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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 27 ottobre 2025, n. 28520.

di Luca Cardi

Banca Popolare di Fondi - Servizi Legali

“L’univo vero giudice della verità è il tempo”

(Pindaro)

 

Ci è piaciuto porre in epigrafe a tale nota il verso del lirico greco. Troviamo, difatti, che esso evidenzi un’indubbia circostanza: il tempo è giudice (l’unico vero) della verità. E riteniamo che ben possa introdurre qualche considerazione a margine della sentenza n. 28520/2025 della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione da cui se, davvero, si volesse trarre una conclusione sintetica, essa sarebbe che il tempo (nel suo avere – rispetto alle vicende del diritto – una durata e un termine) si rivela giudice nel senso che definisce e risolve (e, nel caso di specie, forse più corretto sarebbe dire “scioglie”). Il concetto di “spatium deliberandi” enunciato dagli Ermellini è, per l’appunto, il termine assegnato per la definizione e risoluzione del pignoramento esattoriale ex art. 72-bis del D.P.R. 602/1973 inteso quale tempo “concesso al terzo per valutare la sua posizione ed effettuare il pagamento delle somme esigibili”.

La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso per cassazione proposto da una Banca contro il giudizio d’appello, che l’aveva vista soccombente, pronunciato nell’ambito di una controversia insorta tra l’istituto di credito e una società propria cliente. Nel caso si specie, la società aveva agito in giudizio, nei confronti della banca, “per ottenere l’accertamento della illegittimità della condotta di quest’ultima, consistita nel versamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, di alcuni importi (ulteriori) pervenuti sul conto corrente di cui l’attrice era titolare, oggetto di pignoramento ai sensi dell’art. 72 bis del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, dopo il pagamento già effettuato delle somme esistenti sul conto al momento della notificazione dell’atto di pignoramento, nonché per averla successivamente segnalata a sofferenza alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, per un’esposizione debitoria conseguente proprio al versamento all’Agenzia delle Entrate – Riscossione di quelle somme; ha chiesto, altresì, riconoscersi il suo diritto al risarcimento del conseguente danno”. La società aveva viste riconosciute le proprie ragioni sia da parte del Tribunale di Udine sia da parte della Corte di Appello di Trieste.

La questione posta all’attenzione del giudice di legittimità riguarda, quindi e al dunque, la durata del pignoramento esattoriale promosso contro il debitore esecutato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione. La banca era legittimata a riconoscere all’Amministrazione Tributaria l’ulteriore saldo attivo resosi disponibile sul rapporto di conto corrente entro i sessanta giorni dalla notifica del pignoramento ex art. 72-bis o avrebbe dovuto limitarsi a riconoscere al creditore procedente – nelle forme speciali del pignoramento medesimo – il solo saldo riscontrato sul rapporto di conto corrente all’atto della notifica?

Questione non peregrina e oggetto, anzi, di dibattito cui la Corte di Cassazione pare mettere un punto fermo con la propria pronuncia e tale diversità di interpretazione del dato normativo pare essere riconosciuto dalla medesima Corte nello statuire che “le spese dell’intero giudizio, di merito e di legittimità, possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo gravi ed eccezionali ragioni a tal fine, in considerazione dell’assoluta novità della questione trattata, quanto meno nei suoi esatti termini, nonché dell’incertezza interpretativa esistente in merito alla esatta individuazione dei limiti di efficacia del pignoramento speciale esattoriale di crediti”.

Ma analizziamo, innanzitutto, il dato normativo. L’art. 72-bis D.P.R. 602/1973 rubricato “Pignoramento di crediti verso terzi” recita: “1. Salvo che per i crediti pensionistici e fermo restando quanto previsto dall’articolo 545, commi quarto, quinto e sesto, del codice di procedura civile, e dall’articolo 72-ter del presente decreto l’atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione di cui all’articolo 543, secondo comma, numero 4, dello stesso codice di procedura civile, l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede: a) nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento, per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica; b) alle rispettive scadenze, per le restanti somme. 1-bis. L’atto di cui al comma 1 può essere redatto anche da dipendenti dell’agente della riscossione procedente non abilitati all’esercizio delle funzioni di ufficiale della riscossione e, in tal caso, reca l’indicazione a stampa dello stesso agente della riscossione e non è soggetto all’annotazione di cui all’articolo 44, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112. 2. Nel caso di inottemperanza all’ordine di pagamento, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 72, comma 2”. Il riferimento all’articolo 72 comma 2 introduce, anche con riguardo a siffatta tipologia di pignoramento (come già previsto per il pignoramento di fitti e pigioni), la previsione che “nel caso di inottemperanza all’ordine di pagamento si procede, previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile”.

