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Nota a CGUE, 11 gennaio 2024, C-755/2022.

di Sara Pezzotta

Studio Legale Gladys Castellano

Con la sentenza in commento la CGUE sancisce che il principio di proporzionalità non osta a che uno Stato membro sanzioni la violazione delle disposizioni nazionali che traspongono la Direttiva 48/2008 – in punto valutazione del merito creditizio nell’ambito del credito al consumo – con la nullità del contratto e la decadenza del creditore dal diritto agli interessi, anche se il Consumatore non abbia subito alcun pregiudizio per effetto di tale violazione.

Ciò allo scopo di creare per il Consumatore un livello elevato ed equivalente di tutela, il che risulta nel contempo funzionale anche alla responsabilizzazione del creditore e, in un’ottica più ampia, al ravvicinamento delle legislazioni nazionali, al corretto funzionamento dei mercati interni e di conseguenza alla creazione di un effettivo mercato unionale del credito trasparente ed efficiente, onde evitare disparità tra le legislazioni degli Stati membri nonché meccanismi distorsivi della concorrenza.

 

Il concetto di valutazione del merito creditizio.

Con “valutazione del merito creditizio” si intende quel complesso di attività di esame e controllo cui è tenuto il creditore, prima della concessione del credito (ma anche nel corso del rapporto qualora intervengano modifiche dello stesso), al fine di valutare la solvibilità ed affidabilità patrimoniale nonché finanziaria del soggetto finanziato.

 

Il contesto delle norme unionali.

Le disposizioni fondamentali prese in considerazione dalla Corte per la pronuncia in oggetto sono i considerando nn.7,9, 26 della Direttiva n.48/2008 (che ha abrogato e sostituito la Direttiva 102/1987), relativa ai contratti di credito al consumo.

Secondo tali considerando, l’efficienza del mercato interno del credito al consumo può essere garantita solo con l’armonizzazione del quadro normativo di riferimento e dunque con il raggiungimento di livelli di tutela elevati ed equivalenti per tutti i Consumatori dell’Unione, anche attraverso l’azione degli Stati membri, volta ad evitare la concessione di credito in maniera irresponsabile, ossia in assenza di preventiva valutazione del merito creditizio.

Ancora, la CGUE ha preso in considerazione l’art.8 della predetta Direttiva secondo cui gli Stati membri devono provvedere affinché il creditore valuti il merito creditizio prima della conclusione del contratto ed anche l’art.23 della Direttiva stessa a mente del quale da un lato la competenza in punto sanzioni per la violazione delle norme nazionali attuative della Direttiva in esame spetta agli Stati membri e dall’altro lato le sanzioni applicate dai singoli Stati debbono essere necessariamente efficaci, proporzionate e dissuasive.

 

Il contesto nazionale dello Stato membro del Giudice del rinvio.

La legge dello Stato membro il cui Giudice ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ossia la Repubblica Ceca, prevede che il creditore debba valutare, prima della concessione del credito, il merito creditizio del Consumatore e dunque erogare il relativo credito al consumo solo se a seguito di tale valutazione non emergano seri e ragionevoli dubbi sulla possibilità del Consumatore stesso di rimborsare il dovuto.

La conseguenza dell’erogazione del credito al consumo in violazione del dovere di valutazione del merito del creditizio, secondo il diritto nazionale della Repubblica Ceca, è la nullità del contratto, rilevabile anche d’ufficio. Il Consumatore sarà dunque tenuto a rimborsare il capitale del credito concesso entro un termine adeguato alle proprie disponibilità e possibilità economiche.

 

Il caso specifico oggetto di rinvio pregiudiziale.

Un Consumatore aveva stipulato un contratto di credito al Consumo e lo aveva interamente rimborsato, senza sollevare alcuna obiezione durante il periodo di rimborso dello stesso.

Una società, cui il Consumatore aveva ceduto il credito che avrebbe potuto far valere nei confronti del creditore originario in virtù del contratto di credito al consumo, aveva poi fatto valere la nullità del contratto in parola in quanto il creditore non aveva adempiuto all’obbligo di valutazione del merito creditizio.

La società convenuta, che aveva in origine concesso il credito al Consumatore, sostenne di aver valutato correttamente la solvibilità del Consumatore nonché l’inapplicabilità al capo di specie della normativa consumeristica essendo stato il credito del Consumatore ceduto ad una società commerciale.

 

La questione pregiudiziale.

Alla luce del contesto fattuale specifico del caso di specie, il Giudice del rinvio si è dunque chiesto se alla luce della Direttiva 48/2008 un creditore possa essere sanzionato anche qualora la violazione dell’obbligo di valutare il merito creditizio di un Consumatore ex ante rispetto alla conclusione del contratto non abbia comportato alcun pregiudizio per il Consumatore stesso, che lo abbia interamente adempiuto.

