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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 25 luglio 2023, n. 22375.

di Alessio Buontempo

Praticante Avvocato

La Suprema Corte è stata adita a seguito di ricorso presentato avverso sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva confermato la sentenza di prima cure dichiarante la validità delle clausole antistallo contenute in un patto parasociale stipulato tra due società, respingendo la connessa domanda di risarcimento del danno per la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esercizio delle prerogative da tali clausole derivanti o per l’abusiva attività di direzione e coordinamento.

In estrema sintesi la Corte territoriale ha ritenuto: a) che le clausole antistallo contenute nel patto parasociale non erano affatto unilaterali, in quanto facoltizzavano entrambe le parti a farne uso; b) che sfornita di alcuna verosimiglianza era la tesi secondo cui una delle due società sarebbe stata l’unica a poter far uso di dette clausole, quale socio “forte” che sin dall’inizio sapeva della condizione di debolezza dell’altra società; c) che la previsione oggetto delle clausole era valida, siccome puntualmente circostanziata rispetto a precise condizioni, sicché doveva ritenersi meritevole di tutela; d) che andava esclusa la nullità della clausola per vizio dell’oggetto, atteso che il prezzo di rivendita era identificato in base a condizioni oggettive e non già rimesso all’arbitrio di una delle parti; e) ha escluso che la clausola fosse nulla per assenza di un meccanismo di equa valorizzazione delle partecipazioni, perché la clausola antistallo non si presta a tale tipo di rischio, essendo espressione della libertà negoziale dei soci aderenti; f) ha escluso che la clausola in questione ricadesse nel divieto del patto leonino; g) ha escluso che la clausola integrasse la violazione dell’art. 2341-bis c.c.; h) ha escluso che la società convenuta, nell’azionare la clausola, avesse abusato del proprio diritto, circostanza valutata come non provata, dovendo ascriversi all’immobilismo della propria partecipata la ragione del mancato interesse della convenuta a permanere nella compagine sociale e non già al comportamento asseritamente scorretto di quest’ultima, nei vari aspetti puntualmente esaminati in fatto ed esclusi nella loro esistenza o rilevanza; i) ha dichiarato inammissibile per genericità il motivo di censura relativo all’attività di direzione e coordinamento svolta dalla società convenuta nella partecipata; l) ha dichiarato inammissibile la richiesta di c.t.u. formulata dalla società attrice.

La Corte di Cassazione preliminarmente all’esame nel merito del ricorso ha ritenuto necessario premettere considerazioni teoriche inerenti all’inquadramento delle clausole antistallo in generale e, in particolare, di quella del tipo russian roulette, contenuta nel patto parasociale oggetto della controversia. In primo luogo si evidenzia come la tematica relativa alla validità ed efficacia delle clausole volte a superare situazioni di stallo societario, che rischiano di compromettere l’impresa economica e determinare la liquidazione della società per impossibilità del raggiungimento del suo scopo, emerge, nell’esperienza nordamericana, da lì diffondendosi successivamente nei paesi di civil law, fino ad entrare nella prassi applicativa dell’ordinamento italiano. In tal senso, da un profilo più generale si ricorda come il tema non sia nuovo, ma anzi indagato dalla più autorevole dottrina, richiamando gli studi del Prof. Giorgio De Nova sul c.d. “Contratto alieno”, ovverosia quel contratto pensato e scritto sulla base di un modello diverso dal diritto italiano, derivante dalla common law anglosassone, contenente clausole redatte secondo le drafting techniques anglosassoni.

Nella descrizione della clausola di russian roulette la S.C. evidenzia come nella sua schematizzazione più semplice, detta clausola prevede che, al verificarsi di una situazione di deadlock[1] non altrimenti risolvibile, a uno o entrambi dei soci paciscenti è attribuita la facoltà di rivolgere all’altro socio un’offerta di acquisto della propria partecipazione, contenente il prezzo che si è disposti a pagare per l’acquisto della stessa. Il socio destinatario dell’offerta non è, tuttavia, in una posizione di mera soggezione di fronte a tale iniziativa, ma risulta titolare di un’alternativa che può liberamente percorrere: a) può, infatti, accettare l’offerta, e quindi vendere la propria partecipazione al prezzo indicato dalla controparte; b) può, invece, ribaltare completamente l’iniziativa e farsi acquirente della partecipazione del socio offerente, per il prezzo che quest’ultimo aveva indicato.