“L’art. 72 bis d.P.R. n. 602 del 1973 […] ha esteso la procedura semplificata di pignoramento presso il terzo, già prevista dall’art. 72 dello stesso decreto presidenziale (nel suo testo originario) per i fitti e le pigioni, all’espropriazione di tutti i crediti di cui sia titolare il debitore, compresi quelli per stipendio e per altri emolumenti derivanti dal rapporto di lavoro (con esclusione dei soli crediti per pensioni e, comunque, nei limiti di pignorabilità previsti dai commi quarto, quinto e sesto dell’art. 545 c.p.c.). La medesima forma semplificata è applicabile anche alle ipotesi in cui l’espropriazione presso terzi debba svolgersi in relazione alle cose del debitore in possesso del terzo ai sensi del successivo art. 72 ter […]. In sostanza, alla stregua degli artt. 72, 72 bis e 72 ter d.P.R. 602 del 1973, la espropriazione presso terzi oggi può svolgersi in forma semplificata in relazione a tutti i crediti (eccezion fatta per le pensioni) nonché per le cose mobili in possesso del terzo. La speciale forma di pignoramento è regolata dall’art. 72 bis. A tenore del primo comma del citato art. 72 bis “… l’atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione di cui all’art. 543 c.p.c., comma 2, n. 4, l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede”. Tuttavia, il secondo comma della medesima disposizione, nel regolare l’ipotesi in cui la forma semplificata non possa essere portata a compimento, stabilisce che, in caso di inottemperanza all’ordine di pagamento entro le scadenze ivi indicate, si procederà “previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile”. Dalla predetta disposizione si ricava che il procedimento ha natura complessa poiché trae origine da un atto amministrativo recante un ordine di pagamento che ha la valenza di un pignoramento il cui compimento segna la pendenza di una espropriazione di natura mista. Poiché l’ordine di pagamento è preordinato all’esecuzione forzata ed ha la valenza di un pignoramento deve ritenersi che produca a carico del debitore gli effetti dell’ingiunzione, a carico del terzo pignorato gli obblighi che la legge impone al custode (relativamente alle somme da lui dovute “alle rispettive scadenze”, nei limiti di pignorabilità, e fino a concorrenza del credito per cui si procede nonché, in generale, gli effetti sostanziali – conservativi di cui agli artt. 2914 e 2917 c.c. Esso deve recare l’esatta individuazione della pretesa in virtù della quale si svolge la riscossione coattiva […]. L’atto in questione può essere sottoscritto da un dipendente dell’agente della riscossione procedente anche non abilitato all’esercizio delle funzioni di ufficiale della riscossione sicché, in tal caso, è sufficiente che rechi l’indicazione dello stesso agente per la riscossione. Esso deve, infine, essere notificato sia al terzo pignorato che al debitore. Il procedimento in questione è destinato a concludersi con la soddisfazione del credito azionato senza ulteriori formalità a condizione che il terzo pignorato effettui il pagamento. Tale pagamento realizza, invero, il compimento della esecuzione forzata attraverso una sequenza abbreviata caratterizzata, per un verso dalla eliminazione della fase preparatoria del processo (che si articola nella acquisizione della dichiarazione del terzo ovvero nell’accertamento del suo obbligo e nella celebrazione dell’udienza dinanzi al giudice) e, per altro verso dalla sovrapposizione tra la fase espropriativa e quella satisfattiva poiché produce effetti analoghi a quelli che scaturiscono dalla attuazione della ordinanza di assegnazione di cui all’art. 553 c.p.c.. Tale forma semplificata di pignoramento può, tuttavia, evolversi negativamente. Se il terzo pignorato non adempie per qualsivoglia ragione all’ordine di pagamento, il concessionario, oggi agente della riscossione, è costretto a ricorrere al pignoramento nella forma ordinaria dell’art. 543 c.p.c. ed il processo, in tale seconda ipotesi, è destinato a svolgersi secondo le norme del codice di procedura civile e, dunque, alla stregua di quanto illustrato dall’art. 72 d.P.R.[1].

