Nota a CGUE, 21 marzo 2024, C-714/22.
Massima redazionale
Con la recentissima sentenza in oggetto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che:
«1) L’articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio,
deve essere interpretato nel senso che:
i costi relativi a servizi accessori a un contratto di credito al consumo, che attribuiscono al consumatore che acquista tali servizi una priorità nell’esame della sua domanda di credito e nella messa a disposizione della somma presa in prestito, nonché la possibilità di dilazionare il rimborso delle rate mensili o di ridurne l’importo, rientrano nella nozione di «costo totale del credito per il consumatore», ai sensi di tale disposizione, e, di conseguenza, in quella di «tasso annuo effettivo globale», ai sensi di tale articolo 3, lettera i), qualora l’acquisto di detti servizi risulti obbligatorio per ottenere il credito di cui trattasi o qualora gli stessi costituiscano una montatura destinata a dissimulare il costo effettivo di tale credito.
2) L’articolo 10, paragrafo 2, lettera g), e l’articolo 23 della direttiva 2008/48,
devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a che, qualora un contratto di credito al consumo non menzioni un tasso annuo effettivo globale comprendente tutti i costi previsti all’articolo 3, lettera g), di tale direttiva, detto contratto sia considerato esente da interessi e da spese, di modo che il suo annullamento comporta soltanto la restituzione, da parte del consumatore interessato, del capitale prestato.
3) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori,
deve essere interpretato nel senso che:
clausole vertenti su servizi accessori a un contratto di credito al consumo, che attribuiscono al consumatore che acquista tali servizi una priorità nell’esame della sua domanda di credito e nella messa a disposizione della somma presa in prestito nonché la possibilità di dilazionare il rimborso delle rate mensili o di ridurne l’importo, non rientrano, in linea di principio, nell’oggetto principale di tale contratto, ai sensi di detta disposizione, e non sfuggono quindi alla valutazione del loro carattere abusivo.
4) L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13
deve essere interpretato nel senso che:
una clausola di un contratto di credito al consumo che consente al consumatore interessato di dilazionare o di riorganizzare le rate mensili del credito dietro pagamento di costi supplementari, anche qualora non sia certo che tale consumatore si avvarrà di tale possibilità, può avere carattere abusivo, laddove, in particolare, tali costi siano manifestamente sproporzionati rispetto all’importo del prestito concesso.
5) L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letti alla luce del principio di effettività,
devono essere interpretati nel senso che:
essi ostano a una normativa nazionale che consente di obbligare un consumatore a farsi carico di una parte delle spese processuali, qualora, in seguito alla dichiarazione di nullità di una clausola contrattuale a causa del suo carattere abusivo, sia accolta solo parzialmente la sua domanda di restituzione di somme che ha indebitamente pagato in forza di tale clausola, per il motivo che è praticamente impossibile o eccessivamente difficile determinare la portata del diritto di tale consumatore alla restituzione di dette somme.»
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