Il presente articolo trae spunto dalla peculiare vicenda dell’usura nei contratti di apertura di credito manifestatasi, in corso di rapporto, a seguito dell’esercizio dello ius variandi da parte della banca.
*****
Giova preliminarmente evidenziare che, a differenza dei contratti di durata per i quali «il tasso pattuito rimane uguale per tutta la durata del rapporto»[1], nel contratto di apertura di credito, rientrante nella categoria dei contratti a tempo indeterminato, è ammessa la modifica delle condizioni contrattuali, ivi compresa la clausola relativa al tasso d’interesse[2].
In particolare, ai sensi dell’art. 118 TUB, le parti possono inserire nei contratti bancari una clausola “approvata specificamente dal cliente” che attribuisce alla banca la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali in presenza di un giustificato motivo[3].
Lo stesso art. 118 TUB detta le condizioni per il corretto esercizio dello ius variandi; segnatamente, la modifica delle condizioni contrattuali dev’essere comunicata al cliente con preavviso minimo di due mesi “in forma scritta o mediante altro supporto durevole” con modalità contenenti in modo evidenziato la formula “Proposta di modifica unilaterale del contratto”. Con quest’ultima espressione, apparentemente contraddittoria, il Legislatore intende sottolineare come, anche nell’ipotesi di modifica unilaterale delle condizioni del contratto, si possa ravvisare un accordo tacito tra le parti.
A ben vedere però il campo d’azione del soggetto debole del rapporto è piuttosto limitato, dal momento che il cliente può, al più, recedere dal contratto senza penalità; per contro, le modifiche si intendono tacitamente approvate.
A tal proposito, è stato sostenuto da autorevole dottrina come il contratto e il diritto di recesso non si pongano tra loro in perfetto equilibrio: chi esercita il diritto di recesso non si trova in una situazione imprevedibile in quanto essa è consentita dalla legge, mentre chi subisce la modificazione unilaterale non ha alcuna certezza sotto il profilo contenutistico[4].
Come precisato da Banca d’Italia con nota del 28 marzo 2017, la banca adempie correttamente l’onere di comunicazione alla clientela nell’ipotesi in cui consenta alla controparte «di verificare la congruità [delle nuove condizioni] rispetto alle sottostanti motivazioni e di valutare se mantenere il rapporto»[5].
Nell’esercizio dello ius variandi, potrebbe manifestarsi la peculiare ipotesi in cui la banca unilateralmente aumenti i tassi passivi fino ad arrivare a un livello superiore al tasso soglia usurario; a tale stregua, verrebbe a configurarsi un profilo di illegittimità del contratto originariamente stipulato nel rispetto della disciplina di settore (l. n. 108/1996). Ove ciò accada, sorgono dubbi in ordine al corretto inquadramento di questa tipologia di usura nell’ambito delle tradizionali categorie dell’usura originaria o dell’usura sopravvenuta[6].
La difficoltà nell’inquadrare correttamente tale forma di usura si traduce in un’incertezza in ordine alla natura e all’entità delle conseguenze civilistiche sia sul piano sostanziale che su quello processuale.
La giurisprudenza, che, ad oggi, ha avuto modo di pronunciarsi sulle fattispecie così delineate, ha applicato la sanzione della nullità prevista dall’art. 1815, comma 2, c.c., ai soli trimestri in cui sia stato pattuito un tasso passivo ultra-soglia.
In questo senso, la Sent. Tribunale di Padova del 12 agosto 2012, n. 2600: “nel caso in cui (…) il tasso applicato venga a superare il tasso soglia in seguito a modificazioni unilaterali della banca o anche a pattuizioni concluse successivamente all’entrata in vigore della legge 108/96 la sanzione non potrà essere che quella del comma 2 dell’art.1815 c.c., con la conseguenza che nessun interesse sarà dovuto”. Con più precisione, con sentenza del 23 ottobre 2019, n. 2400, il Tribunale di Roma ha specificato come la sanzione della nullità colpisca esclusivamente gli interessi dei trimestri nei quali il tasso abbia superato la soglia usura.
È condivisibile la scelta della giurisprudenza di ritenere applicabile la sanzione della nullità a questa particolare tipologia di usura, ma non appare tuttavia sufficiente a garantire una tutela piena al contraente debole il quale ha, di fatto, subito le modifiche in pejus delle condizioni contrattuali e la determinazione di un tasso usurario.
Il difetto della soluzione giurisprudenziale risiede, segnatamente, nella circostanza che tale tasso (di accertata attitudine al superamento della soglia-usura) continua a essere applicato al rapporto di conto corrente, con conseguente rischio di ulteriori superamenti del tasso soglia.
