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«Il ritratto è uno specchio e il romanzo, un condensato di filosofia wildiana, diventa un gioco di antitesi»

Un condensato della filosofia wildiana, nonché un manifesto dell’estetismo e del decadentismo anglosassone, è un’opera giocata sui riflessi, sugli specchi, sulle antitesi. Invero, il ritratto di Dorian Gray diventa lo specchio indagatore, che riflette una coscienza logora e logorata da una ricerca esasperante del piacere personale, in una spirale di puro edonismo.

Al tempo stesso, la vanità estetica del Principe Gentile è il contraltare dell’eisoptrofobia ante litteram del Gray, che rifugge dal mirare quel suo strano riflesso interiore, incattivito dalle sue scelte e dai conseguenti eventi, in quella che era solo un’opera d’arte posta su tela da quel pittore che lo aveva idealizzato, erto a musa, e che in nome di quest’ideale era stato sacrificato.

E’ il contrasto tra la giovinezza esploratrice del protagonista e la disillusione, a tratti cinica, sempre sagace di Sir Enrico Wotton, il mentore, che vive al di sopra della morale corrente, imbonitore dei salotti aristocratici e al tempo stesso loro principale canzonatore, convinto sostenitore della ricerca dell’Eldorado del piacere sperimentale e, al tempo stesso, disincantato e realista censore di costumi, mode, dialettiche, dinamiche sociali.

E’ la contrapposizione tra le due Sybil Vane, la prima, delusa dalla sua vita, tanto da ridurla unicamente a una trasposizione delle opere teatrali inscenate da attrice, in un teatro di secondo ordine, e la seconda, svegliata tranchant da un amore, mai provato e mai integralmente corrisposto, tanto da condurla a un avventato suicidio; ma è anche l’opposizione tra la Vane ed Hetty Merton, la ragazza che vien dalla campagna, bella tanto quanto ingenua, ma soprattutto integra e morigerata, il cui incontro, oltre a rammentare un infausto passato, sta a rappresentare l’occasione di un riscatto futuro.

Redenzione e vendetta, ultima, finale e fatale contrapposizione. La prima, cercata da un Dorian Gray, che ha ormai rinnegato il proprio egotismo; troppo tardi, pur tuttavia; quando ormai l’arte, quello specchio camuffato da ritratto s’è determinato a esigere la sua rivincita, restituendogli, tutti assieme, gli effetti di quella vita dissoluta e smarrita nei labirintici piaceri e riappropriandosi di quella mutuata immortalità.

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