Nota a Cass. Civ., Sez. III, 21 maggio 2024, n. 14046.
La sentenza della Cassazione n. 14046/2024 ha concluso un procedimento cominciato in primo grado presso il Tribunale di Milano da un trasportatore, un broker e una società di assicurazioni.
Nello specifico, l’attore è un autotrasportatore che nel 2009, per il tramite di una società di brokeraggio, ha stipulato con la compagnia assicurativa un contratto di assicurazione contro il rischio di furto della merce trasportata.
L’anno successivo, precisamente il 18.04.10, ha subìto il furto di due motrici e di un rimorchio contenente un carico di medicinali che gli erano stati affidati per il trasporto.
A seguito di richiesta di risarcimento per la perdita del carico da parte del mittente, il vettore autotrasportatore ha chiesto alla propria compagnia di assicurazione di essere tenuto indenne rispetto a tale pretesa.
Tuttavia, la società di assicurazioni ha rifiutato il pagamento dell’indennizzo sull’assunto secondo cui il contratto di assicurazione avrebbe escluso dalla copertura i danni derivanti dal furto di medicinali.
Per tale motivo, l’autotrasportatore ha convenuto in giudizio sia la società di assicurazioni che il broker dinanzi al Tribunale di Milano chiedendo la condanna, in solido o in via alternativa, al pagamento dell’indennizzo e/o al risarcimento del danno.
L’attore, nello specifico, ha dedotto che la fonte dell’estensione della copertura al rischio di furto di medicinali derivasse da uno scambio di mail, avvenuto nel 2009, tra il broker e un funzionario della società di assicurazioni. In subordine, l’attore ha dedotto che la mancata estensione della copertura avrebbe dovuto essere ascritta alla responsabilità del broker, il quale avrebbe dovuto rispondere in sede civile per non aver saputo offrire all’assicurato un contratto adatto alle sue esigenze assicurative.
I convenuti hanno contestato le pretese attoree e, con sentenza n. 8835/18, il Tribunale di Milano ha accolto la domanda nei confronti della società di assicurazioni e rigettato la domanda nei confronti della società di brokeraggio. Nello specifico, il Tribunale ha ritenuto che il rischio avveratosi fosse coperto dalla polizza stipulata grazie alle modifiche contrattuali apportate su richiesta del broker, come dimostrato dallo scambio di e-mail tra il broker e il funzionario della compagnia assicurativa.
Tale decisione è stata impugnata sia in via principale che in via subordinata:
- In via principale dall’attore in primo grado, al fine di sentire condannare anche la società di brokeraggio come corresponsabile per pagare la differenza tra il danno effettivamente subìto dall’attore e quando pagato dalla compagnia assicurativa in forza dell’appellata sentenza;
- In via incidentale dalla compagnia assicurativa, al fine di essere sollevata da ogni responsabilità stante il fatto che non era stata stipulata una estensione della polizza assicurativa al trasporto di medicinali perché il contratto avrebbe dovuto essere provato per iscritto. Le mail, invece, non sarebbero da considerare prova scritta perché non possono considerarsi sottoscritte.
Con la sentenza n. 5/21 la Corte d’Appello di Milano ha accolto il gravame incidentale, rigettato la domanda nei confronti della compagnia assicurativa, accolto la domanda nei confronti del broker, dichiarato inammissibile la domanda di manleva proposta dal broker nei confronti della società di assicurazioni, compensato le spese del doppio grado di giudizio tra l’attore in primo grado e la compagnia assicurativa, condannato il broker e rifondere le spese del doppio grado all’autotrasportatore con compensazione delle stesse tra il broker stesso e la compagnia assicurativa del broker.
La Corte d’Appello di Milano, valorizzando l’assunto della società di assicurazioni, ha evidenziato che ai sensi dell’art. 1888 c.c. il contrato di assicurazione deve essere provato per iscritto: dal momento che la estensione della polizza (modificativa di un’espressa previsione contrattuale) non era stata oggetto di documento scritto e firmato dai contraenti era da considerarsi come uno scambio di ordinarie mail avente il valore di riproduzione meccanica e, come tale, fa piena prova solo se non contestata.