La Corte ricorda, inoltre, che l’ordinamento italiano ha prestato un crescente interesse alle clausole volte a superare situazioni di contrasto insanabile o paralisi gestoria nelle joint venture paritarie o nelle società chiuse con due soci titolari di partecipazioni paritarie, richiamando, inter alia, la massima n. 181 del 9 luglio 2019, adottata dal Consiglio Notarile di Milano secondo la quale la legittimità della clausola della roulette russa non pone di per sé particolari dubbi, collocandosi nel novero, ormai comunemente ritenuto ammissibile, di clausole statutarie che impongono ai soci, al verificarsi di determinate circostanze, diritti e obblighi di trasferire le proprie partecipazioni sociali ad altri soci, alla società stessa o addirittura a terzi. Né è a dirsi che essa possa ragionevolmente porsi in violazione del divieto del patto leonino ai sensi dell’art. 2265 c.c., in quanto la sua concreta modalità di funzionamento non pare atta, in alcun modo, a realizzare il risultato che tale norma intende impedire. Si sottolinea, in particolare, la distinzione operata dalla massima in oggetto, ovvero da un parte le clausole di contenuto parasociale, dove in linea di principio, non si debbono porre dubbi neppure in ordine al meccanismo di individuazione del prezzo di vendita o acquisto della partecipazione dell’altro, in caso di stallo, in quanto “non sussistono limiti normativi espressi alla libertà negoziale delle parti di programmare le condizioni economiche di un contratto di scambio che vincola solo le parti stesse”. Dall’altro, invece, occorre considerare le clausole statutarie che sono in grado di vincolare tutti i soci, indipendentemente da un loro assenso iniziale, le quali devono trovare come limite quello dell’equa valorizzazione della partecipazione. In particolare, secondo la massima milanese, “il principio di equa valorizzazione delle azioni o quote in caso di exit forzato”, rinvenibile sia nelle norme in tema di recesso legale (artt. 2437-ter e 2473 c.c.) sia in quelle di riscatto convenzionale (art. 2437-sexies c.c.) e di esclusione (art. 2473-bis c.c.)” dovrebbe trovare applicazione anche alle clausole statutarie che, come la russian roulette, configurano un exit forzato del socio, intravedendosi una analogia strutturale con le clausole di drag along e tag along, già oggetto di altra massima in tal senso, la n. 88.

La S.C. avviandosi a concludere la disamina dei vari aspetti concernenti le clausole oggetto, passa in rassegna ancora alcuni temi, ossia i profili civilistici di validità della clausola antistallo, il divieto di patto leonino, il valore congruo della partecipazione e il rapporto della clausola con la buona fede e l’abuso del diritto.

Dal punto di vista civilistico la Corte ha vagliato se la pattuizione di roulette clause possa porsi in contrasto con le disposizioni dell’art. 1355 c.c. (in tema di condizione meramente potestativa) e dell’art. 1349 c.c. (sulla determinazione/determinabilità dell’oggetto contrattuale). In merito alla prima disposizione, ricorda che la posizione della giurisprudenza della stessa Corte sia improntata ad una interpretazione assai restrittiva del concetto di clausola meramente potestativa, e quindi invalida, rispetto a quella semplicemente “potestativa”, sul punto richiamando un recente pronuncia della S.C.[2][i] e, in secondo luogo, ricordando che nel caso della russian roulette clause la dottrina appare rivolta a ritenere che non operi alcuna condizione meramente potestativa, ciò in quanto, sarebbe proprio la struttura con cui la clausola opera a rappresentare una barriera intrinseca al dispiegarsi del mero arbitrio della parte. Il soggetto che, infatti, dichiara di far ricorso al patto antistallo, indicando il prezzo cui è disposto ad acquistare le partecipazioni dell’altro socio, non sa, a ben vedere, se all’esito di tale “prima mossa” risulterà acquirente o venditore delle partecipazioni sociali. Essendo, piuttosto, la parte oblata ad avere il diritto di scegliere se vendere la propria partecipazione al prezzo dichiarato dall’altro partner oppure se, per il medesimo prezzo, acquistare la partecipazione dell’altro.