È necessario, pertanto, evitare al contraente debole, nel futuro svolgimento del rapporto contrattuale, il pagamento di interessi usurari la cui nullità potrebbe essere ottenuta solo a seguito di una nuova pronuncia giurisdizionale.
Per prevenire scenari di questo tipo, sarebbe opportuno adottare la sanzione della nullità della clausola contenente il tasso di interesse, senza distinzione tra i diversi trimestri in cui si sono svolte le operazioni bancarie nonché ricondurre lo stesso tasso a misure più equilibrate. Tale sanzione si atteggerebbe peraltro a risposta più adeguata al comportamento tenuto dalla banca. Quest’ultima, infatti, attraverso l’esercizio del potere di modifica unilaterale del contratto e in contrasto col principio della buona fede[7] nei rapporti contrattuali, ha fissato un tasso d’interesse prossimo al tasso soglia, sì da provocarne l’usurarietà a seconda delle oscillazioni del tasso di riferimento.
L’atteggiamento del giudice ispirato al principio della buona fede e indirizzato a riequilibrare il rapporto contrattuale, non costituirebbe una soluzione di assoluta novità dal momento che, in una fattispecie di usura sopravvenuta verificatasi a seguito della discesa dei tassi medi rilevati dalla Banca d’Italia, il Collegio di Coordinamento con Decisione n. 77 del 10 gennaio 2014 ha ritenuto sussistente «la necessità di provvedere al ricalcolo degli interessi convenzionalmente pattuiti, in modo da ricondurli entro la soglia via via vigente nel corso del rapporto, non essendo comunque ammissibile che il cliente sia tenuto a versare gli interessi in una misura che, al momento in cui essi devono essere corrisposti, è considerata in termini di antigiuridicità nell’ordinamento». In particolare, il Collegio di Coordinamento ha valorizzato lo strumento della buona fede «nella moralizzazione dei rapporti contrattuali» al fine di garantire la «flessibilità necessaria ad incorporare i valori etici dell’ordinamento giuridico»[8]. Nella specie, il Collegio di Coordinamento ha ritenuto che, a fronte della discesa dei tassi medi, l’intermediario finanziario avesse tenuto un comportamento contrario a buona fede per essersi rifiutato di ricondurre il tasso pattuito al di sotto della soglia di usurarietà.
Al fine del riequilibrio del rapporto contrattuale, il Collegio di Coordinamento ha disposto che l’intermediario rimborsasse al cliente quanto incassato a titolo di interessi e oneri superiori alla soglia.
L’intervento del giudice improntato ai principi di buona fede ed equità diverrebbe strumento fondamentale per la correzione del regolamento contrattuale, altrimenti squilibrato[9], in conformità con la tradizione europea e internazionale che ha visto la creazione, negli ultimi anni, di principi (come i Principi Lando[10] e Principi Unidroit[11]) che spingono per un rafforzamento del ruolo del giudice ai fini del riequilibrio del contenuto dei contratti.
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[1] Cass. civ. 29 novembre 2022, n. 35118.
[2] L. MACCHIA, Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti, in G. CRICENTI – F. GRECO (a cura di), Diritto Bancario, Milano, Giuffrè, 2023, p. 255.
[3] Sul punto, L. MACCHIA, op. cit. richiama, a pag. 260, la Decisione n. 26498 del 2018 del Collegio di Coordinamento secondo la quale: «con specifico riferimento alle mutate condizioni del mercato non vi è dubbio che – qualora ne ricorrano i presupposti – l’intermediario potrà legittimamente esercitare lo ius variandi contemplato dalla normativa in questione solo a condizione che le nuove condizioni contrattuali proposte alla clientela siano effettivamente collegate all’evento posto a fondamento del giustificato motivo, ovvero che – come già precisato – vi sia quel necessario collegamento di “mantenimento dell’equilibrio sinallagmatico” tra l’evento di mercato, le prestazioni contrattuali e le nuove condizioni contrattuali oggetto della proposta di modifica».
[4] V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p. 555.
[5] Nota di Banca d’Italia del 28 marzo 2017 nella quale vengono indicate le condizioni per l’esatto esercizio del potere di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali; in particolare: «1. le modifiche sono consentite solo se previste da un’apposita clausola contrattuale specificamente sottoscritta dal cliente; 2. le variazioni devono essere rette da un giustificato motivo e rese note alla clientela con anticipo, così da consentire al destinatario di verificarne la congruità rispetto alle sottostanti motivazioni e di valutare se mantenere il rapporto; 3. in alcune circostanze l’esercizio dello ius variandi risulta precluso. Secondo il Ministero dello sviluppo economico, le modifiche unilaterali di cui all’art. 118 TUB non possono comportare l’introduzione di clausole nuove».
