Nota a Trib. Roma, Sez. XVII, 4 luglio 2023, n. 14977.
Il Collegio del Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia d’Impresa, con la recente pronuncia n. 14977 del 4 luglio 2023, in accoglimento del reclamo proposto dalla società Resistente avverso l’ordinanza cautelare emessa dallo stesso Tribunale, che aveva accolto parzialmente le domande proposte dalla società ricorrente per storno illecito di dipendenti, statuiva che non ricorrono «elementi per ritenere che l’assunzione da parte della X…… dei lavoratori in rapporto di subordinazione o collaborazione con la Y… abbia integrato gli estremi della condotta illecita sanzionata dal disposto dell’art. 2598 n. 3 c.c., in difetto di riscontro alcuno della circostanza che l’acquisizione da parte dell’odierna reclamante della collaborazione delle persone già alle dipendenze della concorrente fosse stato compiuto con modalità oggettivamente scorrette, di per sé idonee a far presumere la ricorrenza dell’elemento soggettivo dell’“animus nocendi”».
Peraltro, il collegio ha chiarito anche un importante principio in materia procedurale.
Invero, la società reclamata, nel tentativo di conseguire il rigetto del reclamo, aveva eccepito preliminarmente l’eccezione di tardività allorché l’impugnazione era stata proposta ex art. 669-terdecies c.p.c., nel termine perentorio di quindici giorni decorrenti dalla comunicazione della suddetta ordinanza, non notificata, ma che risultava essere stata effettuata dalla cancelleria ben due mesi dopo la data di pubblicazione del provvedimento sul PCT.
Il collegio, pertanto, ha statuito che decorrendo tale termine, per espressa previsione normativa, dalla data della pronuncia in udienza, ovvero della comunicazione o notificazione del provvedimento, lo stesso non poteva essere anteposto a tali incombenze di cancelleria soltanto in virtù della mera acquisizione del provvedimento al fascicolo telematico, ancorché la stessa fosse antecedente alla sua comunicazione.
Nel merito, invece, il Collegio riteneva non condivisibile la motivazione del provvedimento impugnato proprio nella parte in cui presupponeva che la condotta della reclamante, «consistita nell’assunzione di una parte del personale dell’impresa concorrente, non potesse giustificarsi in rapporto ai principi di correttezza professionale “se non supponendo nella medesima società l’intento, anche solo colpevole, di recare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva”»
della reclamata. La mera constatazione del fatto che il transito dei dipendenti e dei collaboratori da una società all’altra potesse aver arrecato un pregiudizio per l’organizzazione dell’attività imprenditoriale della concorrente, infatti, non è stata ritenuta prova sufficiente a dimostrare che il transito dei lavoratori fosse avvenuto in conseguenza di “una condotta connotata da modalità contrarie ai principi di correttezza professionale tale da far presumere la sussistenza in capo alla stessa dell’animus nocendi richiesto in tema di concorrenza sleale per storno di dipendenti”.
Il Giudice di prime cure nell’ordinanza reclamata, invero, pur facendo riferimento all’orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità in materia, ne aveva proposto una lettura da ritenersi, ad avviso dello stesso Collegio, non condivisibile.
Il Giudice di prime cure, infatti, aveva riconosciuto che i lavoratori (anch’essi citati nel giudizio cautelare per il compimento di atti di concorrenza sleale, essendosi dimessi in blocco in un breve lasso di tempo per transitare tutti alle dipendenze della società reclamante) fossero stati mossi alle dimissioni «da motivazioni personali di carattere professionale e/o economico, nella prospettiva di un miglioramento delle proprie condizioni lavorative offerte dalla società resistente» e, conseguentemente, aveva ritenuto legittima la condotta di tali lavoratori, «in quanto espressione del diritto di ciascuno di scegliere di cambiare il proprio datore di lavoro, senza che il bagaglio di conoscenze e di esperienze maturato precedentemente potesse costituire un vincolo preclusivo di migliori opportunità professionali».