Resta da affrontare la dibattuta questione, per l’innanzi accennata, della durata del pignoramento esattoriale. Il quesito è: il termine di sessanta giorni, indicato nella norma di cui all’art. 72-bis, va inteso esclusivamente quale data ultima entro la quale eseguire il pagamento del saldo disponibile individuato all’atto della notifica (con esclusione di qualsivoglia ulteriore disponibilità avesse, nel frattempo, a determinarsi in favore del debitore esecutato) o esso delimita lo spazio temporale entro il quale qualsivoglia saldo attivo (pur se determinatosi posteriormente alla data di notifica) debba essere comunque riconosciuto al creditore procedente.

Come già sottolineato, l’interpretazione della valenza da riconoscere a tale termine non è univoca. Sarebbe sufficiente, restando alla vicenda giudiziaria che qui ci occupa, citare il giudice di seconde cure (Corte di Appello di Trieste, Sentenza n. 556 del 14 dicembre 2023)[2] il quale, confermando la pronuncia di primo grado, ne condivide l’assunto che – in caso di pignoramento esattoriale –  il riconoscimento all’Agenzia delle Entrate-Riscossione dell’importo di un pagamento effettuato da un terzo debitore a favore dell’esecutato successivamente alla data di notificazione dell’atto di pignoramento è da ritenersi illegittimo se non deriva da crediti esigibili al momento della notifica.

Di contrario avviso (e stiamo qui non più discorrendo della presente vicenda giudiziaria, ma dell’interpretazione della portata della norma di cui all’art. 72-bis), è il Collegio di Napoli dell’Arbitro Bancario Finanziario il quale con propria Decisione n. 4139 del 1° luglio 2014 afferma che “l’art. 72-bis, comma 1 bis, del DPR 602/1973 nel riconoscere al concessionario non solo il diritto di bloccare le somme dovute dal terzo al proprio debitore ma anche di soddisfarsi su esse contempla, per vero, due distinte ipotesi: (i) la prima, disciplinata dalla lett. a), che ipotizza il caso che il pignoramento notificato al terzo si riferisca a crediti per cui il “diritto alla percezione è maturato anteriormente alla data della notifica”, nel qual caso si riconosce al concessionario procedente il diritto all’assegnazione immediata delle somme maturate a quella data; (ii) la seconda, disciplinata dalla lett. b), che ipotizza invece che oggetto del pignoramento siano crediti il cui titolo sia già venuto ad esistenza alla data del medesimo, ma la cui scadenza maturi successivamente, nel qual caso il concessionario ha pur sempre diritto all’assegnazione delle relative somme, ma appunto mano a mano che esse maturano. Ebbene, se si tiene conto di questa premessa, sembra al Collegio – specie se si muove dalla peculiare caratterizzazione del conto corrente bancario, e del fatto che l’ammontare del credito vantato dal cliente verso la banca in relazione al saldo, il cui titolo è appunto nel contratto, ha per definizione quale oggetto una somma variabile, dal momento che il saldo si modifica continuamente giorno per giorno in relazione alle somme che vengono progressivamente accreditate – che la lettura più corretta della disposizione, in relazione al pignoramento del saldo del conto, sia quella prospettata dall’intermediario: ossia quella che conduce a ritenere, una volta che il c.d. “atto di pignoramento amministrativo” sia stato notificato, che il vincolo non riguardi in realtà la concreta giacenza esistente al momento della notifica, bensì riguardi il credito avente ad oggetto appunto il saldo positivo del conto a misura che esso si venga anche progressivamente incrementando, e naturalmente con il limite della concorrenza del credito per cui l’Amministrazione procede esecutivamente in autotutela. Che questa sia la lettura più corretta sembra, d’altra parte, trovare conferma sulla base di un duplice ulteriore ordine di considerazioni. Da un lato, essa sembra trovare conforto nella specialità della misura disciplinata dall’art. 72-bis, e segnatamente dalla particolare ratio della previsione del potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria: e ciò nel senso che se l’obiettivo che il legislatore persegue è quello di accordare una strumento rafforzato per il recupero in considerazione, come detto, dell’interesse pubblico alla rapida soddisfazione della pretesa, risulta coerente che questo rafforzamento si esprima anche nell’attribuzione, nel caso di blocco del credito avente ad oggetto il saldo del conto corrente, nel vincolo non solo della giacenza esistente alla data della notifica, ma anche ad eventuali suoi successivi incrementi in forza di annotazioni effettuate successivamente. Ma la soluzione sembra trovare conforto anche nella considerazione che una simile estensione dell’efficacia del pignoramento non può ritenersi come eccessivamente penalizzante per il titolare del conto. E ciò per l’assorbente ragione che le movimentazioni in entrata dipendono pur sempre da ordini impartiti (o scelte comunque assunte) dal titolare del conto medesimo. Insomma, quel che si vuol dire è che una volta che con il pignoramento “amministrativo” sia stato notificato, il titolare del conto “bloccato” ben potrebbe decidere di non far più affluire, sul medesimo, somme destinate a incrementarne la giacenza; sicché se decide diversamente imputet sibi, appunto perché in questo modo è lo stesso titolare del conto che, nella sostanza volontariamente, sceglie di sottoporsi al vincolo derivante dal pignoramento del saldo”.