[6] Il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite con sentenza del 19 ottobre 2017, n. 24675, che ha sancito l’irrilevanza dell’usura sopravvenuta con specifico riferimento al contratto di mutuo, secondo parte della giurisprudenza, è riferibile anche ai contratti di conto corrente e di apertura di credito; Si v., sul punto: A. FERRARO, Gli interessi nei contratti bancari, in G. CRICENTI – F. GRECO (a cura di), Diritto Bancario, Milano, Giuffrè, 2023, p. 636. Di seguito il principio: «nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto».
[7] Si v. P. SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca borsa tit. cred., fasc. 3, 2007, p. 4: «il ius variandi non può essere esercitato in violazione del principio generale di buona fede, ossia con modalità tali che, tenuto conto delle concrete circostanze del caso, si dimostrino irragionevoli o addirittura emulative nei confronti del soggetto passivo. In caso contrario, il suo titolare sarà obbligato al risarcimento del danno a titolo di responsabilità extracontrattuale».
[8] M. LECCI, Disciplina civilistica dell’usura bancaria tra normativa e giurisprudenza, in F. GRECO (a cura di), Manuale di diritto del risparmio, Lecce, Pensa, 2021, pp. 64-65. Nella Decisione n. 77 del 10 gennaio 2014, il Collegio di Coordinamento ha richiamato il seguente principio stabilito dalla Corte di Cassazione in punto di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali: «il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” – deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di precisi obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge».
[9] G. VETTORI, Squilibrio e usura nei contratti, in G. VETTORI, Squilibrio e usura nei contratti (a cura di), CEDAM, Padova, 2002.
[10] L’art. 3.10 dei Principi Unidroit stabilisce: «il giudice può adattare il contratto… in modo da renderlo conforme ai criteri ordinari di correttezza nel commercio».
[11] L’art. 4:109 del progetto Lando stabilisce: «il giudice può, ove il rimedio sia adeguato, modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza».
di Antonio Mazzotta
Praticante avvocatoIl presente articolo trae spunto dalla peculiare vicenda dell’usura nei contratti di apertura di credito manifestatasi, in corso di rapporto, a seguito dell’esercizio dello ius variandi da parte della banca.
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Giova preliminarmente evidenziare che, a differenza dei contratti di durata per i quali «il tasso pattuito rimane uguale per tutta la durata del rapporto»[1], nel contratto di apertura di credito, rientrante nella categoria dei contratti a tempo indeterminato, è ammessa la modifica delle condizioni contrattuali, ivi compresa la clausola relativa al tasso d’interesse[2].
In particolare, ai sensi dell’art. 118 TUB, le parti possono inserire nei contratti bancari una clausola “approvata specificamente dal cliente” che attribuisce alla banca la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali in presenza di un giustificato motivo[3].
Lo stesso art. 118 TUB detta le condizioni per il corretto esercizio dello ius variandi; segnatamente, la modifica delle condizioni contrattuali dev’essere comunicata al cliente con preavviso minimo di due mesi “in forma scritta o mediante altro supporto durevole” con modalità contenenti in modo evidenziato la formula “Proposta di modifica unilaterale del contratto”. Con quest’ultima espressione, apparentemente contraddittoria, il Legislatore intende sottolineare come, anche nell’ipotesi di modifica unilaterale delle condizioni del contratto, si possa ravvisare un accordo tacito tra le parti.
A ben vedere però il campo d’azione del soggetto debole del rapporto è piuttosto limitato, dal momento che il cliente può, al più, recedere dal contratto senza penalità; per contro, le modifiche si intendono tacitamente approvate.
A tal proposito, è stato sostenuto da autorevole dottrina come il contratto e il diritto di recesso non si pongano tra loro in perfetto equilibrio: chi esercita il diritto di recesso non si trova in una situazione imprevedibile in quanto essa è consentita dalla legge, mentre chi subisce la modificazione unilaterale non ha alcuna certezza sotto il profilo contenutistico[4].
Come precisato da Banca d’Italia con nota del 28 marzo 2017, la banca adempie correttamente l’onere di comunicazione alla clientela nell’ipotesi in cui consenta alla controparte «di verificare la congruità [delle nuove condizioni] rispetto alle sottostanti motivazioni e di valutare se mantenere il rapporto»[5].
