Nota a ABF, Collegio di Bari, 17 aprile 2024, n. 4624.
«Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.»
(Albert Einstein)
«Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare col tempo che ci viene dato.»
(J.R.R. Tolkien)
«Vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede.»
(Dante Alighieri)
Se un filo conduttore volesse trovarsi nella Decisione n.4624 del 17 aprile 2024, pronunciata dal Collegio di Bari dell’Arbitro Bancario Finanziario, senza dubbio, esso andrebbe rinvenuto nel tempo. E dovremmo dire nell’inutile decorso del tempo. Nella circostanza che, talora ha dolorosi risvolti esistenziali ancor prima che giuridici, che il tempo inutilmente decorra senza che si compiano quelle azioni che lo riempirebbero di senso (se della vita, in genere, stessimo discorrendo) ovvero – si parva licet componere magnis – senza porre in essere quegli adempimenti che evitano all’agente il consumarsi di effetti giuridici sfavorevoli in suo danno (laddove volessimo circoscrivere – come è d’uopo in questa sede – la nostra analisi al diritto)[1].
Questi i fatti, per come sintetizzati dal medesimo Collegio Arbitrale. “Il ricorrente deduce l’illegittimità della condotta dell’intermediario, in relazione all’emissione di un assegno bancario – tratto per l’importo di nominali € 1.982,33 – senza precostituire, ab origine, la necessaria provvista, asserendo che il segnalante avrebbe censito il proprio nominativo nella Centrale di Allarme Interbancaria della Banca d’Italia e disposto la conseguente revoca di sistema in mancanza dei necessari presupposti”. Nel caso di specie, assume la clientela che la suddetta “mancanza dei necessari presupposti” discenderebbe dalla circostanza che l’assegno bancario, pur emesso in data 20/06/2023 e risultato impagato per “difetto di provvista”, sarebbe poi stato onorato con addebito del rapporto di corrente in data 26/06/2023. Obietta l’intermediario che siffatto addebito avrebbe riguardato il solo importo facciale del titolo e non anche i relativi oneri. Pertanto, alla scadenza del termine indicato nel preavviso di revoca ritualmente inviato al cliente, la segnalazione dello stesso nel segmento CAPRI della Centrale d’Allarme Interbancaria sarebbe risultata assolutamente legittima e rispondente alla norma.
Sul punto, si rende necessaria una ricostruzione del dato normativo e delle tempistiche ivi stabilite per gli adempimenti posti in capo all’intermediario e al cliente al ricorrere della fattispecie di un assegno risultato impagato per difetto di provvista. La Legge 15 dicembre 1990, n. 386 titolata “Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari” recita all’art 9-bis rubricato “Preavviso di Revoca”: “1. Nel caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, di un assegno per difetto di provvista, il trattario comunica al traente che, scaduto il termine indicato nell’articolo 8 senza che abbia fornito la prova dell’avvenuto pagamento, il suo nominativo sarà iscritto nell’archivio di cui all’articolo 10-bis e che dalla stessa data gli sarà revocata ogni autorizzazione ad emettere assegni. Con la comunicazione il traente è invitato a restituire, alla scadenza del medesimo termine e sempre che non sia effettuato il pagamento, tutti i moduli di assegno in suo possesso alle banche e agli uffici postali che li hanno rilasciati. 2. La comunicazione è effettuata presso il domicilio eletto dal traente a norma dell’articolo 9-ter entro il decimo giorno dalla presentazione al pagamento del titolo, mediante telegramma o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ovvero con altro mezzo concordato tra le parti di cui sia certa la data di spedizione e quella di ricevimento”. L’art. 8 rubricato “Pagamento dell’assegno emesso senza provvista dopo la scadenza del termine di presentazione” prevede che “1. Nei casi previsti dall’articolo 2, le sanzioni amministrative non si applicano se il traente, entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo, effettua il pagamento dell’assegno, degli interessi, della penale e delle eventuali spese per il protesto o per la constatazione equivalente. 2. Il pagamento può essere effettuato nelle mani del portatore del titolo o presso lo stabilimento trattario mediante deposito vincolato al portatore del titolo, ovvero presso il pubblico ufficiale che ha levato il protesto o ha effettuato la constatazione equivalente. 3. La prova dell’avvenuto pagamento deve essere fornita dal traente allo stabilimento trattario o, in caso di levata del protesto o di rilascio della constatazione equivalente, al pubblico ufficiale tenuto alla presentazione del rapporto mediante quietanza del portatore con firma autenticata ovvero, in caso di pagamento a mezzo di deposito vincolato, mediante attestazione della banca comprovante il versamento dell’importo dovuto”.
