Nota a Cass. Civ., Sez. I, 28 Ottobre 2025, n. 28573.
Nell’ambito di una procedura di liquidazione controllata il creditore ipotecario si è visto rigettare la propria domanda di ammissione al passivo inviata tardivamente rispetto al termine concesso in sentenza sulla scorta della mancanza della prova della non imputabilità del ritardo nonché della carenza a monte della “legittimità” del ritardo stesso.
Al momento dell’apertura della procedura di liquidazione controllata il debito era in regolare ammortamento e, pertanto, benché avesse regolarmente ricevuto tutte le comunicazioni e/o notificazioni ricevute da parte del liquidatore, il creditore aveva ritenuto di non dover formulare alcuna domanda di ammissione al passivo.
Successivamente però, a seguito dell’inadempienza di due rate del mutuo, il creditore, ritenendo che il debito fosse maturato solo in quel momento, inviava domanda di ammissione al passivo tardiva, seguita anche da una ulteriore successiva “precisazione del credito” in cui esponeva le proprie ragioni del ritardo, ovvero per il necessario preventivo invio della comunicazione di decadenza dal beneficio del termine.
Orbene, sia il Tribunale in sede di reclamo che la Suprema Corte hanno ritenuto che il debito fosse scaduto sin dal momento dell’apertura della procedura di liquidazione non avendo alcuna rilevanza il regolare ammortamento o meno del debito e tantomeno il preventivo invio della comunicazione.
La fonte normativa è infatti da rinvenirsi nell’art. 154 comma 2 CCII secondo il quale “I crediti pecuniari si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.” che benché non espressamente richiamato nell’ambito delle norme dedicate alla liquidazione controllata è da intendersi applicabile in via analogica anche ad essa stante la natura pacificamente concorsuale tanto della liquidazione controllata quanto della liquidazione giudiziale.
Ma la Corte si è spinta anche oltre richiamando una pronuncia resa in una procedura di sovraindebitamento ex L. 3/2012[1] e statuendo che trattasi di “conclusione che resisterebbe anche se si ipotizzasse l’inestensibilità all’accordo di composizione dell’art. 55, secondo comma, legge fall., in base all’omesso richiamo di tale norma nella legge speciale poiché in ogni caso rileverebbe pur sempre l’art. 1186 c.c., secondo cui, anche se il termine di pagamento è stabilito nell’interesse del debitore, esso si considera scaduto ove il debitore sia divenuto insolvente”.
Inoltre, la Suprema Corte ha altresì ravvisato la consapevolezza di ciò anche in capo al creditore che, infatti, ha inviato la comunicazione di decadenza dal beneficio del termine senza rispettare le tempistiche dettate in materia dal TUB e dunque facendo di fatto applicazione del principio statuito dall’art. 1186 c.c. ed in contraddizione con quanto documentalmente dedotto.
Infine, fermo restando la pacifica natura concorsuale di entrambe le tipologie di liquidazione, la Suprema Corte ha rigettato altresì la doglianza relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 273, comma 7, CCII (nella versione precedente al cd. Correttivo ter) nella parte in cui il ritardo della domanda debba essere giustificato entro un termine che nella liquidazione giudiziale è riservato alle domande cd. ultratardive.
Il riconoscimento della natura concorsuale di entrambe le procedure, infatti, non determina necessariamente lo sdoppiamento delle regole procedurale ivi previste che, qualora fosse, andrebbe a sopprimere le caratteristiche specifiche di ciascuna ma costituisce attuazione della discrezionalità propria riconosciuta al Legislatore ad esplicazione della natura cd. minore della liquidazione controllata.
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[1] Corte di Cassazione, sentenza n. 17834/2019.
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