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Intervento del Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’IVASS Salvatore Rossi al Real Estate Innovation Lab presso l’Università Bocconi – Milano, 29 gennaio 2019

 

 

Il mercato immobiliare e l’economia

 

Tantissime imprese si occupano di real estate: quelle che costruiscono immobili, ma anche quelle che li commercializzano, li gestiscono, intermediano fra mercato e risparmiatori. È una bella fetta dell’economia. Di questa può accelerare la crescita, ma la può anche frenare.

In Italia il valore complessivo degli investimenti in costruzioni e della spesa per affitti e servizi di intermediazione immobiliare rappresenta in un anno quasi un quinto del PIL. In attività immobiliari è investito il 60 per cento del patrimonio complessivo delle famiglie. I prestiti alle famiglie per mutui immobiliari e quelli alle imprese del settore sono circa un terzo degli impieghi bancari totali.

Basterebbero questi tre dati a testimoniare la rilevanza del mercato immobiliare in un’economia avanzata come quella italiana. Ma per convincersene conviene riflettere più a fondo sulla peculiarità concettuale degli immobili, che sono simultaneamente beni di consumo, in quanto fonte di servizi abitativi, e beni di investimento, ma sono anche la principale garanzia reale sui prestiti bancari, anche su quelli non volti a sostenere investimenti immobiliari, oltre che il più importante motivo per cui una famiglia s’indebita.

Tutto ciò influenza l’economia per varie vie. Se i prezzi degli immobili tendono, per esempio, a salire, allora il rendimento atteso del business delle costruzioni salirà anch’esso e accrescerà l’accumulazione di capitale nel settore. Ma tutta l’economia ne trarrà un beneficio immediato, intanto perché le costruzioni attivano molto indotto nazionale e amplificano pertanto gli stimoli ciclici, poi perché una famiglia proprietaria di casa, se percepisce l’aumento della sua ricchezza come permanente, sarà portata a consumare di più e, infine, perché aumenterà il valore delle garanzie a fronte di prestiti bancari, rendendo questi ultimi più abbondanti o meno cari. 

L’economia italiana è stata colpita gravemente dalla crisi finanziaria globale e poi da quella europea cosiddetta dei debiti sovrani, perdendo cumulativamente dieci punti di PIL in sei anni: di questi, due sono da attribuire alle costruzioni. Il flusso annuo di investimenti in costruzioni si era ridotto nel 2013 di oltre un terzo rispetto al 2007, soprattutto per l’inaridirsi degli investimenti pubblici, compressi dall’ansia di riequilibrare il bilancio dello Stato. Da allora il settore immobiliare si è ripreso nel nostro paese, più per manutenzioni straordinarie di immobili già costruiti che per nuove costruzioni, con il contributo di incentivi fiscali alle ristrutturazioni e per l’esigenza di migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni. 

Si consideri che il nostro stock residenziale risale per oltre metà a prima degli anni Settanta del secolo scorso, tra i più elevati indici di vecchiaia d’Europa. Gli investimenti pubblici sono rimasti al palo: l’anno scorso sono scesi al 2 per cento del PIL, uno dei livelli più bassi fra i paesi avanzati. 

 

Il mercato immobiliare e le politiche economiche


Gli investimenti pubblici furono protagonisti della stagione, ormai lontana, di ricostruzione e ampliamento del patrimonio abitativo italiano, non senza polemiche da parte di chi avrebbe voluto un approccio più di mercato. La trasformazione da economia agricola a industriale e le migrazioni interne sospinsero gli interventi.


Da allora gli investimenti pubblici in costruzioni si sono orientati alle infrastrutture e agli edifici a uso pubblico come scuole e ospedali, allineandosi alle prassi degli altri paesi avanzati. Oggi languono nonostante l’obsolescenza delle opere pubbliche esistenti e l’urgente esigenza di nuove opere. Una loro ripresa, purché consentita dalle ristrettezze del bilancio pubblico, oltre che aumentare il benessere collettivo contribuirebbe al rilancio dello sviluppo economico.

I legami fra mercato immobiliare e bilancio pubblico sono stretti anche per via dell’imposizione fiscale. La base imponibile offerta dagli immobili è ampia in tutti i paesi avanzati. In tutti si fa grande ricorso alle agevolazioni fiscali, ad esempio consentendo la deducibilità della spesa per interessi sui mutui ipotecari. In molti la quota di famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza è cresciuta negli anni; si è arrestata solo di recente, anche per l’invecchiamento demografico. 

Chi è proprietario della casa in cui abita tende a conservarla meglio e ad avere rapporti sociali più articolati nella comunità locale: già questo largamente giustifica il favor fiscale per la piccola proprietà immobiliare.
Il rovescio della medaglia è che incentivare l’acquisto della casa di abitazione può alla lunga ridurre la mobilità residenziale; nelle economie più dinamiche, come gli Stati Uniti, la mobilità può facilitare lo sviluppo. Il nesso inverso fra proprietà e mobilità è confermato dai dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), pur solo con semplici correlazioni. La mobilità può essere anche ostacolata da costi di transazione alti nella compravendita di case e da una regolazione molto stringente del mercato delle locazioni. 

