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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 24 aprile 2024, n. 11014.

Massima redazionale

Nella specie, i ricorrenti avevano eccepito la natura solo fittizia della reciprocità, perché frutto di un semplice quanto efficace artificio determinato dal fatto che la Banca avesse previsto per gli interessi passivi tassi reali del 14%, mentre per gli interessi attivi tassi di importo insignificante. In tal guisa lamentavano che la Corte territoriale non avesse fornito risposta alla contestazione. Simile doglianza non ha fondamento, perché la risposta del giudice del merito c’è ed emerge chiaramente dalla motivazione, laddove si dice che “la reciprocità del periodo di calcolo degli interessi ai fini dell’anatocismo non richiede affatto che i tassi a favore della banca siano identici [a quelli] a favore del correntista, essendo i superiori tassi di interesse a favore della banca il compenso per la sua attività né da nessuna norma, sentenza o dottrina è ricavabile la tesi sostenuta da parte appellante”. In definitiva, la sentenza ha escluso che potesse parlarsi di fittizietà in base al semplice fatto che il tasso d’interesse attivo fosse stabilito (come, d’altronde, accade sempre) in misura inferiore a quello passivo.

La seconda critica dei ricorrenti è, invece, sostanziale. È basata sul rilievo che la Banca avesse previsto per gli interessi passivi un tasso ascendente fino al 14% e per gli interessi attivi tassi di importo minimo, dello 0,01%. Ferma la possibilità di determinare in modo diverso il tasso creditore da quello debitore, i ricorrenti sostengono che la rispettiva capitalizzazione deve comunque avvenire “secondo le medesime modalità” e, quindi, che il criterio di calcolo per l’anatocismo debba essere identico per i saldi periodici debitori e per quelli creditori. In questa prospettiva non sarebbe consentito un criterio di calcolo accrescitivo, in proporzione geometrica, dei risultati della capitalizzazione trimestrale a favore della banca, e invece destinato di fatto ad annullarsi per l’anatocismo favorevole al cliente. A loro dire l’annullamento dell’effetto anatocistico starebbe nella circostanza per cui il tasso sul conto in passivo, pattuito al 6,25% e applicato sempre a tassi superiori fino al 14%, accresce a cifre superiori in forza dell’effetto prodotto dalla capitalizzazione, mentre quello sul conto attivo resta pattuito in misura fissa dello 0,01 % nominale annuo; sicché non vi sarebbe alcun incremento a seguito di capitalizzazione perché “la previsione del tasso attivo in misura insignificante è assolutamente equivalente alla previsione del tasso zero; e “la previsione di un tasso attivo sostanzialmente pari a zero (…) equivale ad un chiaro ed univoco aggiramento della legge”, visto che rende “solo formalmente” legittimo l’anatocismo.

Tale assunto non può esser condiviso, perché è minato da almeno due incongruenze logiche. La previsione di un tasso attivo minimo di 0,01 % nominale annuo non rende il tasso equivalente a zero. È infatti ovvio, nella sua evidenza matematica, che 0,01 non è zero. Inoltre, sebbene nella misura minima del tasso, l’effetto accrescitivo dell’anatocismo non è escluso in casi simili, perché l’anatocismo in favore del cliente non si annulla affatto in semplice dipendenza della minor rilevanza (e della fissità) del tasso percentuale. L’accrescimento è conseguenza diretta della capitalizzazione dell’interesse, qualunque sia il tasso; e la circostanza che il tasso a credito non ottenga nel tempo alcun incremento non ha incidenza sul fenomeno anatocistico in sé considerato. È quindi errato il profilo sottinteso alla censura, in quanto il concetto di progressivo accrescimento resta comunque correlato alla capitalizzazione; mentre, dal lato passivo, l’asimmetria non discende dall’anatocismo, ma dalla variazione del tasso debitore, che però dipende dall’incremento dell’indebitamento.

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