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Nota a Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2023, n. 1760.

Il caso prende le mosse dall’appello presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per la riforma della sentenza di primo grado del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia con cui è stato rigettato il ricorso ex art. 21-bis l. 287/1990 con cui l’Autorità della Concorrenza chiedeva l’annullamento di due delibere regionali emanate nel 2020.

Con esse la Regione concedeva un sussidio economico, per far fronte ai danni causati dall’emergenza Covid-19, esclusivamente a operatori economici insediati sul territorio regionale. Le delibere escludevano dai potenziali beneficiari le imprese operanti sul territorio ma con sede legale in altra Regione, creando in questo modo, secondo l’AGCM, una discriminazione tra imprese attive nella stessa località.

Il Consiglio di Stato, considerato quanto addotto dalle parti e dopo essersi dedicato ad un chiaro excursus sulla ratio e l’origine dell’ art. 21-bis l. 287/1990, ha deciso di rigettare l’appello essendo carente la legittimazione ad agire in capo all’AGCM. In particolare, il Consiglio ha ritenuto che già il ricorso di primo grado andava dichiarato inammissibile, non essendo l’Autorità legittimata a far valere vizi, per quanto rilevanti, non concernenti la violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.

In particolare, l’art. 21-bis della l. 287/1990 ha introdotto un importante strumento a tutela della concorrenza nell’ordinamento, attribuendo una peculiare legittimazione ad agire all’Autorità (c.d. legitimatio ad causam) che integra e si aggiunge a quella in capo ai singoli soggetti, ma che va utilizzata esclusivamente nelle ipotesi in cui gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, non qualunque norma (persino se di rango costituzionale). Infatti, la legittimazione dell’AGCM, proprio perché ha carattere eccezionale o comunque speciale, non può estendersi al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma in esame.

Proprio il fatto che nel caso di specie l’AGCM abbia dedotto essenzialmente la violazione di principi e norme costituzionali, in particolare l’art. 3 Cost., assumendo il carattere discriminatorio e irragionevole dei provvedimenti impugnati, ha determinato il rigetto per carenza della legitimatio ad causam dell’Autorità.

Per completezza, nel merito, il Consiglio di Stato ha precisato che gli atti impugnati comunque non contenevano disposizioni concretamente ed effettivamente idonee a falsare in maniera apprezzabile la concorrenza, o ad impedirne la promozione, ovvero in altro modo a violare norme a tutela del mercato. Per quanto discutibile, infatti, non è dimostrato che il contestato requisito per accedere ai contributi (avere la sede legale nel territorio regionale, anziché la sola presenza sul territorio di unità locali o sedi operative) sia in grado di alterare la concorrenza, anche tenuto conto dell’estrema esiguità dell’importo dei contributi, erogati una tantum, nell’eccezionalità della situazione di crisi indotta dalla pandemia.

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