In questo contesto di confronto giurisprudenziale (e dottrinale) circa i corretti criteri ermeneutici da applicarsi nel caso di pignoramento esattoriale, si inserisce la pronuncia della Corte di Cassazione.

Gli Ermellini svolgono le proprie riflessioni traendo le mosse dall’ individuazione della natura processuale del pignoramento esattoriale, sottolineando come essa, nonostante la mancanza di un intervento necessario del giudice, è stata riconosciuta nella giurisprudenza di legittimità come un processo esecutivo di espropriazione di crediti verso terzi, “differenziandosi dalla procedura ordinaria essenzialmente per la possibilità del creditore di “ordinare” direttamente al terzo il pagamento delle somme pignorate; a tale procedura si applica, quindi (nei limiti della compatibilità), la disciplina ordinaria del processo esecutivo”. “In tema di procedura di riscossione coattiva a mezzo ruolo – prosegue la pronuncia richiamando precedenti della medesima Corte di Cassazione – l’ordine di pagamento diretto rivolto dall’agente della riscossione, ai sensi dell’art. 72 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, configura un pignoramento in forma speciale, che inizia con la notificazione dell’atto al debitore esecutato e al terzo pignorato – per l’effetto assoggettato agli obblighi del custode ex art. 546 c.p.c. – e si completa con il pagamento da parte di quest’ultimo; qualora l’ordine di pagamento abbia ad oggetto crediti dovuti in forza di un rapporto esistente ma non ancora esigibili, il pagamento ad opera del terzo delle somme già maturate alla data di notificazione dell’ordine tiene luogo dell’assegnazione del credito pignorato, anche con riguardo alle somme dovute dal terzo alle scadenze successive, permanendo la legittimazione dell’agente della riscossione alla percezione delle stesse fino a concorrenza del credito azionato, Nella peculiare disciplina prevista per il pignoramento speciale dei crediti nell’ambito dell’esecuzione a mezzo ruolo (cd. esecuzione esattoriale), dunque, di regola non vi è l’intervento del giudice e non è prevista né una espressa dichiarazione di quantità da parte del terzo pignorato, né l’emissione di un provvedimento di assegnazione delle somme pignorate, ma vi è un ordine dell’agente della riscossione, al terzo pignorato, di pagamento diretto, in proprio favore, di tali somme, secondo le seguenti modalità: a) il pagamento, da parte del terzo pignorato, delle somme esigibili dovute al debitore al momento della notificazione del pignoramento, deve avvenire entro il termine di sessanta giorni; b) il pagamento delle somme che divengono esigibili successivamente va, invece, eseguito alle rispettive scadenze”.