Ebbene, è indubbio – stante la documentazione versata in atti – che la clientela (cui l’anzidetto preavviso è stato inviato dall’intermediario) abbia sì provveduto – sia pur tardivamente e successivamente alla generazione di insoluto – al pagamento dell’assegno ma del solo importo facciale dello stesso e non anche (come recita l’art. 8) “degli interessi, delle penali e delle eventuali spese per il protesto o per la constatazione equivalente”. Nella specie, la Banca ha dato prova di aver assolto all’invio del preavviso di revoca nei termini previsti dalla normativa (entro il decimo giorno dalla presentazione al pagamento del titolo). Viceversa, il cliente ha dimostrato il solo pagamento facciale dello stesso, ma non la corresponsione della relativa penale. Anzi, “come anche eccepito dalla resistente, la quietanza prodotta in atti risulta sottoscritta dopo il decorso del termine di 60 giorni dalla data ultima di presentazione del titolo al pagamento (28/06/2023 o 05/07/2023) stabilito ai sensi del menzionato art. 8. Inoltre, il medesimo documento non reca alcun riferimento alla corresponsione della prescritta penale, pari al 10% dell’importo dell’assegno, oltre agli interessi legali ed oneri eventuali. Né constano evidenze atte a suffragare l’asserita condotta ostativa posta in essere dalla resistente al pagamento della penale (arg. ex art. 2697 cod. civ.); d’altronde, non sussistono elementi per ritenere, anche in via indiziaria, che l’intermediario fosse a conoscenza dell’adempimento del traente in relazione agli oneri accessori – di cui, per vero, non vi è traccia del pagamento – tale da far sorgere in capo al resistente il dovere di astenersi dalla segnalazione in CAI, alla stregua degli enunciati principi di buona fede e correttezza”.
Il tempo, come si diceva, si rivela essenziale. Non aver adempiuto agli obblighi normativamente previsti nei termini stabiliti e, ad un tempo, non aver adempiuto ai relativi oneri probatori (che impongono sul soggetto che a quegli obblighi avrebbe dovuto sottostare) determinano il rigetto del ricorso da parte dell’ABF.
Da ultimo, e incidentalmente, va sottolineata un’assai interessante questione procedurale affrontata dall’ABF in premessa dell’analisi del caso concreto. Stante che parte ricorrente è un’impresa e che le norme di funzionamento dell’ABF prevedono che “la composizione dell’organo decidente, di cui il presidente verifica la regolare costituzione, varia […] per essere “adeguata alla tipologia delle parti coinvolte nel ricorso oggetto di trattazione, verificando che siano presenti i membri designati dalle pertinenti associazioni dei clienti e degli intermediari” (cfr. ABF Coll. Coord., Dec. n. 19783/2020)”, si impone “la preliminare verifica della corretta qualificazione da attribuire al ricorrente – che ha presentato il ricorso nella veste di consumatore – onde accertare se con riferimento alla vicenda in esame egli abbia agito nell’ambito della propria attività professionale o prevalentemente per scopi di natura privata (cfr. ABF Coll. Coord., Dec. n. 5368/2016). Per sciogliere il nodo possono richiamarsi i principi interpretativi espressi dalla Corte di Giustizia dell’UE in virtù dei quali il Giudice europeo, muovendo dalla nozione di “consumatore”, ricavabile dalla disciplina eurounitaria (segnatamente dalla direttiva 2013/11/UE), ha chiarito che in ipotesi di uso promiscuo di un rapporto bancario e finanziario, la persona che abbia “stipulato un contratto per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle sue attività commerciali deve essere considerata un consumatore qualora lo scopo professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto” (cfr. Sent. 08/06/2023, causa C-570/21). Nella fattispecie, il ricorrente, in qualità di rappresentante legale dell’omonima ditta individuale, invoca la tutela dell’Arbitro affinché disponga, a carico dell’intermediario, la cancellazione della segnalazione presente in CAI considerata illegittima, ponendo in luce gli effetti negativi generati dall’iscrizione pregiudizievole che ostacola la prosecuzione dell’attività commerciale e l’acceso al credito. Questi elementi, ad avviso del Collegio, inducono a ritenere prevalente, nel contesto generale del negozio che occupa, la sussistenza di un uso predominante del conto promiscuo a fini professionali cui consegue la riclassificazione del cliente alla stregua di “non consumatore”.
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[1] Le opinioni e i pareri contenuti nel presente scritto sono da attribuirsi esclusivamente all’autore e non rappresentano, in alcun modo, posizione e convincimenti dell’Istituto di appartenenza.
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