In merito all’art. 1349 c.c., e quindi in riferimento ai profili di determinazione o determinabilità dell’oggetto, si è invocato il fatto che la circostanza che l’oblato possa sia vendere la propria partecipazione che acquistare quella dell’altro allo stesso prezzo, impedisca ontologicamente che la parte per prima dichiarante possa operare una determinazione qualsiasi o addirittura assurda del prezzo. Anche se, in tal senso, vi è chi individua proprio nel testo dell’art. 1349 c.c. un ulteriore indice di validità di detta clausola, da intendersi quale meccanismo che lascia alla parte, ma non al suo mero arbitrio, la determinazione del valore di riserva al destinatario di tale dichiarazione se o come profittarne della stessa.

Proseguendo, nell’esame del possibile punto di frizione della clausola in discorso con il divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c., la Corte evidenza che la giurisprudenza della medesima Corte ritiene che non rientrino in tale divieto quelle clausole che stabiliscono una partecipazione agli utili o alle perdite non proporzionale al valore della propria quota. E a tal fine, la S.C. rende noto che diverso appare il profilo strutturale e funzionale della clausola di russian roulette rispetto alle clausole, anche parasociali, valutate come lesive dell’art. 2265 c.c., e ciò sia con riguardo al fatto che l’operatività della clausola non è immediata, ma rimessa alla circostanza che si verifichi uno stallo degli organi gestori o assembleari della società, predeterminato contrattualmente ma del tutto eventuale e, dall’altro, al meccanismo di funzionamento del procedimento di exit, che può “ritorcersi” nei confronti dello stesso soggetto che per primo abbia fatto ricorso alla clausola.

Sull’ulteriore tema del valore congruo della partecipazione e alla valutazione di meritevolezza della clausola in esame, è stata posta anche la necessità che la stessa individui o meno un floor minimo, inteso a garantire una congrua valorizzazione della partecipazione del socio uscente, individuando nelle disposizioni in tema di socio recedente o di riscatto forzoso i dati normativi paradigmatici da cui desumere l’esistenza del principio. La Corte fa presente che tale argomentazione appare pressoché respinta dalla dottrina maggioritaria.

Da ultimo si è proceduto con l’esame della ipotesi che anche la clausola di russian roulette possa dare luogo ad abusi e che pertanto il suo esercizio soggiaccia all’applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede. Così si ricorda come la dottrina e la giurisprudenza nordamericana evidenzino, da un lato, l’esigenza di discovery da parte del socio che fa ricorso alla clausola, in modo che chi riceve la notifica di deadlock e l’indicazione del prezzo offerto abbia gli elementi conoscitivi per poter decidere consapevolmente se vendere od acquistare la partecipazione e, come, allo stesso tempo, una particolare attenzione debba essere riservata ai casi in cui vi sia una forte divergenza economico-finanziaria fra le parti, a evitare che un soggetto possa abusare della clausola per espellere l’altro partner anche di fronte a una situazione di stallo non effettiva o unilateralmente imposta, dando luogo a quella che è chiamata lack of choice; così, nelle ipotesi in cui tali condotte fossero in concreto ravvisabili, in dottrina si è ipotizzato, da un lato, che l’oblato possa fruire di una tutela risarcitoria per i danni che abbia subito dalla estromissione iniqua dalla società e che lo stesso possa anche impedire il meccanismo attivato dall’altro socio attraverso l’opposizione dell’exceptio doli generalis, con la quale paralizzare, anche in via cautelare, l’altrui attivazione della clausola di russian roulette, e dall’altro lato, che il rimedio potrebbe consistere anche nell’annullamento della delibera negativa oppure, nella stessa rideterminazione giudiziale dell’esito della votazione.