L’Italia, insieme con Spagna e Portogallo, è tra i  paesi europei con la più bassa mobilità residenziale delle famiglie. Un’alta flessibilità di accesso ai servizi abitativi, nella forma della proprietà oppure in quella della locazione, è un segnale di efficienza del mercato immobiliare: da un lato contribuisce alla riallocazione territoriale dei lavoratori in funzione delle occasioni di impiego; dall’altra, asseconda il desiderio di autonomia dei più giovani, sia quando studiano, sia quando si formano la propria famiglia. Ne beneficiano il mercato del lavoro, il potenziale di crescita dell’economia, il benessere collettivo. Veniamo alle politiche monetarie e finanziarie. 

Gli investimenti in immobili sono largamente finanziati con debito e la leva è solitamente elevata. Gli investimenti sono tanto maggiori quanto più sono disponibili finanziamenti a condizioni favorevoli. Dal settore immobiliare dipende quindi, per converso, una parte rilevante del reddito delle banche, così come peraltro dei rischi. I rischi maggiori, perché più diffusi, sono le bolle nei prezzi, tipiche di attività a lunga scadenza e con mercati secondari ben sviluppati come gli immobili. 

Quando scoppiano, viene ridotta la capacità dei debitori di ripagare i prestiti, le garanzie si svalutano, i creditori subiscono perdite anche ingenti.

L’esperienza storica ci mostra che la stessa solidità degli intermediari finanziari può essere compromessa, come accadde nei paesi del Nord Europa nei primi anni Novanta, in quelli del Sud Est asiatico nel 1997 e in Giappone in varie fasi degli anni Novanta. Nel nuovo secolo, la comparsa sul mercato americano dei mutui subprime e di altri strumenti e intermediari innovativi ha fortemente accresciuto l’esposizione del sistema finanziario al ciclo immobiliare e ha portato poco più di dieci anni fa allo scoppio della crisi finanziaria globale.


Quella crisi ci ha ricordato che il mercato immobiliare può influenzare molto anche la trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Si tratta di un aspetto meno conosciuto e dibattuto di altri, ma contribuisce a spiegare l’interesse crescente che le banche centrali oggi nutrono per la materia. Fino a poco meno di venti anni fa il mercato immobiliare era quasi assente nei modelli macro-econometrici in uso nella maggioranza delle banche centrali.  

Da allora è stato approfondito analiticamente il modo in cui una variazione dei tassi di interesse può influenzare la dinamica dei corsi immobiliari e quindi la trasmissione dell’impulso monetario al complesso
dell’economia. Sono state messe in evidenza, oltre alle conseguenze dirette sul costo del credito, anche quelle indirette sulle aspettative circa l’andamento futuro delle quotazioni immobiliari e i riflessi che ne derivano sull’offerta e sulla domanda di nuovi immobili. 

Le misure non convenzionali di politica monetaria adottate negli ultimi anni dalle principali banche centrali del mondo hanno accentuato il flusso di studi sull’argomento. Ma la lezione principale della crisi è come fare a preservare la stabilità finanziaria delle nostre economie. Le politiche cosiddette macro-prudenziali sono balzate all’attenzione del mondo intero, pur solo fra addetti ai lavori e non nelle opinioni pubbliche. 

Sono politiche prudenziali, quindi si sostanziano in vincoli all’attività degli intermediari finanziari, ma a differenza di quelle micro-prudenziali si applicano a tutti gli intermediari di una certa categoria ne è al centro. Un rischio elevato il sistema lo corre – la crisi finanziaria globale ce lo ha insegnato – quando una politica monetaria espansiva fa crescere molto il credito al settore immobiliare e determina per questa via
una rivalutazione generale degli immobili eccessiva rispetto all’andamento del resto dell’economia. Una brusca correzione dei valori può precipitare tutta l’economia in recessione. Un’accorta politica macro-prudenziale può attenuare il rischio sistemico senza dover rinunciare all’accomodamento monetario. 

Naturalmente vagliando bene il trade-off fra i benefici della tutelata stabilità finanziaria e i costi di misure restrittive sul credito. Sono ragionamenti corretti e convincenti, ma per il momento difficili da mettere in pratica. Per di più la complementarità fra politiche monetarie e macro-prudenziali è concetto non ancora consolidato, forma ancora oggetto di discussioni nelle accademie e nei circoli istituzionali internazionali. Gli
esempi nel mondo di concreta e consapevole applicazione di misure macroprudenziali, pur in aumento, restano scarsi.

Gli strumenti di analisi


La capacità di analizzare e prevedere l’andamento del mercato immobiliare è cruciale, sia per chi fa politica economica sia, naturalmente, per gli stessi operatori del mercato. I modelli possono essere anche molto sofisticati, ma si nutrono di dati e se questi sono mancanti o di cattiva qualità qualunque modello fallisce. La questione dei dati può sembrare tecnica e arida, ma non se ne può prescindere e iniziative come il convegno di oggi aiutano ad affrontarla.


