La gestione condivisa della fiscalità all’interno di aggregazioni aziendali, come le Reti di Impresa, rappresenta una tematica di crescente interesse e complessità nel panorama tributario italiano. La possibilità di ottimizzare i flussi finanziari e la gestione dei crediti d’imposta attraverso meccanismi di compensazione multilaterale tra i partecipanti è stata oggetto di un recente interpello ordinario presentato all’Agenzia delle Entrate. L’istanza proponeva l’adozione di uno schema operativo in cui i crediti tributari di un retista venissero utilizzati per estinguere i debiti di un altro retista, formalizzando l’operazione tramite il codice tributo “50 – coobbligazione”. La questione centrale verte sulla compatibilità di tale pratica con il divieto di accollo fiscale sancito dall’ordinamento, in particolare in relazione all’Art. 1, comma 2, del D.L. n. 124/2019. Con la Risposta n. 291/2025, l’Amministrazione finanziaria ha espresso un netto diniego, ribadendo che la compensazione in ambito tributario è ammessa esclusivamente tra i medesimi soggetti. L’obiettivo di questo commento è analizzare il fondamento normativo e giurisprudenziale di tale diniego, chiarendo i limiti invalicabili posti dalla legge alla circolazione dei debiti d’imposta mediante compensazione con crediti altrui.
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1. Il quesito e la proposta operativa della Rete di Impresa.
L’istanza di interpello è stata presentata dalla società promotrice [ALFA] con l’intento di costituire la Rete di Impresa denominata “[BETA] Rete Integrata per la Gestione Tributaria e la Compensazione Fiscale”. L’obiettivo primario di questa Rete è favorire la compensazione multilaterale dei crediti tributari tra i retisti, fermo restando che ogni retista sia titolare del proprio credito legittimamente maturato. Nello specifico, la società istante ha chiesto conferma della legittimità di uno schema operativo in cui la compensazione tra i retisti sarebbe stata attuata utilizzando il modello F24 con indicazione del codice tributo “50 – coobbligazione”. Tale operazione sarebbe stata formalmente supportata da un sottostante contratto di appalto o servizio stipulato tra la Rete e i retisti. L’istante riteneva che tale pratica non configurasse un accollo fiscale vietato (Art. 8, comma 2, L. 212/2000), ma piuttosto l’impiego di crediti propri in compensazione orizzontale tra soggetti che cooperano sulla base di un contratto di rete con oggetto fiscale. Il contribuente prospettava la legittimità della compensazione purché, tra gli altri requisiti, i crediti fossero effettivamente esistenti, vi fosse un contratto a fondamento della transazione, e la trasmissione del modello F24 avvenisse da parte del soggetto titolare del credito compensato.
2. Il parere dell’Agenzia delle Entrate: il divieto di compensazione nell’accollo.
L’Agenzia delle Entrate ha esaminato lo schema operativo proposto focalizzandosi sulla sua riconducibilità o meno all’accollo del debito altrui. Il punto di partenza è l’Articolo 8, comma 2, della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (cd. Statuto del contribuente), che stabilisce: «È ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario». A tale norma si affianca la disposizione introdotta dall’Articolo 1, comma 2, del Decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla Legge 19 dicembre 2019 n. 157. Questa norma, di natura restrittiva, stabilisce in modo perentorio che: «Per il pagamento, in ogni caso, è escluso l’utilizzo in compensazione di crediti dell’accollante». Dalla lettura congiunta delle due disposizioni, l’Amministrazione finanziaria deduce che l’accollo, in ambito tributario, è consentito unicamente se il debito dell’accollato viene estinto senza che si ricorra all’utilizzo della compensazione di crediti facenti capo al soggetto accollante. Qualsiasi altra modalità di estinzione che preveda l’utilizzo dei crediti dell’accollante per coprire il debito dell’accollato è, di fatto, vietata.
3. Il riferimento giurisprudenziale: l’accollo è solo interno.
A supporto della propria interpretazione, l’Agenzia delle Entrate richiama un consolidato orientamento, confermato anche dalla recente giurisprudenza di legittimità. In particolare, viene citata l’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 3930 del 16 febbraio 2025 , la quale ha enunciato il seguente principio di diritto: l’accollo di debiti erariali assume solo efficacia di accollo interno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Ne deriva che il soggetto debitore nei confronti dell’Erario resta sempre l’accollato. L’assenza di identità soggettiva, presupposto già prescritto dall’Art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, comporta che:
- L’accollante non può compensarecon i propri crediti d’imposta i debiti tributari erariali negozialmente accollati.
- L’accollato non può pretenderedall’Erario che i propri debiti si compensino con i crediti d’imposta dell’accollante.
Questo orientamento riprende quanto già chiarito dalla Risoluzione n. 140/E del 15 novembre 2017, la quale aveva stabilito che la compensazione ex Art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 non trova applicazione nell’ambito dell’accollo, essendo ammessa soltanto «[…] per i debiti (e i contrapposti crediti) in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti diversi».
4. La configurazione come accollo illegittimo.
L’elemento dirimente per l’Amministrazione finanziaria è la mancanza di identità soggettiva tra il titolare del debito e il titolare del credito utilizzato in compensazione. Lo schema proposto dall’istante prevedeva esplicitamente che i retisti titolari dei crediti fiscali (Soggetto A) compensassero i debiti fiscali di altri retisti (Soggetto B). L’Agenzia sottolinea come tale impostazione sia in linea con quanto già affermato nella recente Risposta a interpello n. 246 del 17 settembre 2025. In tale precedente, di fronte a un modello operativo identico – in cui il «retista A provvederà a pagare debiti tributari riferiti al retista B utilizzando crediti fiscali riferibili al retista A» – l’Agenzia aveva chiarito che tale pratica, prevedendo il ricorso alla compensazione tra crediti e debiti tributari riconducibili a soggetti diversi, configura un illegittimo accollo fiscale, a prescindere dal nomen iuris e dalla forma degli strumenti negoziali utilizzati per la circolazione dei debiti tributari.
5. Conclusioni
In definitiva, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che lo schema operativo proposto dall’istante configuri una compensazione tra debiti e crediti facenti capo a soggetti diversi, la quale, stante la normativa vigente, è vietata. L’utilizzo di un contratto di appalto come fondamento giuridico dell’operazione, così come l’indicazione del codice tributo “50 – coobbligazione”, non è sufficiente a superare il divieto di utilizzare crediti propri per estinguere debiti altrui in compensazione.
La Risposta n. 291/2025 si conclude con il rigetto della soluzione interpretativa prospettata, ribadendo un principio fondamentale del diritto tributario italiano: l’istituto della compensazione orizzontale di cui all’Art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 è riservato esclusivamente all’estinzione di posizioni debitorie e creditorie che fanno capo al medesimo contribuente. Le conseguenze di un versamento effettuato in violazione di tale divieto non sono lievi: il comma 3, dell’Articolo 1 del D.L. n. 124/2019 prevede che i versamenti in tal caso effettuati si considerano come non avvenuti a tutti gli effetti di legge, con l’applicazione delle sanzioni di cui all’Articolo 13 del D.Lgs. n. 471/1997. Il professionista deve dunque porre massima attenzione, in sede di pianificazione fiscale per le Reti di Impresa, affinché non vengano adottati meccanismi che, pur formalmente inquadrati come “gestione condivisa della fiscalità”, si sostanzino in un accollo mascherato che eluda il divieto di compensazione dei crediti dell’accollante.
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