Nota a Trib. Varese, Sez. II, 23 maggio 2025.
Segnalazione a cura dell'Avv. Andrea Guarnaschelli.
L’ordinanza qui in commento prende le mosse dall’impugnativa di una delibera adottata da una fondazione. Tale fondazione ha, nel proprio statuto, una clausola compromissoria che riprende la tipica formulazione che specifica che le controversie oggetto dell’ambito di applicazione della clausola devono vertere su diritti disponibili.
Come noto, nel nostro ordinamento, non esiste una norma che dia una definizione di diritto indisponibile. Infatti, tale definizione, di natura mutevole, può assumere significato diverso in base all’ambito di riferimento.
Il codice di procedura civile all’art. 806 si limita a specificare che le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili e l’art. 34 d.lgs. 5/2003 (oggi, 838-bis c.p.c.) prevede che la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
Il legislatore, sin dai tempi della delega per la riforma del diritto societario (l. n. 366 del 3 ottobre 2001), non a caso prevedeva che “Il Governo può altresi prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1. Nel caso che la controversia concerna questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto, restando escluso il giudizio di equità, ed il lodo sarà impugnabile anche per violazione di legge.” (l’art. 12, terzo comma, l. 366 del 2001). Come noto, poi, però, tale riferimento alla transazione veniva eliminato giusta la formulazione dell’art. 34, d.lgs. 5/2003 “ Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili ” così come il 838 bis cpc “Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’articolo 2325 bis del Codice Civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.”
Come definire, dunque, quando un diritto è disponibile o meno?
Secondo il Tribunale di Varese che richiama la giurisprudenza della Suprema Corte, nell’arbitrato societario l’indisponibilità si lega, in primo luogo, alla natura della norma che si assume violata[1]1.
Il Tribunale cercando di ricavare una definizione in negativo, specifica che l’indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte.
Con speciale riferimento alle delibere assembleari prosegue, poi, il Tribunale richiamando la giurisprudenza della Cassazione, sempre ricavando a contrario, la definizione diritti indisponibili e come tali non compromettibili, riferendosi ai diritti oggetto delle controversie relative all’impugnazione “di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell’art. 2479 ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione, quando la lite che abbia ad oggetto l’invalidità della delibera assembleare per omessa convocazione del socio, essendo soggetta al regime di sanatoria previsto dall’art. 2379 bis c.c., può essere deferita ad arbitri”.
Prosegue, poi, il Tribunale, in ossequio alla giurisprudenza citata, nella ricerca della soluzione. Nel caso di specie la delibera è impugnata per esistenza di conflitto di interessi tra i consiglieri e l’ente. Tale vizio lamentato non è rilevabile d’ufficio e pacificamente non ha oggetto illecito o impossibile e, sottolineiamo, gli effetti sugli interessi della Fondazione sono meramente indiretti in quanto la vicenda attiene solo ai rapporti tra i soggetti che operano all’interno della fondazione. Premesso ciò, il Tribunale prosegue superando anche la potenziale qualifica di diritto indisponibile giusta l’intervento necessario del PM (23 c.c.): come anticipato in premessa l’ente resistente nel caso di specie è una FONDAZIONE Ente del terzo settore (cd. ETS) cui si applica la disciplina contenuta nel d.lgs. 117/2017 che espressamente richiama, all’art. 24 e 27, gli art. 2373 e 2475 ter del codice civile residuando solo in caso di lacuna la normativa in tema di Fondazioni.
Nel caso di specie, dunque, in conclusione, fatte le doverose premesse riassunte sopra, il Tribunale conclude declinando la competenza in favore della potestas iudicandi arbitrale.
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[1] Tra le tante, in senso contrario: Cass. n. 20462/2020; Cass. n. 14665/2019; Cass. n. 2692/2018.
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Info sull'autore
Laureata in Giurisprudenza, presso l’Università degli studi dell’Insubria, con tesi in diritto fallimentare. Avvocato in Lecco, con esperienza in contenzioso civile, procedure esecutive, diritto societario e arbitrato.