I dati di cui disponiamo sul mercato immobiliare hanno spesso ritardi di aggiornamento, una profondità storica corta e una comparabilità internazionale bassa. È un problema mondiale, non solo italiano.
Non che siano mancati progressi negli ultimi anni. Nei paesi europei sono stati prodotti indici dei prezzi delle case, dati sul volume delle transazioni e sul valore della ricchezza immobiliare. In campo finanziario abbiamo ora statistiche armonizzate sui mutui per l’acquisto di un’abitazione e sui relativi tassi di interesse. Dal 2017 è in vigore una raccomandazione del Consiglio Europeo per il Rischio Sistemico (European Systemic Risk Board, ESRB) che stabilisce precise priorità e scadenze nell’elaborazione di nuove statistiche armonizzate sui principali aspetti finanziari e reali del mercato immobiliare. 

L’iniziativa si aggiunge al progetto già avviato dalle banche centrali dell’area dell’euro di sviluppare un archivio di indicatori di prezzo degli immobili non residenziali, a cui la Banca d’Italia ha contribuito con un indicatore sperimentale basato sulle compravendite nel nostro paese. La Banca d’Italia dà parecchi contributi alle statistiche immobiliari: oltre all’indicatore dei prezzi delle compravendite di immobili residenziali, che fa da mezzo secolo, sonda le imprese di costruzione e le agenzie immobiliari per ricavarne indicazioni tempestive sulle principali tendenze in corso e sulle attese per quelle future.


Si avanza a passi lenti sul terreno della disponibilità di buoni dati.


Nel frattempo bisogna aguzzare l’ingegno e far tesoro delle informazioni disponibili, soprattutto nel comparto degli immobili non residenziali, su cui le statistiche sono più lacunose; anche per evitare che debolezze statistiche producano rinvii delle necessarie azioni politiche. 


Per statistici e policy makers consultare direttamente alcuni operatori di mercato è utile, purché le informazioni così acquisite siano sottoposte a un vaglio di trasparenza, di robustezza, di affidabilità. C’è un problema di rappresentatività dei dati, ma ce n’è anche uno di usabilità a fini di politiche economiche: se un soggetto pubblico si procaccia dati da un operatore di mercato sulla base di un contratto oneroso di fornitura esclusiva e vuole usare quei dati riservati, ad esempio, per politiche macro-prudenziali non può illustrare pubblicamente tutto il suo set informativo e ha pertanto difficoltà a raccogliere il consenso dell’opinione pubblica.


Oltre che buoni dati, sono necessari modelli correttamente specificati.  Se si sospetta che si stia formando una bolla immobiliare, l’unico modo di precedere empiricamente fondato è rilevare se le tendenze dei prezzi
effettivamente osservate siano per caso fuori linea rispetto a quelle stimabili nelle ipotesi di equilibrio.
Prendiamo il caso italiano. Tra il 1999 e il 2007 le quotazioni reali delle case, quelle misurate al netto dell’inflazione al consumo, aumentarono in media di quasi il 4 per cento all’anno. Sembrava proprio una bolla: infatti negli anni successivi le quotazioni si sgonfiarono, prima gradualmente, poi in misura via via più accentuata. Ma, a un’analisi attenta, una bolla non era.


L’accelerazione dei prezzi e del numero di compravendite in quegli anni si spiega perfettamente con il combinarsi di: aumento della popolazione, recupero del reddito disponibile delle famiglie, drastico calo dei tassi di  interesse sui mutui immobiliari in prossimità dell’avvio dell’euro (scesi al 5 per cento nel 1998, da circa il 13 solo tre anni prima). Il graduale esaurirsi dello stimolo di questi fattori già prima della crisi globale, più marcato negli anni successivi, ha determinato l’inversione di tendenza dei prezzi.


* * *


Concludo con uno speciale apprezzamento per l’iniziativa che si presenta oggi, frutto della collaborazione fra Assoimmobiliare e Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi. 

Ho accennato all’ampia articolazione di temi che i mercati immobiliari pongono, anche con riferimento all’andamento generale dell’economia e alle scelte di politica economica. Questo Laboratorio contribuirà tra l’altro a elaborare e validare nuove statistiche, anche sperimentali, che aiuteranno a ridurre le lacune informative che ancora pesano sul settore. Rafforzerà la capacità delle istituzioni di dialogare con l’intelligenza dei mercati. Anche così si rilancia quello sviluppo economico che ci auguriamo
per il nostro paese. Ma augurarselo non basta, occorre fare concretamente, e questo è un bell’esempio.

 

 

* Ringrazio i colleghi della Banca d’Italia e dell’IVASS, in particolare Francesco Zollino, per avermi
aiutato a preparare quest’intervento.

 

Fonte: www.ivass.it