Di conseguenza, la Corte territoriale ha affermato che, nel caso di contratto da provarsi per iscritto, lo scambio di mail non può avere lo stesso valore giuridico di una scrittura privata in quanto non può dirsi con certezza che a spedire le mail siano stati davvero i titolari dell’account e non altri.
È stata accolta, invece, la domanda dell’appellante nei confronti del broker a causa della negligenza di quest’ultimo nell’accorgersi che dalla polizza assicurativa originaria era stato escluso il rischio di trasporto di medicinali: si trattava, invero, dell’attività prevalente dell’autotrasportatore e tale circostanza era ben nota al broker il quale, peraltro, non aveva successivamente procurato al cliente una valida estensione assicurativa.
L’appellante in secondo grado ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza impugnata, fondando la sua impugnazione su tre motivi.
A seguito di una eccezione preliminare concernente la inammissibilità del controricorso proposto dalla compagnia assicurativa, ritenuta infondata dalla Suprema Corte, il ricorrente ha lamentato in primis che la Corte d’Appello avrebbe effettuato un “disconoscimento d’ufficio” della comunicazione a mezzo mail proveniente dal funzionario della compagnia assicurativa, così escludendo che fosse “idonea a fungere da piena prova ai sensi degli artt. 2712 e 1888 c.c.” anche in assenza di contestazioni da parte della compagnia assicurativa la quale, peraltro, nei gradi precedenti non aveva mai messo in dubbio la provenienza della comunicazione dall’organo titolare dell’account.
Tale censura è stata ritenuta infondata perché basata su una lettura non condivisibile della sentenza impugnata.
La Corte d’Appello di Milano, infatti, non ha rigettato la domanda sul presupposto che la mail inviata dal funzionario della compagnia assicurativa al broker fosse inutilizzabile perché disconosciuta, ma l’ha rigettata sul presupposto che una mail non può soddisfare il requisito della prova scritta richiesto dall’art. 1888 c.c.: in tal modo non è stata rilevata ex officio una eccezione riservata alla parte, ma è stato contestato che un certo documento soddisfi il requisito della forma scritta (si tratta, dunque, di una eccezione rilevabile d’ufficio).
Pertanto, nessuna ultrapetizione: il giudice di secondo grado è stato chiamato a stabilire se vi fosse prova scritta del patto di estensione della garanzia al furto di medicinali e ha escluso l’esistenza di tale prova.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2712 c.c., anche in relazione agli artt. 2701 e 1888 c.c. Nello specifico, il ricorrente ha affermato che un messaggio di posta elettronica “ordinaria” costituisce un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c. il quale, se non disconosciuto, forma piena prova dei fatti in esso rappresentati. Pertanto, dal momento che la provenienza della mail di estensione della polizza non era stata contestata, la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere soddisfatto il requisito della forma scritta.
La Suprema Corte, nell’esaminare tale doglianza, ha approfondito due temi:
- Le condizioni da soddisfare perché un atto possa ritenersi “scritto” ai sensi dell’art. 1888 c.c.;
- L’efficacia probatoria del messaggio di posta elettronica privo di firma elettronica qualificata o digitale.
Entrambe le questioni sono disciplinate da norme modificate più volte tra l’epoca in cui si sono svolti i fatti di causa (novembre 2009) e l’epoca della decisione d’appello (gennaio 2021).
In ogni caso, tale modifica normativa risulta irrilevante nel caso di specie per due ordini di ragioni: innanzitutto perché le modifiche normative sul punto di interesse sono state solo formali e, inoltre, dal punto di vista processuale il principio di immediata applicazione delle norme processuali sopravvenute nel corso del giudizio, se la legge non dispone diversamente, si applica quando il ius superveniens modifica forme e termini di assunzione della prova.
Hanno invece natura sostanziale (e non processuale) le norme che disciplinano l’efficacia dei mezzi di prova, i limiti della loro ammissibilità, il loro valore legale e i vincoli inerenti alla loro disponibilità: ne consegue che la modifica di tali previsioni non sfugge al generale principio di irretroattività della legge di cui all’art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c.
Pertanto, il motivo di ricorso è stato vagliato alla luce del quadro normativo vigente alla data del novembre 2009.