Per contro, lo stesso Giudice, aveva proposto un’interpretazione discordante della nota pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. 1°, n. 3865 del 17/02/2020, riconoscendo una responsabilità dell’impresa concorrente (che aveva assunto i lavoratori dimissionari) basata su elementi presuntivi in capo alla società reclamante.
Tale giurisprudenza di legittimità, invero, statuisce che «per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrete con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito» (Cfr. Cass. n. 3865/2020 cit.).
Infatti, affinché si possa ritenere responsabile un imprenditore per storno illecito di dipendenti, è necessario che sussista in capo allo stesso il requisito dell’animus nocendi, ovvero della volontà di ledere l’altro imprenditore. In particolare, secondo la citata giurisprudenza di legittimità «la concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa a un’altra concorrente, né dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente (attività in quanto tali legittime); è necessario invece che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso l’acquisizione di risorse del competitore, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando effetti distorsivi nel mercato, in siffatta prospettiva, assumono rilievo: 1) la quantità e la qualità del personale stornato, 2) la sua posizione all’interno dell’impresa concorrente, 3) la difficoltà ricollegabile alla sua sostituzione e 4) i metodi eventualmente adottati per convincere i dipendenti a passare a un’imprese concorrente”, ovvero metodi di coartazione “scorretti”, senz’altro non ravvisabili nel caso di specie!!
Oltre a suesposti indicatori adottati dalla giurisprudenza al fine di oggettivizzare il requisito soggettivo dell’animus nocendi, la citata pronuncia della Corte di Cassazione, nel delineare i principi in base ai quali debba essere compiuta la valutazione circa la liceità della condotta dell’impresa che assume i dipendenti di una concorrente, stabilisce altresì che “E’ ben nota la particolare delicatezza del tema della concorrenza sleale per storno di dipendenti perché in questo caso i profili della correttezza del rapporto di concorrenza commerciale tra imprenditori vengono a interferire pesantemente con diritti costituzionalmente tutelati, e non solo con il diritto alla libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 della Costituzione) ma anche e soprattutto con il diritto al lavoro e alla sua adeguata remunerazione in capo ai collaboratori dell’imprenditore (art. 4 e 36 Cost.). La mera assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente non può infatti essere considerata di per sé illecita, essendo espressione del principio di libera circolazione del lavoro e della libertà d’iniziativa economica”.
È proprio sulla base di tale assunto che il Collegio del Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in materia d’Impresa ha riformato integralmente l’Ordinanza cautelare impugnata, statuendo – appunto – che «Per la configurazione della fattispecie residuale di illecito per “violazione del criterio della correttezza professionale” (ex. Art. 2598, n. 3, c.c.), non è sufficiente, quanto all’elemento soggettivo, la mera consapevolezza in capo all’impresa concorrente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altra impresa, ma è necessaria l’intenzione di conseguire tale risultato (animus nocendi)», escludendo in tal modo ogni dubbio riguardo la possibilità che l’animus nocendi possa essere ravvisato sotto forma di intento “colpevole”!
Stanti i diritti costituzionalmente tutelati che vengono messi in gioco ogni qualvolta si ipotizzi la sussistenza dello storno di dipendenti, quale illecito anticoncorrenziale, il Collegio del Tribunale di Roma ha stabilito limiti ben precisi alla configurabilità della fattispecie in questione, proprio in ossequio ai principi costituzionali della libertà di iniziativa imprenditoriale, del diritto al lavoro e del diritto del lavoratore di ambire a migliorare le proprie condizioni lavorative ed economiche, nonché a tutela della stessa libera concorrenza sul mercato, asserendo in maniera inequivocabile il principio secondo cui «non può essere negato il diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purché ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo migliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente».
In altre parole, non si può considerare integrato l’illecito anticoncorrenziale in re ipsa, allorché un’impresa si limiti ad assumere dipendenti provenienti da un’altra impresa, senza alcun tipo di “pressione” o di “attività di proselitismo o di convincimento” scorrette, atteso che l’illecito anticoncorrenziale in questione è volto a tutelare la libertà d’iniziativa economica, non ad ostacolarla.
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