Nell’esercizio dello ius variandi, potrebbe manifestarsi la peculiare ipotesi in cui la banca unilateralmente aumenti i tassi passivi fino ad arrivare a un livello superiore al tasso soglia usurario; a tale stregua, verrebbe a configurarsi un profilo di illegittimità del contratto originariamente stipulato nel rispetto della disciplina di settore (l. n. 108/1996). Ove ciò accada, sorgono dubbi in ordine al corretto inquadramento di questa tipologia di usura nell’ambito delle tradizionali categorie dell’usura originaria o dell’usura sopravvenuta[6].
La difficoltà nell’inquadrare correttamente tale forma di usura si traduce in un’incertezza in ordine alla natura e all’entità delle conseguenze civilistiche sia sul piano sostanziale che su quello processuale.
La giurisprudenza, che, ad oggi, ha avuto modo di pronunciarsi sulle fattispecie così delineate, ha applicato la sanzione della nullità prevista dall’art. 1815, comma 2, c.c., ai soli trimestri in cui sia stato pattuito un tasso passivo ultra-soglia.
In questo senso, la Sent. Tribunale di Padova del 12 agosto 2012, n. 2600: “nel caso in cui (…) il tasso applicato venga a superare il tasso soglia in seguito a modificazioni unilaterali della banca o anche a pattuizioni concluse successivamente all’entrata in vigore della legge 108/96 la sanzione non potrà essere che quella del comma 2 dell’art.1815 c.c., con la conseguenza che nessun interesse sarà dovuto”. Con più precisione, con sentenza del 23 ottobre 2019, n. 2400, il Tribunale di Roma ha specificato come la sanzione della nullità colpisca esclusivamente gli interessi dei trimestri nei quali il tasso abbia superato la soglia usura.
È condivisibile la scelta della giurisprudenza di ritenere applicabile la sanzione della nullità a questa particolare tipologia di usura, ma non appare tuttavia sufficiente a garantire una tutela piena al contraente debole il quale ha, di fatto, subito le modifiche in pejus delle condizioni contrattuali e la determinazione di un tasso usurario.
Il difetto della soluzione giurisprudenziale risiede, segnatamente, nella circostanza che tale tasso (di accertata attitudine al superamento della soglia-usura) continua a essere applicato al rapporto di conto corrente, con conseguente rischio di ulteriori superamenti del tasso soglia.
È necessario, pertanto, evitare al contraente debole, nel futuro svolgimento del rapporto contrattuale, il pagamento di interessi usurari la cui nullità potrebbe essere ottenuta solo a seguito di una nuova pronuncia giurisdizionale.
Per prevenire scenari di questo tipo, sarebbe opportuno adottare la sanzione della nullità della clausola contenente il tasso di interesse, senza distinzione tra i diversi trimestri in cui si sono svolte le operazioni bancarie nonché ricondurre lo stesso tasso a misure più equilibrate. Tale sanzione si atteggerebbe peraltro a risposta più adeguata al comportamento tenuto dalla banca. Quest’ultima, infatti, attraverso l’esercizio del potere di modifica unilaterale del contratto e in contrasto col principio della buona fede[7] nei rapporti contrattuali, ha fissato un tasso d’interesse prossimo al tasso soglia, sì da provocarne l’usurarietà a seconda delle oscillazioni del tasso di riferimento.
L’atteggiamento del giudice ispirato al principio della buona fede e indirizzato a riequilibrare il rapporto contrattuale, non costituirebbe una soluzione di assoluta novità dal momento che, in una fattispecie di usura sopravvenuta verificatasi a seguito della discesa dei tassi medi rilevati dalla Banca d’Italia, il Collegio di Coordinamento con Decisione n. 77 del 10 gennaio 2014 ha ritenuto sussistente «la necessità di provvedere al ricalcolo degli interessi convenzionalmente pattuiti, in modo da ricondurli entro la soglia via via vigente nel corso del rapporto, non essendo comunque ammissibile che il cliente sia tenuto a versare gli interessi in una misura che, al momento in cui essi devono essere corrisposti, è considerata in termini di antigiuridicità nell’ordinamento». In particolare, il Collegio di Coordinamento ha valorizzato lo strumento della buona fede «nella moralizzazione dei rapporti contrattuali» al fine di garantire la «flessibilità necessaria ad incorporare i valori etici dell’ordinamento giuridico»[8]. Nella specie, il Collegio di Coordinamento ha ritenuto che, a fronte della discesa dei tassi medi, l’intermediario finanziario avesse tenuto un comportamento contrario a buona fede per essersi rifiutato di ricondurre il tasso pattuito al di sotto della soglia di usurarietà.