Il tenore letterale della norma è tale – a parere dei giudici di legittimità – da escludere che possa ipotizzarsi, da un lato, che il pignoramento esattoriale non attinga i crediti maturati successivamente alla notifica del pignoramento esattoriale medesimo, ma nel termine dei 60 giorni (palesemente indicati dalla disciplina normativa) né, d’altro canto, può assumersi (tesi qualificata analoga ma, a suo modo, più “estrema”) che il pignoramento “consumi” i suoi effetti all’esito del “primo pagamento” per i crediti già maturati all’atto della notifica stessa, escludendo così quelli successivamente venuti a maturazione entro il suddetto termine dei sessanta giorni, ma in seguito all’effettuazione del “primo pagamento”. “Una siffatta tesi – rileva la Corte di Cassazione – oltre ad essere, come già visto, manifestamente contraria alla lettera della legge – che impone al terzo il pagamento diretto al creditore anche dei crediti maturati successivamente al pignoramento, senza indicare precisi limiti in relazione a tale obbligo – porterebbe a conclusioni paradossali e del tutto inaccettabili, proprio con riguardo ai crediti derivanti da rapporti base già esistenti al momento del pignoramento, come per i crediti retributivi, per fitti o pigioni, ovvero anche, per quanto rileva nella presente fattispecie, per quelli derivanti da rapporto di conto corrente bancario. Ad esempio, proprio nel rapporto di conto corrente bancario, laddove al momento del pignoramento vi fosse solo un saldo di minima entità e la banca terza operasse il pagamento del dovuto dopo pochi giorni dal pignoramento (come avvenuto nella specie), resterebbe – secondo tale tesi – escluso dagli effetti del pignoramento l’eventuale ulteriore saldo attivo maturato successivamente, pur entro i sessanta giorni dal pignoramento, mentre, laddove il saldo fosse negativo al momento del pignoramento (ovvero anche se fosse attivo, ma la banca non procedesse con sollecitudine al pagamento, potendo contare sul termine di sessanta giorni all’uopo previsto dalla legge), il saldo attivo ulteriore sarebbe assoggettato agli effetti del pignoramento, senza però alcuna plausibile giustificazione del differente trattamento delle due identiche situazioni, che, infine, dipenderebbe da circostanze del tutto casuali. In realtà, per dare una soluzione appagante alla questione dei limiti, anche temporali, di efficacia degli effetti del pignoramento speciale esattoriale di crediti di cui agli artt. 72 e 72 bis del D.P.R. n. 602 del 1973, non può farsi riferimento né esclusivamente al momento del pignoramento (inteso quale notifica al terzo dell’ordine di pagamento: e, quindi, non si possono ritenere assoggettati ai relativi effetti i soli crediti esistenti in quel momento), né, sic et simpliciter, al momento del “primo pagamento” da parte del terzo (e, quindi, ritenere assoggettati ai relativi effetti i soli crediti maturati entro il momento di tale pagamento), ma occorre una analisi sistematica dell’istituto”.

Ma qual è, dunque, il criterio discretivo da utilizzarsi per la corretta determinazione della durata dell’efficacia di un pignoramento ex art. 72-bis? Si è già evidenziato come le argomentazioni del giudice di legittimità inizino con una riflessione sulla natura processuale di siffatto pignoramento che, nonostante la mancanza di un intervento necessario del giudice, è stata riconosciuta nella giurisprudenza di legittimità come un processo esecutivo di espropriazione di crediti verso terzi. L’ordine di pagare direttamente rivolto al terzo lo costituisce nella posizione di “debitor debitoris” (e lo fa soggiacere agli obblighi di cui all’art, 546 c.p.c.), e – senza l’intervento del giudice – si conclude con il pagamento effettuato dal terzo. Nel caso di specie, dunque, il terzo (che è quanto dire la banca) effettua il pagamento senza aver previamente reso la dichiarazione di consistenza del credito ex art. 547 c.p.c. (prevista, al contrario, nel pignoramento ordinario ex art. 543 c.p.c.). “Ciò nonostante, il riconoscimento da parte del terzo della propria qualità di debitor debitoris (sia nell’an che nel quantum) resta, naturalmente, un presupposto logico e giuridico ineliminabile della struttura del procedimento stesso, avendo questo la medesima natura di un ordinario procedimento di espropriazione di crediti, in cui la ricognizione della posizione di debitore del debitore, sulla base di spontanea dichiarazione da parte del terzo, ovvero, in mancanza, a seguito di accertamento in via giudiziaria, è strutturalmente e funzionalmente sempre necessaria. La peculiarità della fattispecie è, pertanto, che, in tal caso, la dichiarazione di quantità in senso positivo deve ritenersi implicita nello stesso fatto/atto del pagamento diretto delle somme dovute da parte del terzo e, pertanto, logicamente e giuridicamente, nonché temporalmente, tale dichiarazione di quantità finisce per coincidere con il pagamento stesso”. Per converso, “la dichiarazione di quantità in senso negativo, invece, è, in qualche modo, implicita nell’omesso pagamento da parte del terzo; più precisamente, essa è da ravvisare nella “inottemperanza” del terzo all’ordine di pagamento dell’agente della riscossione”.

