carattere giuridico (ad esempio manca la procura alle liti allegata all’atto introduttivo); ERROR: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell’ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l’accettazione o rifiutando il deposito (esempio: certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell’atto); FATAL: eccezione non gestita o non gestibile (esempio: impossibile decifrare la busta depositata o elementi della busta mancanti ma fondamentali per l’elaborazione). La codifica puntuale degli errori indicati al comma precedente è pubblicata e aggiornata nell’area pubblica del portale dei servizi telematici. All’esito dei controlli di cui ai commi precedenti, il gestore dei servizi telematici invia al depositante un messaggio di posta elettronica certificata riportante eventuali eccezioni riscontrate. Il gestore dei servizi telematici, all’esito dell’intervento dell’ufficio, invia al depositante un messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione operato dalla cancelleria o dalla segreteria dell’ufficio giudiziario destinatario».

Ebbene, si ricava da un primo approccio a tale complesso quadro di riferimento che il deposito telematico di un atto del processo si articola in quattro fasi, coincidenti con il rilascio di altrettanti messaggi p.e.c. da parte del sistema informatico, ovverosia:

1) la «ricevuta di accettazione deposito», ossia la ricevuta di presa in carico del messaggio da parte del gestore p.e.c. del mittente; attraverso questa ricevuta (c.d. RAC o RdA) il sistema attesta che l’atto è stato inviato dalla postazione di lavoro (PDL) ed è stato accettato dal sistema per essere inoltrato all’ufficio giudiziario destinatario;

2) la «ricevuta di avvenuta consegna» (RdAC), con la quale il gestore p.e.c. del Ministero della Giustizia, destinatario del messaggio, attesta che lo stesso è stato ricevuto nella sua casella (c.d. “seconda pec”);

3) la p.e.c. avente ad oggetto l’«esito controlli automatici deposito», inviata dal gestore dei servizi telematici del Ministero della Giustizia contenente l’esito dei controlli che il sistema effettua automaticamente sulla busta telematica (c.d. “terza pec”), il quale potrebbe contenere la segnalazione di c.d. anomalie bloccanti alcune delle quali tali da non consentire al procedimento di proseguire oltre senza l’intervento del cancelliere o, in ipotesi estrema, anche senza possibilità di intervento dello stesso;

4) infine, il quarto messaggio p.e.c. (cd. “quarta p.e.c.”) che si vede recapitare il depositante e che attesta l’esito del controllo manuale del cancelliere, ovvero l’accettazione, o meno, del deposito da parte della cancelleria; in caso di accettazione e in seguito alla lavorazione da parte della cancelleria, l’atto ed i suoi eventuali allegati sono infine ― e solo allora ― visibili all’interno del fascicolo telematico.

Secondo esegesi consolidata nella giurisprudenza di legittimità, dal combinato disposto delle menzionate norme (in cui quella regolamentare integra il contenuto precettivo della disposizione di rango primario ed a loro volta le norme tecniche integrano il contenuto della norma regolamentare) si ricava la regola per cui la tempestività del deposito va verificata con riferimento al momento in cui viene generata, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) e, cioè, la cosiddetta «seconda p.e.c.», la quale attesta l’ingresso della comunicazione nella sfera di conoscibilità del «sistema giustizia»[1].

È stato, tuttavia, costantemente anche rimarcato che, se il deposito si considera perfezionato al momento del rilascio della RdAC, tale effetto rimane «anticipato e provvisorio rispetto all’ultima p.e.c.» e, cioè subordinato «al buon fine dell’intero procedimento di deposito, che è quindi fattispecie a formazione progressiva», sicché esclusivamente con l’accettazione del cancelliere (la quarta p.e.c.), «e solo a seguito di essa, si consolida l’effetto provvisorio anticipato di cui alla seconda PEC e, inoltre, il file viene caricato sul fascicolo telematico, divenendo così visibile alle controparti»[2].

Se ne è tratta la conseguenza che, «in caso di esito negativo del procedimento di deposito dell’atto (e cioè quando non risulti che il deposito abbia superato i controlli automatici e i controlli manuali) e, dunque, di rifiuto (corretto o meno che sia) dell’atto da parte della cancelleria, la parte deve procedere alla sua rinnovazione, previa rimessione in termini a norma dell’art. 153, secondo comma, c.p.c., ove possa ritenersi che questi siano decorsi incolpevolmente a causa dell’affidamento riposto nell’esito positivo del deposito (v. in tal senso Cass. n. 17404 del 2020), a meno che la stessa parte abbia provveduto senza indugio ad un ulteriore deposito con esito positivo, rendendo così superflua la pronuncia sull’istanza di rimessione in termini da parte del giudice».

