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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 16 febbraio 2024, n. 4273.

di Caterina Vincenti

Studio Legale Vincenti

La pronuncia della Cassazione ha visto come protagoniste tre società, una delle quali intervenuta volontariamente poiché cessionaria del portafoglio assicurativo di una delle altre due.

La prima società (d’ora innanzi “la A”) aveva concluso un contratto di assicurazione per la responsabilità civile di una clinica lombarda e dei suoi dipendenti ai sensi dell’art. 1891 c.c.

In conseguenza di lesioni subìte da un neonato durante un parto riconducibili alla responsabilità di uno dei sanitari, tale società A ha tenuto indenni i propri assicurati pagando direttamente ai danneggiati la somma di euro 1.502.442.

Nel 2010 la società A ha citato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la società B asserendo che:

  • Il medico responsabile del danno aveva stipulato una assicurazione della propria responsabilità civile con la società B, in aggiunta al rapporto già esistente con la società A;
  • Di conseguenza, il medesimo rischio (ossia la responsabilità civile del sanitario) era coperto da due polizze: quella stipulata dalla clinica per conto altrui ai sensi dell’art. 1891 c.c. e quella stipulata dal medico nell’interesse proprio.

Ricorrendo una ipotesi di assicurazione plurima, la società A – che aveva già risarcito l’intero danno – chiedeva al giudice di poter esercitare il suo diritto di regresso nei confronti della società B ai sensi dell’art. 1910 comma 4 c.c.

Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda con sentenza del 2012 ritenendo che la polizza stipulata dalla società B fosse operante solo “a secondo rischio”, cioè nel solo caso di inefficacia o incapienza di altre assicurazioni a copertura dello stesso rischio.

Tale decisione è stata impugnata prima presso la Corte d’appello di Milano, che ha rigettato il gravame, e poi per Cassazione. La Corte di legittimità ha cassato con rinvio e il giudizio è stato riassunto presso la Corte d’appello di Milano nel 2018.

I giudici di secondo grado hanno accolto parzialmente il gravame della società A ritenendo sussistente una ipotesi di assicurazione plurima (in tal modo confermando la sussistenza del diritto di regresso) e stabilendo la misura del regresso nel 50% dell’indennizzo pagato dalla società A al terzo danneggiato. Alla base di tale decisione vi è la considerazione secondo cui i contratti stipulati dalle società A e B “coprono interamente la responsabilità del coassicurato fino alla concorrenza della somma corrisposta da HDI, come del resto riconosciuto inizialmente dall’odierna appellata nella costituzione in giudizio”. Pertanto, la società B è stata condannata alla rifusione, in solido con la società C (cessionaria del portafoglio di B), in favore della società A di un importo pari al 50% dell’indennizzo da quest’ultima versato ai danneggiati.

Tale sentenza, pronunciata in sede di rinvio, è stata impugnata per cassazione dalle società B e C con ricorso fondato su un motivo.

La società A ha resistito con controricorso e, a seguito delle memorie depositate da ambo le parti, il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Varie le ragioni a fondamento della decisione degli Ermellini:

  • In via preliminare, è stato rilevato che né la sentenza impugnata, né il ricorso, né il controricorso, né le memorie hanno specificato in quale fase processuale è intervenuta in giudizio la società C. Ciò, comunque, è avvenuto per forza di cose solo nel giudizio di rinvio: invero, solo a partire dalla fine del mese di marzo del 2013 (quindi poco dopo la pubblicazione della prima sentenza d’appello che è datata 23.3.2013) è avvenuta la cessione del portafoglio del ramo danni dalla società B alla C.

In ogni caso, la Corte d’appello ha pronunciato una sentenza di condanna nei confronti della società C: ciò dimostra la inequivoca, seppure implicita, ammissibilità dell’intervento in causa di detta società sul quale la Suprema Corte non ha ritenuto di dover svolgere altri controlli di legittimità;

  • Altra considerazione preliminare ha riguardato la posizione di cessionaria del portafoglio assicurativo della società C: la sentenza impugnata non ha accertato né quale fosse la legge applicabile alla cessione di portafoglio (si noti che la sede di cedente e cessionaria è il Regno Unito), né se il debito di regresso potesse ritenersi sorto dal contratto stipulato tra la società B e il medico danneggiante e, come tale, riferito a C (qui la Cassazione ha evidenziato la differenza tra cessione azienda e cessione di portafoglio assicurativo, la quale ultima ha ad oggetto solo i contratti e non anche i beni organizzati per l’attività di impresa, quindi – in mancanza di patti ad hoc – non si applica in modo automatico l’art. 2560 comma 2 c.c.).