Tanto premesso – argomenta la Suprema Corte – la ratio della disciplina dettata dagli artt. 72 e 72 bis del D.P.R. n. 602/1973 emerge con sufficiente chiarezza: il termine di sessanta giorni (ovvero di quindici giorni, per i crediti da fitti e pigioni) per il pagamento dei crediti già esigibili al momento del pignoramento è previsto per la necessità di concedere al terzo un adeguato margine temporale onde verificare la propria posizione e, cioè, valutare se egli è effettivamente debitore del debitore esecutato, nonché esattamente per quali somme e con quali scadenze: tale termine ha, cioè, una funzione che si potrebbe definire come di attribuzione di uno spatium deliberandi ai fini della dichiarazione di quantità, analogo a quello di cui dispone il terzo pignorato, nella procedura ordinaria, nel periodo che intercorre tra il pignoramento e la stessa dichiarazione di quantità, comunque essa sia resa. Per i crediti che maturano successivamente, questo spatium deliberandi non è più previsto: le relative somme vanno pagate immediatamente, alle rispettive scadenze. La ragione del differente regime è che il terzo, per i crediti che maturano successivamente al pignoramento, si trova in una posizione analoga a quella in cui si troverebbe nel procedimento ordinario se avesse già reso la dichiarazione di quantità e fosse intervenuta l’assegnazione, per cui il suo obbligo di pagare al creditore è ormai certo ed immediato e non richiede un ulteriore spatium deliberandi ai fini delle necessarie valutazioni. Essendo quella appena indicata la ragione per cui sono previsti diversi termini di pagamento per i crediti esigibili al momento del pignoramento e per quelli che lo divengono successivamente, ne consegue che, così come nel pignoramento ordinario il vincolo di custodia di cui all’art. 546 c.p.c. permane certamente fino alla dichiarazione di quantità del terzo (e anche oltre, fino alla definizione della procedura esecutiva), così nel pignoramento speciale esattoriale di crediti detto vincolo certamente non potrebbe cessare prima della scadenza del termine indicato, che ha analoga funzione”.

Sulla scorta di tali considerazioni deve ritenersi giuridicamente illogico che il pignoramento esattoriale possa esaurire la sua efficacia anteriormente al momento in cui il pagamento effettuato dal terzo – al termine dei sessanta giorni fissati indicati dalla normativa stessa – assolve le medesime finalità della dichiarazione del terzo circa la consistenza dell’an e del quantum del credito “aggredibile” dal creditore procedente. Ed anzi tale termine (ricordiamo: di sessanta giorni) è proprio lo spatium deliberandi (felice espressione del relatore della sentenza) riconosciuto al debitor debitoris per la corretta quantificazione del credito pignorabile. Ne consegue che qualsivoglia credito pignorabille che sia venuto ad affluire sul rapporto di conto corrente (e ciò anche successivamente alla data di notifica del pignoramento) dovrà essere ricompreso tra i crediti palesatisi quali maturati ed esigibili e, pertanto, attinti dal pignoramento. “È, dunque, certamente da escludersi che il pignoramento speciale in esame possa avere ad oggetto esclusivamente i crediti esigibili al momento del pignoramento, dovendosi certamente ammettere che esso possa avere ad oggetto anche crediti che diventano esigibili successivamente, purché derivanti da un rapporto base (il rapporto di conto corrente, per l’appunto) già in essere al momento del pignoramento, esattamente come avviene per il pignoramento ordinario dei crediti. […] Stando così le cose, deve riconoscersi che, quanto meno per il saldo attivo eventualmente maturato nei sessanta giorni costituenti lo spatium deliberandi concesso al terzo per valutare la sua posizione ed effettuare il pagamento delle somme esigibili, non potrebbe in alcun modo ritenersi che, solo perché è stato pagato (in anticipo rispetto alla scadenza del termine a tal fine concesso al terzo) il credito corrispondente al saldo già esigibile al momento del pignoramento, perda efficacia il vincolo di custodia imposto al terzo pignorato dall’art. 546 c.p.c., anche in relazione ai crediti sopravvenuti. Di conseguenza, nella medesima ottica, non avrebbe alcun senso negare la possibilità per il terzo di effettuare il pagamento spontaneo del saldo attivo maturato nel termine dei sessanta giorni dal pignoramento, quanto meno entro tale ultimo medesimo termine. Tanto meno avrebbe senso diversificare l’efficacia del vincolo, nel caso in cui – come, in ultima analisi, è accaduto nella fattispecie in esame – al momento del pignoramento del saldo del rapporto di conto corrente bancario un saldo attivo esista (pur magari di minima entità) e venga pagato immediatamente (invece che alla scadenza del termine di sessanta giorni), e nel caso in cui, invece, tale saldo sia negativo e, quindi, non possa essere pagato alcunché, con la assurda conseguenza che, se, in entrambe le ipotesi, sopravvenga, a pochi giorni dal pignoramento, una rimessa che determini un saldo attivo consistente, nel primo caso tale saldo sarebbe libero dal vincolo, mentre nel secondo caso sarebbe soggetto al vincolo. In altri termini, deve certamente ammettersi che il vincolo di custodia per il terzo, ai sensi dell’art. 546 c.p.c., operi quanto meno per tutti i crediti maturati nei sessanta giorni dello spatium deliberandi a lui concesso per l’effettuazione del pagamento, a prescindere dalla circostanza che esistessero crediti già esigibili al momento del pignoramento e che sia o meno avvenuto il loro pagamento prima della scadenza del suddetto termine”.