Ciò anche considerato che, secondo il Giudice del rinvio, l’art.8 della Direttiva in esame ha lo scopo di evitare la difficoltà economica del Consumatore e che dunque il rispetto dell’obbligo di valutazione del merito creditizio non sia il fine primario della Direttiva, ma lo strumento per garantire quello che è invece il reale obiettivo della Direttiva stessa, ossia la tutela della solvibilità consumeristica.

Il Giudice della Repubblica Ceca, Tribunale circoscrizionale di Praga Ovest, ha dunque sottoposto alla CGUE la seguente questione pregiudiziale: “Se la [direttiva 2008/48] sia volta a sanzionare il prestatore del credito per l’esame incompleto del merito creditizio del consumatore anche nel caso in cui il consumatore abbia rimborsato per intero il credito non sollevando obiezioni rispetto al contratto durante il periodo di rimborso”.

 

L’esame della questione pregiudiziale da parte della Corte

 

La ricevibilità della questione.

L’aspetto “in rito” relativo alla ricevibilità della questione pregiudiziale diventa parimenti importante rispetto all’esame del merito in quanto fin da subito la Corte rimarca un concetto fondamentale, ossia quello per cui sulle questioni che attengano all’interpretazione del diritto unionale la CGUE è tenuta a statuire. In altri termini, sussiste una cd. presunzione di rilevanza della questione (cfr. CGUE C134/2020 punto 56 nonché C 158/21 punto 50), salvo che l’interpretazione richiesta non abbia “alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica”, cosa non accaduta nel caso di specie.

La questione dunque è stata considerata dalla Corte come ricevibile.

 

Il merito della questione.

La Corte osserva in via preliminare l’irrilevanza, ai fini della decisione, della circostanza per cui la controversia in essere contrapponga, allo stato, professionisti, posto che ad avere rilevanza sono le parti dell’originario contratto di credito al consumo (cfr. CGUE C383/18 punto 20).

Alla controversia è dunque applicabile il diritto consumeristico.

Proseguendo nell’analisi del caso sottopostole, la CGUE, dopo aver ricordato che ai fini dell’interpretazione del diritto unionale, ma anche nazionale si deve considerare non solo la lettera delle norme, ma anche il relativo contesto (cfr. CGUE 570/2021 punto 28), afferma che dalla lettura dell’art.8 della Direttiva n.48/2008, calato nel contesto della Direttiva, si evince che il creditore deve valutare il merito creditizio prima della conclusione del contratto, posto che tale obbligo ha pacificamente natura precontrattuale per la giurisprudenza unionale (cfr. CGUE C 449/2013).

La Corte inoltre ricorda la possibilità di rilevare ex officio la violazione di detto obbligo, considerato che “il sistema di tutela si fonda sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione d’inferiorità rispetto al professionista” e che “sussiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere la norma giuridica intesa a tutelarlo” (cfr. CGUE 679/22018), il che ha come precipitato anche la considerazione per cui “l’effettività dell’esercizio dei diritti conferiti dalla direttiva 2008/48 è garantita” dalla previsione per cui “il creditore è tenuto a dimostrare dinanzi al giudice la corretta esecuzione degli obblighi precontrattuali”, tra cui rientra il dovere di valutazione del merito creditizio.

Proseguendo, la Corte giunge al cuore della pronuncia, ossia ad individuare ed analizzare l’obiettivo duplice della Direttiva n.48/2008, ossia quello di armonizzare il più possibile le normative nazionali nell’ottica di un mercato unionale comune (cfr. CGUE C 565/12 punto 42 e CGUE  C 679/18 punto 21), obiettivo realizzabile anche tramite la tutela equa, elevate ed equivalente dei Consumatori dall’insolvenza e dal sovraindebitamento nonché tramite la speculare responsabilizzazione dei creditori (cfr. CGUE C 449/13 e C 303/2020 secondo cui “un obbligo del genere, poiché mira a tutelare i consumatori contro i rischi di indebitamento eccessivo e di insolvenza, riveste, per il consumatore, un’importanza fondamentale”).

Dunque la Direttiva in analisi prende in considerazione ed intreccia tra loro la tutela del Consumatore, la responsabilizzazione del creditore, il ravvicinamento delle legislazioni nazionali e la creazione di un mercato nazionale e di conseguenza unionale efficiente.

La tutela del Consumatore quindi è anche (ma non solo) funzionale e diretta a responsabilizzare il creditore, ad armonizzazione le legislazioni degli Stati membri nonché a garantire il corretto funzionamento del loro mercato interno, che a loro volta sono funzionali alla creazione di un mercato unionale efficiente. Ma vale anche il contrario, ossia la responsabilizzazione del creditore, l’armonizzazione delle legislazioni nazionali e l’efficienza del mercato interno nonché di quello unionale sono funzionali a tutelare il Consumatore.

Da questa commistione ed interdipendenza consegue direttamente che, ed è questo il secondo punto cruciale della pronuncia, “una violazione dell’obbligo consistente, per il creditore, nel verificare il merito creditizio del consumatore, non può essere sanata per il solo fatto dell’esecuzione integrale del contratto di credito”.