Al fine del riequilibrio del rapporto contrattuale, il Collegio di Coordinamento ha disposto che l’intermediario rimborsasse al cliente quanto incassato a titolo di interessi e oneri superiori alla soglia.
L’intervento del giudice improntato ai principi di buona fede ed equità diverrebbe strumento fondamentale per la correzione del regolamento contrattuale, altrimenti squilibrato[9], in conformità con la tradizione europea e internazionale che ha visto la creazione, negli ultimi anni, di principi (come i Principi Lando[10] e Principi Unidroit[11]) che spingono per un rafforzamento del ruolo del giudice ai fini del riequilibrio del contenuto dei contratti.
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[1] Cass. civ. 29 novembre 2022, n. 35118.
[2] L. MACCHIA, Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti, in G. CRICENTI – F. GRECO (a cura di), Diritto Bancario, Milano, Giuffrè, 2023, p. 255.
[3] Sul punto, L. MACCHIA, op. cit. richiama, a pag. 260, la Decisione n. 26498 del 2018 del Collegio di Coordinamento secondo la quale: «con specifico riferimento alle mutate condizioni del mercato non vi è dubbio che – qualora ne ricorrano i presupposti – l’intermediario potrà legittimamente esercitare lo ius variandi contemplato dalla normativa in questione solo a condizione che le nuove condizioni contrattuali proposte alla clientela siano effettivamente collegate all’evento posto a fondamento del giustificato motivo, ovvero che – come già precisato – vi sia quel necessario collegamento di “mantenimento dell’equilibrio sinallagmatico” tra l’evento di mercato, le prestazioni contrattuali e le nuove condizioni contrattuali oggetto della proposta di modifica».
[4] V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p. 555.
[5] Nota di Banca d’Italia del 28 marzo 2017 nella quale vengono indicate le condizioni per l’esatto esercizio del potere di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali; in particolare: «1. le modifiche sono consentite solo se previste da un’apposita clausola contrattuale specificamente sottoscritta dal cliente; 2. le variazioni devono essere rette da un giustificato motivo e rese note alla clientela con anticipo, così da consentire al destinatario di verificarne la congruità rispetto alle sottostanti motivazioni e di valutare se mantenere il rapporto; 3. in alcune circostanze l’esercizio dello ius variandi risulta precluso. Secondo il Ministero dello sviluppo economico, le modifiche unilaterali di cui all’art. 118 TUB non possono comportare l’introduzione di clausole nuove».
[6] Il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite con sentenza del 19 ottobre 2017, n. 24675, che ha sancito l’irrilevanza dell’usura sopravvenuta con specifico riferimento al contratto di mutuo, secondo parte della giurisprudenza, è riferibile anche ai contratti di conto corrente e di apertura di credito; Si v., sul punto: A. FERRARO, Gli interessi nei contratti bancari, in G. CRICENTI – F. GRECO (a cura di), Diritto Bancario, Milano, Giuffrè, 2023, p. 636. Di seguito il principio: «nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto».
[7] Si v. P. SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca borsa tit. cred., fasc. 3, 2007, p. 4: «il ius variandi non può essere esercitato in violazione del principio generale di buona fede, ossia con modalità tali che, tenuto conto delle concrete circostanze del caso, si dimostrino irragionevoli o addirittura emulative nei confronti del soggetto passivo. In caso contrario, il suo titolare sarà obbligato al risarcimento del danno a titolo di responsabilità extracontrattuale».
[8] M. LECCI, Disciplina civilistica dell’usura bancaria tra normativa e giurisprudenza, in F. GRECO (a cura di), Manuale di diritto del risparmio, Lecce, Pensa, 2021, pp. 64-65. Nella Decisione n. 77 del 10 gennaio 2014, il Collegio di Coordinamento ha richiamato il seguente principio stabilito dalla Corte di Cassazione in punto di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali: «il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” – deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di precisi obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge».
[9] G. VETTORI, Squilibrio e usura nei contratti, in G. VETTORI, Squilibrio e usura nei contratti (a cura di), CEDAM, Padova, 2002.
[10] L’art. 3.10 dei Principi Unidroit stabilisce: «il giudice può adattare il contratto… in modo da renderlo conforme ai criteri ordinari di correttezza nel commercio».
[11] L’art. 4:109 del progetto Lando stabilisce: «il giudice può, ove il rimedio sia adeguato, modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza».
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