Nella specie, emerge dalla documentazione allegata alla istanza di rimessione in termini, specificamente richiamata in ricorso e prodotta in atti, sia la tempestività della c.d. seconda p.e.c., sia la veridicità della scansione temporale dei successivi eventi. Può, dunque, ritenersi dimostrato che il rifiuto del primo deposito sia stato determinato dall’esito negativo dei cc.dd. controlli automatici, che rappresentano il terzo momento della fattispecie a formazione progressiva e, in particolare, dalla emersa esistenza di un errore fatale codificato dal sistema ministeriale con il codice “-1”. Ciò posto, una prima questione che pone la fattispecie concreta all’esame del Collegio è se, a fronte di un esito dei controlli automatici che segnala l’esistenza di un errore bloccante, e segnatamene di un «errore fatale», perché il depositante possa essere rimesso in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c. o, in alternativa, utilmente provvedere ad un successivo pronto nuovo invio, sia o meno necessario che egli alleghi e dimostri anche l’origine di tale errore e la sua non imputabilità a negligenza del mittente/depositante. È quanto sostengono i controricorrenti che, rispettivamente, obiettano che i ricorrenti non hanno dimostrato quanto da essi dedotto circa la natura dell’errore «fatale» e la sua imputabilità ad un malfunzionamento del gestore dei servizi telematici in uso al Ministero.

Una tale tesi non può però essere avallata. Emerge dalle norme sopra illustrate che detti controlli automatici: a) hanno ad oggetto la busta telematica ─ per la cui preparazione occorre utilizzare un software specifico per il PCT (come Consolle Avvocato o SLpct) ─ e non il suo contenuto sostanziale (riguardano l’indirizzo del mittente, il formato del messaggio, la completezza del suo contenuto e le sue dimensioni); b) il controllo automatico obbedisce a criteri meramente tecnici (può anche accadere che i sistemi non riescano ad aprire il messaggio contenuto nella busta per un problema nella crittografia dello stesso o per momentanei malfunzionamenti del sistema); c) sono condotti automaticamente dal sistema informatico di cui si avvale il gestore dei servizi telematici; d) mentre le anomalie warn ed error consentono, comunque, ai cancellieri di forzare il sistema e di accettare l’atto, quella fatal è, invece, insuperabile e non consente al cancelliere alcuna operazione; e) la segnalazione di «errore fatale», in genere, e in particolare quella codificata come «codice esito: -1» non fornisce all’utente alcuna indicazione utile per la sua soluzione: il sintagma «errore fatale» è, infatti, espressione generica e omnicomprensiva che di per sé non evoca necessariamente un errore del depositante, ma esprime soltanto l’impossibilità del sistema di caricare l’atto nel fascicolo telematico.

Discende da ciò che, ove il rifiuto del deposito dipenda dall’esito negativo dei controlli automatici per «errore fatale», senza ulteriori specificazioni o con indicazioni mute e generiche quale quella di «codice esito: -1», non vi è spazio per una indagine ulteriore circa l’imputabilità dell’errore bloccante a fatto del depositante. Non può, dunque, ritenersi giustificata l’idea, sottesa alle repliche dei controricorrenti, che a fronte di una tale emergenza sorga l’obbligo per il depositante di dimostrare, per ottenere di essere rimesso in termini, anche la natura od origine di tale errore e la non imputabilità dello stesso a sua negligenza. L’«errore fatale» è, in tal caso, già di per sé causa non imputabile dell’esito negativo del controllo automatico.

I rimedi riservati alla parte in simili casi, e dunque gli oneri su di essa gravanti, sono (solo) due e alternativi l’uno all’altro:

1) la formulazione dell’istanza di rimessione in termini;

2) la ripresa spontanea del procedimento di deposito telematico dell’atto mediante un nuovo invio.

Nella specie, è documentalmente dimostrato, come detto, che gli appellanti adottarono tempestivamente il secondo, provvedendo ad un nuovo invio, questa volta accettato dal sistema, in data 16 giugno 2017, appena quattro giorni dopo la comunicazione dell’errore «codice esito: -1». Ne discende che il deposito dell’appello avrebbe dovuto ritenersi tempestivo mentre, posto che al nuovo invio la parte aveva prontamente provveduto, con successo, nessun rilievo poteva attribuirsi alla mancata presentazione di tempestiva istanza di rimessione in termini, resa non necessaria proprio dal già avvenuto secondo invio, nel descritto contesto da considerare alla stregua di legittima ed efficace continuazione della precedente attività.

 

 

 

 

 

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[1] Cfr., ex aliis, Cass. Civ., Sez. Un., 21.07.2022, n. 22834; Cass., 11.05.2021, n. 12422; Cass., 12.07.2021, n. 19796; Cass., 15.09.2020, n. 19163; Cass. n. 17328/2019; Cass., 01.03.2018, n. 4787; Cass., 19.01.2018, n. 1366.

[2] V. Cass., 08.11.2019, n. 28982; Cass., 20.08.2020, n. 17404; Cass., 21.09.2022, n. 27654; Cass. 10.10.2022, n. 29357; Cass. Civ., Sez. Un., n. 28403/2023; Cass., 03.01.2025, n. 69; Cass., 13.06.2025, n. 15801.

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