Alla luce di tali premesse di carattere teorico la Corte ha ritenuto il ricorso non meritevole di accoglimento. Si riportano, in particolare, alcuni tra i motivi di ricorso che ne hanno giustificato il mancato accoglimento: con il primo motivo di ricorso si lamentava la violazione rilevante ex art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 1346-1349 c.c., in relazione all’art. 1325, n. 3, e 1418, 2° co., c.c., nonché di principi consolidati della giurisprudenza della stessa Corte, per aver ritenuto il giudice d’appello che la determinazione dell’oggetto del contratto possa essere rimessa al mero arbitrio di una delle due parti, assumendo l’esistenza di un meccanismo interno della clausola (incentrato sulla facoltà della parte oblata di scegliere se vendere o comprare), tale da escludere – la determinazione di un prezzo arbitrario. La Corte ha considerato tale primo motivo infondato, in quanto la Corte d’Appello non ha affatto trascurato il profilo dedotto dalle ricorrenti, ne ha piuttosto escluso la sussistenza in fatto, nonché la rilevanza in diritto, quale ragione di nullità del patto, se riferito alle difficoltà della ricorrente insorte negli anni successivi alla stipula dell’accordo. Queste ultime infatti – ha osservato la sentenza impugnata – giammai avrebbero potuto rilevare sul piano genetico, ma semmai su quello funzionale, dell’esecuzione dell’accordo stesso giustificando, eventualmente, solo una pretesa risarcitoria. Con secondo motivo si lamentava la violazione rilevante ex art. 360, n. 3, c.p.c., di consolidati principi della giurisprudenza della Corte in tema di disciplina applicabile ai contratti atipici e, segnatamente, del principio di equa valorizzazione della partecipazione sociale, dettato in tema di società per azioni dagli artt. 2437 ter c.c. e 2437 sexies c.c., da estendere necessariamente al caso della russian roulette clause a prescindere dal fatto che quest’ultima sia contenuta nello Statuto ovvero in un separato Patto Parasociale, in specie quando si tratti di una società tra due soci e di un patto parasociale tra quei due stessi soci. Il motivo viene considerato infondato in quanto, il principio di equa valorizzazione, non può trovare applicazione in presenza di una previsione di patto parasociale, e non di una clausola statutaria vincolante in quanto tale. Il terzo motivo di ricorso deduceva la violazione rilevante ex art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 1375 c.c. e 2 Cost., nonché di principi consolidati nella giurisprudenza in materia, per avere ritenuto che la contrarietà a buona fede e/o l’abuso del diritto, intesi anche in ragione del generale dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., presuppongono l’esistenza e la prova di un fine ultimo dell’azione fin dall’inizio dell’operare perseguito, nonché la prova di un danno, con il risultato ultimo di ritenere che, in difetto di tali prove e a prescindere dalla presenza di una situazione di dipendenza economica e di altri indici sintomatici di violazione della buona fede o di abuso, la fattispecie non possa dirsi configurata. Il motivo viene considerato inammissibile in quanto il giudice d’appello non ha considerato irrilevante, bensì radicalmente escluso in fatto la sussistenza di un abuso da parte della convenuta della propria posizione di creditrice.

 

 

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[1] Questa definita dalla stessa Corte di Cassazione come “quando la situazione di blocco è destinata a realizzarsi in relazione a una situazione di fatto, che può dipendere dalla stessa concentrazione paritaria delle partecipazioni in capo a due diversi enti societari”.

[2] Il riferimento è alla sent. n. 30143 del 2019,  che ha affermato che: “la condizione è “meramente potestativa”“quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica “potestativa” quando l’evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato“.

 

[i] Il riferimento è alla sent. n. 30143 del 2019,  che ha affermato che: “la condizione è “meramente potestativa””quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica “potestativa” quando l’evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato“.

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