Nota a Cass. Civ., Sez. I, 11 novembre 2025, n. 29790.
Con la recentissima ordinanza in oggetto, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto da una Società a responsabilità limitata e dalle ricorrenti contro la sentenza della Corte d’appello de L’Aquila, aderendo in modo lineare all’impostazione delle Sezioni Unite, che, con sentenza n. 5841 del 5.3.2025, hanno statuito che il mutuo “solutorio”, in cui le somme erogate vengono immediatamente usate per ripianare debiti pregressi, è un contratto valido e un titolo esecutivo a tutti gli effetti.
La controversia trae origine dall’opposizione all’esecuzione, poi respinta dal Tribunale di Pescara e dalla Corte d’Appello de L’Aquila, proposta dai mutuatari, i quali deducevano la nullità di due mutui fondiari stipulati per il ripianamento di pregresse esposizioni debitorie di una s.r.l., poi fallita. I ricorrenti sostenevano che l’operazione fosse congegnata dalla Banca al solo fine di soddisfare il proprio credito chirografario nei confronti della società in decozione, trasferendolo su soggetti solvibili e ottenendo una nuova garanzia reale; eccependo la mancanza o illiceità della causa, la violazione della par condicio creditorum, l’abuso della posizione contrattuale della Banca, la violazione della buona fede e l’elusione delle norme sulla revocatoria fallimentare.
Sul punto, invece, la Suprema Corte ritiene le statuizioni della Corte d’appello de l’Aquila conformi alla giurisprudenza di legittimità maggioritaria recepita da ultimo dalle Sezioni Unite, sentenza n.5841 del 5.3.2025 che, a proposito del mutuo c.d. solutorio, ha affermato il principio di diritto per cui: «Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale. Anche ove si verifichi tale destinazione, il contratto di mutuo (c.d. mutuo solutorio), in presenza dei requisiti previsti dall’art. 474 cod. proc. civ., costituisce valido titolo esecutivo».
La Corte, infatti, valorizza la nozione di “disponibilità giuridica della somma”, ritenendo perfezionato il mutuo solutorio con il semplice accredito sul conto del mutuatario, mentre la successiva utilizzazione delle somme integra un atto ulteriore, autonomo, benché ovviamente dipendente dal primo.
Pertanto, nel mutuo solutorio, l’utilizzo successivo della somma non attiene al momento genetico del contratto di mutuo e non ne caratterizza la causa, ma, quale elemento logicamente susseguente, si colloca interamente su di un piano ulteriore e distinto in senso logico e giuridico, dal momento che proprio la disponibilità giuridica delle poste attive sul conto corrente consente l’imputazione giuridica ed economica dei movimenti contabili successivi.
In più, non può configurarsi un’illiceità della causa in relazione alla presunta elusione della par condicio creditorum, poiché eventuali profili di pregiudizio per i creditori – anche in ipotesi di operazioni solutorie compiute in prossimità dell’insolvenza – rilevano semmai sul piano dell’inefficacia mediante gli strumenti della revocatoria, e non già su quello dell’invalidità negoziale, non verificandosi alcuna violazione di norme imperative (cfr. Cass. n. 5034 del 2022; n. 3024 del 2020; n. 4202 del 2018), fermo restando che a fronte di atti negoziali pregiudizievoli nei confronti dei terzi (per abusiva erogazione del credito o in frode ai creditori) non illeciti né nulli, è data tutela risarcitoria nei casi di colpevole concorso dell’ente mutuante nel dissesto del cliente finanziato (cfr. Cass. Sez. U. n. 33719 del 2022; Cass. n. 20576 del 2010; n. 23158 del 2014; n. 11695 del 2018; n. 18610 e n. 24725 del 2021; n. 15844 del 2022).
In ogni caso, la Corte esclude ogni lesione della par condicio creditorum, poiché i creditori della S.r.l. in liquidazione avevano, invece, beneficiato dei versamenti effettuati in favore di quest’ultima.
Non vi sono, inoltre, ragioni che possano giustificare una aprioristica stigmatizzazione dell’operazione in termini di nullità negoziale, poiché la destinazione, ancorché immediata, delle somme mutuate ad estinzione di esposizioni pregresse, non presenta di per sé carattere di intrinseca illegittimità ─ salvo l’accertamento di peculiari condotte delittuose ridondante, sul piano negoziale, in un vizio di nullità (cfr. Cass. n. 26248 del 2024; n. 4376 del 2024; n. 16706 del 2020) ─ essendo anzi essa stessa espressione di un principio di ordine pubblico e risultando peraltro tipizzata dal legislatore per alcune figure di finanziamento [art. 2 l. 8 agosto 1977 n. 546; art. 43 d.l. 18 novembre 1966 n. 976 (convertito dalla l. 23 dicembre 1966, n. 1142); art. 16 r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765].
La decisione, inoltre, esclude qualsiasi abuso della posizione contrattuale della Banca o coazione morale nei confronti dei mutuatari, confermando che la valutazione di meritevolezza degli interessi non può tradursi in un controllo sulla convenienza economica dell’operazione.
Orbene, l’ordinanza consolida, così, l’impostazione secondo cui il mutuo fondiario utilizzato a fini solutori rimane un contratto tipico, pienamente valido ed efficace, mentre l’eventuale uso distorto dell’istituto trova rimedi, non già attraverso una tutela «reale» che elimini dalla realtà giuridica, attraverso la sanzione della nullità, il contratto, ma attraverso ulteriori strumenti garantiti dall’ordinamento, quali la revocabilità del pagamento, ovvero l’inefficacia delle garanzie abusivamente concesse.
In particolare, la stipulazione di un contratto di mutuo con la contestuale concessione d’ipoteca sui beni del mutuatario, ove non risulti destinata a procurare a quest’ultimo un’effettiva disponibilità, essendo egli già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, è revocabile, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta, per un verso, ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione e, per altro verso, a costituire una garanzia per il debito preesistente, dovendosi ravvisare il vantaggio conseguito dalla Banca non già nella stipulazione del negozio in sé, ma nell’impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso (v. in questo senso, Cass. Sez. 1, ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570-01).
Alla luce delle summenzionate ragioni decisive della Corte, è necessario affermare che l’ordinanza si colloca in linea piena con l’indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite, rafforzando un’impostazione che privilegia la stabilità e la certezza delle operazioni di finanziamento, soprattutto quando presentano una funzione solutoria. La scelta della Corte di ricondurre ogni aspetto dell’operazione entro lo schema tipico del mutuo ordinario, valorizzando la mera disponibilità giuridica delle somme come elemento sufficiente a perfezionare il contratto, offre un quadro sistematico coerente e contribuisce a delimitare correttamente l’ambito della nullità negoziale.
Seguici sui social:
Info sull'autore
Nel 2021 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli "Federico II", discutendo una tesi in Logica ed Informatica Giuridica, titolata “Cyber-terrorismo e criminalità informatica ”. Ha svolto la pratica forense presso uno Studio specializzato in diritto bancario, sviluppando particolare attitudine per il diritto bancario e d’impresa, nello specifico la normativa del Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB) e tutela del consumatore (Dlgs n. 206/2005).