Dunque “la circostanza che il consumatore non abbia mosso alcuna obiezione rispetto a tale contratto durante il periodo di rimborso è irrilevante” così come è irrilevante che, essendo il contratto interamente eseguito, il Consumatore non possa più avvalersi del diritto di recesso in quanto “la circostanza che, dopo l’esecuzione integrale del contratto di credito, le parti di quest’ultimo non siano più in condizione di far valere obblighi reciproci derivanti da tale contratto non incide sull’esistenza di un credito fondato su un obbligo di restituzione dell’indebito sorto dall’applicazione di una normativa nazionale….che sanziona la violazione dell’obbligo, per il creditore, di verificare il merito creditizio del consumatore”.

La Corte si occupa infine del regime sanzionatorio.

La competenza in punto sanzioni e la relativa scelta del regime da applicarsi spetta agli Stati membri, ma gli Stati stessi, nel rispetto dei principi generali e del diritto dell’Unione, “pur conservando la scelta delle sanzioni….devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto dell’Unione siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza” (cfr. CGUE 562/2012 punto 44) in quanto “la severità delle sanzioni deve essere adeguta alla gravità delle violazioni” (cfr. CGUE 42/2015 punto 63) per garantire un “effetto realmente dissuasivo, fermo restando il principio generale di proporzionalità” (cfr. CGUE 707/2017 punto 28).

Pur spettando poi al solo giudice nazionale, quale unico competente ad interpretare ed applicare il diritto nazionale, verificare se le sanzioni applicate siano efficaci, proporzionate e dissuasive, la Corte interviene a “fornirgli precisazioni al fine di guidarlo nella sua valutazione” (cfr. CGUE 679/18 punti 27 e 28) affermando che il sistema di sanzioni previste dal diritto interno come applicabili a fronte della violazione delle disposizioni nazionali adottate in violazione dell’art.8 della Direttiva 48/2008 deve essere adeguato, effettivo, proporzionale e dissuasivo (cfr. CGUE 303/2020).

Tale sistema sanzionatorio inoltre dovrà tenere conto del danno causato al Consumatore dal creditore, “senza tuttavia eccedere quanto necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti dall’art.8 della Direttiva 2007/48” e ciò nel rispetto del principio di proporzionalità che deve infatti far optare, in presenza di più sanzioni, per la meno restrittiva (cfr. CGUE 452/2020 punti 37 e 38).

Lo scopo della sanzione dunque deve essere duplice, ossia deve consentire la tutela del Consumatore, ma anche responsabilizzare il creditore.

Difatti la CGUE nella causa 303/2020 ha ritenuto ad esempio l’ammenda sanzione inidonea a garantire in modo sufficientemente efficace la tutela dei Consumatori contro il rischio di eccessivo indebitamento e insolvenza anche in quanto tal sanzione non è in grado di incidere sulla situazione di un Consumatore al quale sia stato concesso credito in violazione dell’art.8 della Direttiva 48/2008.

La Corte muove dunque da tali premesse in principio per “pesare” la sanzione applicata dal diritto ceco che prevede, per la violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio, la  nullità del contratto di credito, con decadenza del diritto del creditore agli interessi pattuiti.

Nel richiamare un proprio precedente (cfr. CGUE 303/2020 punto 39) la Corte afferma in primis che è stata già dichiarata da numerosi precedenti l’adeguatezza e la proporzionalità della sanzione che privi il creditore del diritto agli interessi, in conseguenza della violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio.

Il secondo passaggio essenziale della pronuncia è quello successivo, in cui la CGUE afferma che “subordinare l’applicazione di una sanzione” che implica la nullità del contratto e la decadenza del creditore dal diritto agli interessi “alla condizione che il consumatore abbia subito una conseguenza pregiudizievole potrebbe favorire l’inosservanza, da parte dei creditori, dell’obbligo loro incombente in forza dell’articolo 8 della direttiva 2008/48” e dunque pregiudicare il carattere realmente dissuasivo della sanzione prevista.

Il principio guida nel comminare la sanzione è pertanto quello del ripristino della cd. simmetria informativo-economica tra le parti (cfr. CGUE C 488/11; C 618/10; C 472/11; C 26/13; C143/13; C186/16), cui è funzionale la sanzione di nullità, onde evitare che la violazione da parte del creditore resti “a carico” del Consumatore.

La Corte conclude dunque affermando che “occorre rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che gli articoli 8 e 23 della direttiva 2008/48 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che, qualora il creditore abbia violato il suo obbligo di valutare il merito creditizio del consumatore, tale creditore sia sanzionato, conformemente al diritto nazionale, con la nullità del contratto di credito al consumo e la decadenza del suo diritto al pagamento degli interessi convenuti, anche quando tale contratto sia stato integralmente eseguito dalle parti e il consumatore non abbia subito conseguenze pregiudizievoli per effetto di tale violazione”.

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