In altri termini, “nel pignoramento speciale esattoriale di crediti disciplinato dall’art. 72 bis del D.P.R. n. 602/1973, il saldo attivo derivante da un rapporto di conto corrente bancario è soggetto al vincolo di cui all’art. 546 c.p.c. e deve essere versato direttamente all’agente della riscossione da parte della banca terza pignorata, anche se maturato dopo la data del pignoramento, purché nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’ordine di pagamento diretto”[3].

E torniamo, in conclusione, al verso di Pindaro citato in principio. Il tempo, dunque, nella sua accezione di termini individuati dalla disciplina normativa, si configura quale giudice (e, in un qualche modo, a esso si sostituisce nel caso di specie) per la determinazione della “verità”. Verità fattuale, certo, (e non metafisica) che è la sola cui il diritto possa aspirare. Ma ci parrebbe già, a nostro modesto avviso, conquista – ove conseguibile – di non poco momento.

 

 

 

 

 

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[1] Anna Maria Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Cedam Editore, VIII edizione, 2022, pagg. 2080-2085.

[2] “il Tribunale di Udine ha individuato correttamente nel saldo attivo di 255,47 euro presente sul conto corrente alla data di notificazione dell’ordine di pagamento sostitutivo dell’atto di pignoramento presso terzi il solo credito che poteva esser aggredito dall’esecuzione, escludendo gli importi di 12.420,55 euro e di 138.105,65 euro accreditati successivamente, prima di tutto in applicazione di quanto disposto dall’art. 72bis del D.P.R. n. 602/1973. Questo, nel disciplinare la procedura speciale di pignoramento esattoriale stragiudiziale nei confronti del terzo debitore dell’esecutato, prevede che il pagamento diretto del terzo renda superflue l’udienza di comparizione di cui all’art. 543 del c.p.c., la dichiarazione del terzo di cui all’art. 547 del c.p.c., e l’assegnazione del credito di cui all’art. 553 del c.p.c.. In particolare, e soprattutto per quello che qui interessa, lo stesso art. 72bis del D.P.R. n. 602/1973, nel determinare il termine entro cui il terzo deve adempier,e individua i crediti dell’esecutato suscettibili di pignoramento. In particolare la lettera a) fissa il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento per i crediti esigibili e cioè per “le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica”. La lettera b), invece, fa riferimento a quei crediti già sorti prima della notificazione dell’atto di pignoramento esattoriale, ma la cui esigibilità è differita a una data successiva alla notificazione dell’atto di pignoramento, ovvero a quelli che avendo titolo in un rapporto di durata, come ad esempio il rapporto di lavoro subordinato o il rapporto di locazione immobiliare, già esistente al momento della notificazione dell’atto di pignoramento, maturano a scadenze predeterminate successive. Nel novero di questi rapporti di durata, in conformità a quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2857/2015, non può includersi il rapporto di conto corrente. Infatti, questo non è alimentato da accrediti che maturano a scadenze fisse e in base a un determinato rapporto specificamente individuato, ma da singole e distinte rimesse aventi titolo in diversi e plurimi rapporti non identificabili e a scadenze non prevedibili alla data di notificazione del pignoramento. […]”.

[3] Massima redazionale a cura di One Legale (Wolters Kluwer).

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