La Suprema Corte è partita dalla premessa secondo la quale il messaggio di posta elettronica è un documento informatico. Le condizioni richieste dalla legge affinché un documento informatico possa considerarsi uno “scritto”, come tale idoneo a soddisfare il requisito della forma ad probationem del contratto assicurativo, erano stabilite all’epoca dei fatti (novembre 2009) dagli artt. 20 e 21 d. lgs. n. 82/05 che distinguevano i documenti informatici sottoscritti con firma elettronica “semplice” dai documenti informatici sottoscritti con firma elettronica “qualificata” o “digitale”.
Nel caso di specie si tratta di un documento con firma elettronica “semplice”: la legge, rispetto ad esso, prevede che il giudice possa liberamente valutare l’idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, tenendo conto delle sue caratteristiche oggettive di sicurezza, integrità e immodificabilità.
Ne deriva che la Corte d’Appello non avrebbe potuto limitarsi a negare tout court che un messaggio di posta elettronica “semplice” potesse soddisfare il requisito della forma scritta ma, invece, avrebbe dovuto previamente esaminare e vagliare le caratteristiche oggettive del documento stesso. Tale valutazione deve essere condotta alla luce del consolidato principio secondo cui la prova scritta del contratto di assicurazione può essere desunta anche da documenti diversi dalla polizza, purché provenienti dalle parti e da esse sottoscritti, dai quali sia possibile desumere l’esistenza e il contenuto del patto.
Pertanto, la Suprema Corte ha sostenuto che:
- La quietanza di pagamento dell’indennizzo rilasciata dall’assicurato può costituire prova idonea dell’esistenza del contratto di assicurazione;
- La “ricevuta provvisoria” rilasciata dall’agente munito del potere di rappresentanza può essere idonea a dimostrare l’estensione della copertura assicurativa ad eventi espressamente esclusi dalle condizioni generali di contratto.
Le regole stabilite dalla legge affinché un documento informatico possa essere utilizzato come prova in giudizio sono poche e semplici:
- Il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.;
- Se non sono contestati la provenienza e il contenuto, il messaggio di posta elettronica forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate;
- Se vengono contestati provenienza e contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo insieme agli altri elementi disponibili tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di integrità, immodificabilità, sicurezza.
Nel caso di specie, pertanto, la Corte d’Appello non avrebbe dovuto scartare dal materiale probatorio la mail intercorsa tra il funzionario assicurativo e il broker in base ai soli rilievi della pacifica carenza della firma elettronica qualificata o digitale o della mancata adozione di modelli o stampati usualmente impiegati (anche se non imposti ad substantiam negotii), ma sarebbe potuta giungere comunque a questo risultato solo all’esito delle puntuali valutazioni prescritte dagli artt. 20 e 21 d. lgs. 82/05 (cioè mediante analisi oggettiva del documento informatico).
Ciò che invece, a detta della Suprema Corte, non risulta condivisibile è la pretesa, non espressamente prevista da alcuna disposizione di legge applicabile ratione temporis, di un requisito formale, cioè la firma elettronica certificata quale unica garanzia dell’assoluta certezza contrattuale rispetto alla diversa regolamentazione degli assetti assicurativi e, quindi, quale unica modalità di estrinsecazione delle volontà delle parti contraenti: ciò, infatti, si infrangerebbe contro il principio della insopprimibile libertà delle forme.
Con il terzo motivo di ricorso, infine, è stata prospettata la violazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. in quanto, a detta del ricorrente, sarebbe stata omessa la statuizione secondo cui nulla sarebbe dovuto dal ricorrente al broker e alla compagnia assicurativa a titolo di spese di primo grado, con conseguente condanna del broker e della compagnia assicurativa alla rifusione di quanto eventualmente nel frattempo corrisposto a loro favore dal ricorrente. Tale motivo è stato considerato assorbito dall’accoglimento del secondo mezzo di impugnazione.
In conclusione, la Corte di Cassazione:
- ha rigettato il primo motivo di ricorso;
- ha accolto il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui sopra;
- ha dichiarato assorbito il terzo motivo di ricorso;
- ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Milano diversa composizione, demandando di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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Info sull'autore
Ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel 2023, col massimo dei voti. Laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, con indirizzo europeo e transnazionale. Ha svolto la pratica forense anche presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce. Ha conseguito un Master di II Livello presso l’Università del Salento, in diritto amministrativo, con esito ottimo.