Tuttavia, anche in questo caso, stante l’assenza di impugnazioni sulla condanna in solido, il Collegio non ha ritenuto opportuno esaminare tale questione;

  • L’unico motivo oggetto di impugnazione da parte delle società B e C si fonda sul disposto dell’art. 1910 c.c. e sull’assunto secondo cui la ripartizione dell’indennizzo tra due assicuratori che hanno assunto lo stesso rischio si deve compiere in proporzione dei rispettivi massimali assicurati e non degli indennizzi dovuti. Pertanto, dal momento che la società A aveva garantito un massimale di oltre 5 milioni di euro e la società B aveva garantito un massimale di poco più di 1 milione e mezzo di euro, il regresso della società B avrebbe dovuto essere inferiore al 50%.

Le società ricorrenti chiedono alla Suprema Corte di stabilire quale regola debba essere applicata per stabilire la misura del regresso fra assicuratori nell’ipotesi prevista dal quarto comma dell’art. 1910 c.c., secondo cui “l’assicuratore che ha pagato ha diritto di regresso contro gli altri per la ripartizione proporzionale in ragione delle indennità dovute secondo i rispettivi contratti. Se un assicuratore è insolvente, la sua quota viene ripartita fra gli altri assicuratori”.

Nello specifico, tale misura va stabilita in proporzione del massimale garantito o in proporzione dell’indennizzo dovuto? Sul punto vi sono due orientamenti principale, nonostante il tema non vede unanime né la dottrina né la (rara, tant’è che le spese di tale giudizio sono state compensate per novità della questione ai sensi dell’art. 92 c.p.c.) giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, la misura del regresso cui ciascun assicuratore ha diritto è da calcolarsi in proporzione del valore assicurato da ciascuno di essi sulla base dell’assunto secondo cui l’assicuratore che garantisce il rischio maggiore corre un rischio maggiore ed incassa un premio maggiore; quindi è equo che sopporti il peso maggiore in caso di sinistro.

Altro orientamento, invece, accoglie la tesi contraria: la quota di indennizzo gravante su ciascun assicuratore dovrebbe essere calcolata non in proporzione del valore assicurato ma in proporzione dell’indennizzo concretamente dovuto in base al contratto. Ciò per tre ordini di motivi:

  1. L’art. 1910 c.c. fa riferimento letteralmente all’indennità dovuta: la parola “indennità”, in tutto il Capo XX del Titolo III del Libro Quarto del c.c., è sempre utilizzata per indicare l’indennizzo concretamente dovuto e mai per indicare il massimale. Anche il comma 3 prevede che, in caso di assicurazione plurima, “l’assicurato può chiedere a ciascun assicuratore l’indennità dovuta secondo il rispettivo contratto”: nessuno ha mai dubitato che tale norma faccia riferimento all’indennizzo dovuto e non al massimale garantito (che, peraltro, in questo ultimo caso non avrebbe neanche senso);
  2. La ratio del quarto comma dell’art. 1910 c.c. è ridurre, in presenza di più assicuratori, il peso economico del sinistro per ciascuno di essi. Non è, pertanto, una norma a vantaggio dell’assicuratore singolo ma della massa di assicuratori perché il minor costo dei sinistri ha per effetto indiretto la riduzione del premio puro. Coerente con tale ratio è la interpretazione della norma secondo cui, in caso di assicurazione del medesimo rischio presso diversi assicuratori, consenta a ciascuno di essi di trarre vantaggio dalla presenza degli altri. Tale risultato è sempre garantito se la misura del regresso viene calcolata in proporzione dell’indennizzo da ciascuno dovuto. Al contrario, applicare il criterio del massimale significherebbe correre il rischio di far perdere qualsiasi vantaggio all’assicuratore il quale, pur avendo garantito un massimale elevato, potrebbe dover pagare un indennizzo modesto per effetto di franchigie o scoperti.
  3. Dal punto di vista comparatistico, la Suprema Corte ha aggiunto che nell’ordinamento francese (che può essere considerato simile al nostro in materia di diritto assicurativo) il criterio proporzionale di riparto del costo del sinistro tra vari assicuratori è rimasto vigente fino al 1982. Poi, con una legge intervenuta nell’estate di tale anno, è stato modificato il Code des Assurances sostituendo il criterio del massimale con la regola della proporzione rispetto all’indennizzo dovuto, a causa di varie difficoltà applicative del previgente sistema.

In ragione di tali considerazioni gli Ermellini hanno rigettato il ricorso ed espresso il seguente principio di diritto: “Se più assicuratori hanno coperto in modo indipendente l’uno dall’altro il medesimo rischio (c.d. assicurazione plurima), quello tra loro che ha pagato all’assicurato l’intero indennizzo dovuto secondo il contratto ha diritto di regresso in misura proporzionale rispetto all’indennizzo contrattualmente dovuto da ciascuno degli altri assicuratori. Tale misura si determina moltiplicando il danno patito dall’assicurato per l’indennizzo concretamente dovuto dal singolo assicuratore e dividendo il prodotto per la sommatoria degli indennizzi concretamente dovuti da tutti gli assicuratori”.

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